IL FATTO QUOTIDIANO DEL 9 APRILE 2021
DON VIRGINIO COLMEGNA ( Saronno, 1° agosto 1945 )
“Transizione non ecologica: Cingolani sulla solita strada”
Non solo verde. “Il ministro perpetua l’equivoco: l’ambientalismo non è un fatto tecnico-economico, la natura non è risorsa da sfruttare”
di Elisabetta Ambrosi
Ministero per la Transizione ecologica, che finora non ha dato l’impressione di aver scelto una rottura con il paradigma tecnocratico dominante, né con l’apparente neutralità degli interessi economici e produttivi in campo – basti guardare alle acrobazie ‘verdi’ su industria militare, gas e petrolio – voglia cercare quella strada di riconciliazione della nostra comunità umana con la biosfera e il vivente, senza la quale non c’è ‘casa comune’ ma solo, come papa Francesco ha scritto nella Laudato si’, un deposito di risorse da sfruttare”.
Per Don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità di Milano e cofondatore dell’associazione Laudato si’ ( tra i soci, Mario Agostinelli, Emilio Molinari, Daniela Padoan, Guido Viale ), l’unica strada è rimettere al centro dell’azione politica la connessione tra degrado ambientale e privazione dei diritti fondamentali, così come tra etica e riforme: perché la transizione ecologica non potrà mai essere un mero fatto “tecnico”.
In un articolo su Avvenire, come associazione Laudato si’ avete indirizzato al ministro Cingolani alcuni rilievi critici, tra cui l’investimento anche sull’idrogeno blu e il perseguimento della fusione nucleare.
Per limitare la crescita della temperatura occorre, da qui al 2030, ridurre della metà le emissioni annue di CO2. Nell’audizione del ministro di marzo non c’è traccia di questa urgenza. La presunzione di arrivare alla “fusione nucleare” entro dieci anni e di mantenere rilevanti quote di metano nel mix energetico nazionale fino al 2050 non solo è in contraddizione con le richieste Ue, ma oscura la necessità di passare dagli attuali 30 GW (solare più eolico) a 70 GW rinnovabili da installare entro il 2030.
La cessazione di sussidi ai fossili va di pari passo con lo stoccaggio di idrogeno “verde”, l’unico compatibile con la cura del pianeta e la conservazione dell’acqua.
Sempre in quell’articolo, avete stigmatizzato il mancato riferimento agli allevamenti industriali, così come l’assenza del tema della biodiversità.
Diminuire o eliminare il consumo di carne non può essere solo una scelta individuale. Il governo deve togliere i sussidi alla zootecnia che non osserva rigorose misure di riduzione dell’impatto ambientale, a cominciare dal numero di animali allevati, e disincentivare l’importazione di prodotti che causano deforestazione.
La tutela della biodiversità implica però anche affrontare la tragedia di aver ridotto la fauna selvatica del pianeta allo 0,01% della biomassa: una cifra prossima all’estinzione.
Non può esserci transizione ecologica senza riconciliazione col vivente: una strada che si può imboccare affidandosi alla Strategia dell’Ue sulla biodiversità per il 2030.
Perché c’è questo “terrore” della politica nel parlare di decrescita?
Nessun automatismo lega più la crescita del Pil a un aumento dell’occupazione, dei salari, della salute, della sicurezza; è certo invece il suo rapporto con grandi opere inutili e devastanti, ricostruzioni malfatte su territori dissestati dall’intervento umano, cure mediche rese necessarie dall’avvelenamento del cibo, dell’acqua e dell’aria, oltre che da zoonosi, produzione e vendita di armi. Per questo è incomprensibile che nel Recovery Plan possa esserci la destinazione di una parte dei fondi al comparto militare, “promuovendo l’attività di ricerca e di sviluppo delle nuove tecnologie e dei materiali, anche in favore degli obiettivi che favoriscano la transizione ecologica”. Un paradosso inaccettabile.
Per la vostra associazione clima e ambiente sono legati a lavoro dignitoso e uguaglianza di genere.
La connessione tra degrado ambientale e privazione dei più elementari diritti è ben visibile: basta guardare ai milioni di sfollati e migranti ambientali, a contesti industriali come l’Ilva o alle tante “terre dei fuochi”. Questa enorme somma di sofferenze non è stata raccolta dai partiti di ogni schieramento, che continuano trattare l’ecologia come un fastidioso ingombro o un rivestimento superficiale di cui fregiarsi. Nemmeno il sindacato ha saputo finora collocare dalla stessa parte lavoro e ambiente.
In effetti sembra che oggi sia soprattutto il mondo cattolico quello capace di unire ambiente e diritti.
La Laudato Si’ è nata nel contesto di una crisi epocale riassunta dall’espressione “cultura dello scarto”, elaborata dal Papa. Il paradigma tecnocratico e la ricerca del profitto hanno prodotto “avanzi”: persone escluse dalla società, perché non servono. Il Sinodo sull’Amazzonia, poi, è un ulteriore e straordinario riferimento di quella sintesi tra giustizia ambientale e giustizia sociale che ha portato all’attenzione mondiale la distruzione dell’ecosistema e il potere delle multinazionali. Tutto questo sconvolge anche la Chiesa, tanto che il cambiamento dell’enciclica non è stato ancora assimilato da tutto il mondo cattolico.
Quali sono le azioni urgenti che il governo dovrebbe intraprendere?
Ne cito solo una: Italia e Ue riconoscano l’acqua un bene comune e l’ex area Expo diventi sede di un’Agenzia dell’acqua bene comune. Finora le direttive parlano di bene economico, pertanto da vendere e comprare, mettere in bottiglia e quotare in Borsa. Ma dieci anni senza traduzione in legge di un risultato referendario non ha precedenti in nessun Paese democratico.
La società civile è molto avanti, sia nelle elaborazioni teoriche sia nelle pratiche sui territori, ma non ha sponde istituzionali. E invece è proprio sui territori, non chiusi in se stessi, che si creano oggi comunità capaci di vera ecologia integrale.
Intervento. Transizione ecologica attenuata. Così non serve né salva l’Italia
M. Agostinelli, V. Colmegna, E. Molinari, D. Padoan, G. Viale —
mercoledì 24 marzo 2021
L’intrecciarsi di crisi climatica e pandemica ci sta mostrando che non è possibile una crescita economica senza limiti, che non a ogni problema si può trovare una soluzione puramente tecnica
Ansa
Nel discorso con cui ha chiesto la fiducia al Senato, lo scorso 17 febbraio, il presidente Draghi ha richiamato le parole di papa Francesco pronunciate in occasione del quinto anniversario dell’enciclica Laudato si’: «Le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro maltrattamento». L’affermazione del pontefice, che indicava la necessità di agire subito per fermare la catastrofe climatica e la possibile estinzione del genere umano, continuava con una domanda non eludibile: «Anche nella casa comune, nella terra, anche nel nostro rapporto con la gente, con il prossimo, con i più poveri, come possiamo ripristinare questa armonia? Abbiamo bisogno di un modo nuovo di guardare la nostra ‘casa comune’. Ma intendiamoci: essa non è un deposito di risorse da sfruttare». Sono parole che da sole costituirebbero un programma politico. L’ecologia integrale delineata nell’enciclica impone di improntare i comportamenti individuali e collettivi a una sobrietà e a un senso del limite che abbiamo perso, pagando con l’alienazione che viene dall’aver dimenticato la nostra condizione di viventi tra viventi, abitanti di uno stesso pianeta. Eppure l’enciclica rischia di essere trasformata in un espediente retorico utile a mascherare prassi che mirano a conservare le cose esattamente come sono o, addirittura, ad accelerare la corsa verso la rovina della «casa comune» da cui quel testo cercava di mettere in guardia l’umanità.
L’audizione del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani – che lo scorso 16 marzo ha presentato il suo programma di lavoro davanti alle commissioni congiunte Ambiente e Attività produttive di Camera e Senato – è stata la prima occasione per provare a comprendere gli intendimenti effettivi dell’esecutivo su questa materia così stringente, su cui sono chiamati a misurarsi i governi della comunità internazionale. Il recente passato del ministro, transitato dall’Istituto italiano di tecnologia (Iit) ai vertici di un’industria ormai specializzata quasi esclusivamente nella produzione e nella vendita di armi, dava adito a qualche preoccupazione e forse persino a qualche pregiudizio, ma abbiamo fortemente apprezzato gli aspetti positivi del suo intervento, dall’esplicito impegno a perseguire una maggiore giustizia sociale al riconoscimento della generale interconnessione di tutti gli aspetti delle nostre esistenze; dalla conferma dell’obiettivo dell’eliminazione graduale (phase- out) dell’uso del carbone entro il 2025 all’invito ad adottare una dieta meno dipendente dalle proteine animali, anche come contributo alla riduzione delle emissioni di gas serra.
Ci sono però motivi di allerta per la visione presentata in quell’intervento, a cominciare dalle assenze. Non c’è alcun riferimento, al di fuori del passo citato, al peso degli allevamenti industriali. Non una parola sulla biodiversità e sulla nostra necessità di riconciliarci con gli habitat naturali e con il vivente. Nulla sulla riduzione dei consumi energetici (sufficienza e risparmio), benché tutti gli esperti del settore abbiano chiaro che questa è la principale ‘fonte energetica’ di un assetto sostenibile che, a parità di benefici, potrebbe portarci a una riduzione dei consumi fino al 40%, e ancor più, se a essa venisse abbinata una conversione dei nostri stili di vita opulenti (per chi se li può ancora permettere). Le cifre, in termini di megawatt, su cui si basano le ipotesi presentate da Cingolani, non incorporano nessuna misura di contenimento sostanziale dei consumi energetici del nostro Paese. Nessuna proposta concreta di partecipazione della popolazione, delle comunità locali, delle associazioni civiche e ambientaliste o delle organizzazioni sindacali all’elaborazione e all’attuazione della transizione. Nel suo intervento, il ministro si è limitato a garantire una periodica consultazione delle Commissioni parlamentari.
È significativo che il termine adottato dal nuovo Ministero sia ‘transizione’ (dalla situazione attuale a quella di un Paese ‘decarbonizzato’) e non ‘conversione’, il termine che ricorre nella Laudato si’per ricordare che non si può salvare la «casa comune» senza un profondo coinvolgimento personale di ciascuno e della comunità. Si può leggere in questo senso il fatto che non venga mai indicato chi farà che cosa: la ‘gente’, il popolo, le associazioni, le comunità, le autonomie locali? O la grande impresa e i nostri enti multinazionali, le cui tecnostrutture prenotano ora le quote di climalteranti che saremo ancora costretti a tollerare, mentre perpetuano un mix di modelli energetici, pur di mantenere in vita i fossili?
La preoccupazione diventa aperto dissenso quando il ministro passa a esaminare il tema scottante dei sussidi ambientalmente dannosi (Sad). «Ovvio – ha affermato – che è un controsenso incentivare qualcosa che va contro le nostre idee di decarbonizzazione, ma siamo in piena crisi e dobbiamo essere sostenibili anche nelle decisioni». L’attuale crisi economica sembra però destinata a durare a lungo, in base all’ipotesi sempre più concreta di una ‘stagnazione secolare’, dunque le misure necessarie alla decarbonizzazione potrebbero essere rimandate all’infinito, mentre si continua intanto a incentivare e detassare i sussidi alle fonti fossili anziché eliminarli e affrontare da subito le esigenze dei lavoratori che da questi tagli sarebbero danneggiati.
Il programma del ministro per la Transizione ecologica perde ulteriormente credibilità quando esplicita un totale affidamento a due tecnologie inesistenti e inconsistenti.
La prima è il sequestro di carbonio (Css), mai nominato ma implicito nel riferimento all’«idrogeno blu» come soluzione praticabile in attesa che diventi economicamente competitivo l’«idrogeno verde» da fonti rinnovabili.
La seconda è la fusione nucleare, un progetto che in cinquant’anni ha divorato decine di miliardi promettendo sempre di diventare operativo in un breve lasso di tempo, ma che per Cingolani, miracolosamente, si potrebbe concretizzare in dieci anni, quando «i nostri successori parleranno di come abbassare il prezzo dell’idrogeno verde e di come investire sulla fusione nucleare».
Avremmo a disposizione, a quel punto, quantità infinite di energia – quella che tiene in vita le stelle – rendendo così meno necessario un passaggio accelerato alle fonti rinnovabili: sole, vento, onde e geotermia. Ma nel frattempo, aspettando Godot, le cose continueranno a procedere per il loro verso. Non ci sarebbe bisogno della conversione chiesta da Francesco, ma solo di una ‘transizione’ attenuata in cui gli interessi costituiti – quelli del gas, se non anche del petrolio – seguiranno a dettare le nostre politiche energetiche, mentre si apre la corsa a investire i miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) messi in campo per attuare una riconversione del modello produttivo in senso ecologico.
Non è un caso che il Piano per le aree idonee alla ricerca ed estrazione di idrocarburi (Pitesai), di cui il ministro ha annunciato il varo a fine settembre, sia stato immediatamente salutato dalla Camera di commercio e da Confindustria Romagna come un «cambio di passo decisivo per il comparto offshore ravennate, verso la scelta strategica di continuità nella produzione nazionale del gas». «La terra non è un deposito di risorse da sfruttare», aveva detto Francesco. E la Laudato si’ chiede il superamento del ‘paradigma tecnocratico’, della cultura estrattiva e della convinzione che l’intera realtà sia infinitamente disponibile alla manipolazione da parte dell’essere umano, totalmente consegnata al suo arbitrio.
L’intrecciarsi di crisi climatica e pandemica ci sta mostrando che non è possibile una crescita economica senza limiti, che non a ogni problema si può trovare una soluzione puramente tecnica, che non esiste una neutralità che non disturbi gli interessi costituiti, e ci impone di interrogarci sul senso di ciò che facciamo, sulla necessità di modificare radicalmente i criteri in base ai cui agiamo. È quello che ci saremmo aspettati da un governo che al suo nascere si è dichiarato ambientalista.
«Non si può scendere a patti con le leggi della fisica. Abbiamo bisogno di azioni immediate e concrete», ha affermato il 19 marzo il movimento Fridays for Future, in occasione dello sciopero globale per il clima. È in gioco il futuro della nostra comunità di umani, per questo è necessario uscire dal chiuso degli uffici e permettere alla società civile non solo di dare pareri su scelte fatte nei luoghi del potere, ma di essere protagonista di quelle scelte.
Si apra un forte dibattito e si vedrà quanto è capace di visione e propulsione quella comunità di persone, di donne e di giovani, che, priva di reale rappresentanza, ha forza e competenze per immaginare un futuro di giustizia e bellezza, traducendo in politica l’ecologia integrale. Il governo potrebbe cominciare con il tirare fuori dal cassetto la legge di iniziativa popolare sull’acqua bene comune – ferma in Parlamento a dieci anni dal referendum (uno scandalo per un Paese democratico) e a vent’anni dalla risoluzione Onu sull’acqua diritto umano. «Sorella acqua non è una merce: è un simbolo universale ed è fonte di vita e di salute», ha detto il Papa in occasione della Giornata mondiale dell’acqua, il 21 marzo.
Eppure è forse l’unica grande questione mondiale tuttora priva di un’agenzia, di un protocollo e di una sede di discussione – a differenza, ad esempio, dell’agenzia del farmaco. Human Technopole, il polo scientifico sorto nell’area Expo, di cui il ministro Cingolani è stato tra i principali artefici, potrebbe essere la sede idonea a ospitarla, dando così un’interpretazione democratica e condivisa delle linee guida della Ue.
Mario Agostinelli, Virginio Colmegna, Emilio Molinari, Daniela Padoan, Guido Viale
per Associazione Laudato si’ Un’alleanza per il clima, la terra e la giustizia sociale::
link :
https://www.laudatosi-alleanza-clima-terra-giustizia-sociale.it/
Dopo aver promosso seminari, convegni, lezioni, incontri con studenti, insegnanti e realtà territoriali, nel gennaio 2019, con un Forum al Palazzo Reale di Milano, l’associazione ha lanciato la proposta di elaborare un programma capace di dare attuazione alle indicazioni politiche della Laudato si’.
Il lavoro è proseguito per sei mesi, dando corpo a un documento al quale hanno contribuito più di duecento persone provenienti da vari ambiti di studio, attivismo e impegno, che – corredato di analisi, documenti e fonti – si è compiutamente trasformato in un libro. Il volume Niente di questo mondo ci risulta indifferente vuole essere la prima sintesi di un progetto in continuo divenire, che deve assumere vita nelle attività di formazione e nelle applicazioni concrete nelle comunità, nei territori, nelle istituzioni.
Il libro Niente di questo mondo ci risulta indifferente è un dialogo con l’enciclica Laudato si’, assunta a manifesto politico e progetto di azione comune.
Un inventario di pratiche e riflessioni che mettono al centro la cura della casa comune, la giustizia sociale e ambientale, l’uscita dall’antropocentrismo e l’urgenza di un progetto di rialfabetizzazione e autoformazione (una nuova pedagogia degli oppressi, per le scuole, per il sindacato, per la cittadinanza) che ripari i guasti causati al Pianeta e a chi lo abita – umani, animali, piante ed ecosistemi.
Abbiamo tratto dalla radicalità di Francesco indicazioni che investono i comportamenti individuali e collettivi e che implicano cambiamenti economici e politici non più rimandabili davanti alla catastrofe climatica e all’erosione degli ecosistemi di cui l’attuale pandemia non è che una prima conseguenza.
Il libro, pubblicato da Interno4 Edizioni e curato da Daniela Padoan, è in libreria dal 28 maggio e in ebook dal 16 maggio 2020.
Mi pare proprio che bisognerebbe cominciare da queste considerazioni, altro che ritorno alla normalità!