JOSE’ MARTI ( L’Avana, 1853 – Rio Cauto, 1895 ) , ” Padre della patria cubana “. ” El Apòstol ” per i Cubani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

José Julián Martí Pérez (L’Avana, 28 gennaio 1853 – Rio Cauto, 19 maggio 1895) è stato un politico, scrittore e rivoluzionario cubano. Fu un leader del movimento per l’indipendenza cubana; a Cuba è considerato uno dei più grandi eroi nazionali.

 

Cultivo la rosa blanca
En junio como en enero
Cultivo la rosa blanca
En junio como en enero
Para el amigo sincero
Que me da su mano franca…

 

 

José Martí nacque a L’Avana, nell’allora Cuba spagnola, primogenito degli otto figli (lui e sette sorelle) di Mariano Martí Navarro e di Leonor Pérez Cabrera, ambedue emigranti spagnoli originari, rispettivamente, di Valencia (nella Comunità Valenzana) e di Santa Cruz de Tenerife (nelle isole Canarie). All’età di quattro anni si trasferì con la famiglia in Spagna, nella città natìa del padre, per poi far ritorno sull’isola caraibica dopo soli due anni, dove frequentò una scuola pubblica del posto.

Oltre ad essere stato un grande scrittore, poeta e giornalista, Martí fu anche pittore e filosofo. Nel 1867 si iscrisse alla Scuola Professionale per la Pittura e la Scultura de L’Avana per prendere lezioni di disegno.

Nel 1869 pubblicò il suo primo testo politico nell’edizione unica del giornale El Diablo Cojuelo. Lo stesso anno pubblicò Abdala, un dramma patriottico in versi, nel monovolume La Patria Libre. Nello stesso anno compose il celebre sonetto 10 de octubre, che fu pubblicato poco più tardi nel giornale della sua scuola.

Nonostante questo successo, nel marzo di quell’anno le autorità coloniali chiusero la scuola ed egli fu costretto a interrompere gli studi. Così, cominciò ad odiare la dominazione spagnola della sua patria. Allo stesso modo, crebbe in lui l’odio per lo schiavismo, che ancora era praticato a Cuba. In questo e in altri aspetti della sua vita intellettuale fu fortemente influenzato dal grande pensatore statunitense Ralph Waldo Emerson.

 

Nell’ottobre del 1869 fu arrestato e incarcerato nella prigione nazionale, in seguito ad un’accusa di tradimento formulata dal governo spagnolo. Più di quattro mesi dopo, si assunse la responsabilità dei capi d’accusa e fu condannato a sei anni di reclusione. Sua madre tentò in tutti i modi di liberare il figlio (che a quel tempo aveva solo sedici anni, dunque era ancora minorenne), scrivendo lettere al governo; suo padre andò da un amico avvocato per ottenere un supporto legale, ma tutti gli sforzi fallirono. Col tempo Martí si ammalò e le sue gambe subirono gravi lesioni a causa delle catene che lo cingevano. Fu dunque trasferito dal carcere in un’altra parte di Cuba, nota come Isla de Pinos. In seguito, il governo decise di rimpatriare Martí in Spagna. Lì studiò legge e scrisse articoli sulle ingiustizie del dominio spagnolo a Cuba.

Dopo aver passato qualche tempo in Spagna, completò gli studi, conseguendo le lauree in Giurisprudenza ed in Filosofia e Lettere. In seguito si trasferì in Francia, dove trascorse qualche tempo prima di ritornare segretamente a Cuba sotto falso nome, nel 1877. Non riuscì ad ottenere un impiego finché non accettò un lavoro come professore di storia e letteratura a Città del Guatemala ( Guatemala ).

 

Nel 1880 Martí sì trasferì a New York, dove ricoprì il ruolo di console aggiunto per Uruguay, Paraguay e Argentina. Mobilitò la comunità di esiliati cubani, specialmente a Tampa e Key West, in Florida, per mettere in atto la rivoluzione e ottenere l’indipendenza dalla Spagna e, contemporaneamente, opporsi all’annessione di Cuba agli Stati Uniti, come desiderava qualche esponente politico statunitense. A questo scopo fondò anche, nel 1892, il Partito Rivoluzionario Cubano.

Nel 1894 partì con la volontà di approdare a Cuba e lottare direttamente per la rivoluzione, ma fu intercettato in Florida.

Convinse il generale rivoluzionario cubano Antonio Maceo Grajales, esule in Costa Rica, a riprendere la lotta contro gli spagnoli a Cuba. Il 25 marzo del 1895 pubblicò il Manifesto di Montecristi, proclamando l’indipendenza cubana e ponendo così fine a tutte le distinzioni giuridiche tra le razze, incoraggiando il contatto con gli spagnoli che non si opponessero all’indipendenza e incitando alla lotta contro chi non approvava la via dell’indipendenza.

 

L’11 aprile dello stesso anno Martí sbarcò a Cuba con un reparto di esuli ribelli, fra cui il Generalísimo Máximo Gómez. José Martí venne ucciso dalle truppe spagnole durante la battaglia di Dos Ríos del 19 maggio.

È sepolto nel Cementerio Santa Efigenia a Santiago di Cuba.

Durante tutto il corso della sua vita, lo scrittore e poeta cubano si oppose al coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra per l’indipendenza di Cuba, riferendosi allo stato americano come al “Golia delle Americhe”.

La Guerra ispano-americana iniziò (e terminò) all’incirca tre anni dopo la sua morte.

Fu membro della Massoneria e l’anniversario della sua nascita è celebrato solennemente ogni anno dai massoni cubani.

 

 

Prosa

“La riqueza exclusiva es injusta. […] No es rico el pueblo donde hay algunos hombres ricos, sino aquel donde cada uno tiene un poco de riqueza”

“La ricchezza esclusiva è ingiusta. […] Non è ricco il paese dove ci sono alcuni uomini ricchi, bensì quello dove ognuno possiede un po’ di ricchezza”

J. Martí. Obras Completas, “Guatemala”, tomo VII

“con un poco de luz en la frente no se puede vivir donde mandan tiranos”

“con un po’ di luce sulla fronte non si può vivere dove governano tiranni”

J. Martí. Obras Completas, “Carta a Manuel Mercado”, 20 aprile 1878, tomo XX

“la patria necesita sacrificios. Se la sirve, pero no se la toma para servirse de ella. Es ara y no pedestal”

“La patria necessita sacrifici. Si serve, non ce se ne impossessa per servirsene. La patria è un altare, non un piedistallo”

J. Martí. Obras Completas, “Carta a Ricardo Rodríguez Otero”, 16 maggio 1886, tomo I

“no hay odio de raza, porque no hay razas”

“Non c’è odio di razza, perché non esistono razze” – J. Martí. Obras Completas, “Nuestra América”, 30 gennaio 1891, tomo VI

“Cuba debe ser libre. De España y de los Estados Unidos”

“Cuba deve essere libera. Dalla Spagna e dagli Stati Uniti”

J. Martí. Obras Completas, “Cuaderno de apuntes 18”, tomo XXI

“los pueblos de América son más libres y prósperos a medida que se apartan de los Estados Unidos”

“i paesi d’America sono più liberi e prosperi quanto più si allontanano dagli Stati Uniti”

J. Martí. Obras Completas, “Las guerras civiles en Sudamérica”, 22 settembre 1884

“Patria es una, empieza en el Río Grande, y va a parar en los montes fangosos de la Patagonia”

“la Patria è una sola, incomincia nel Río Grande e finisce nei monti fangosi della Patagonia”

J. Martí. Obras Completas, “La vida de verano en los Estados Unidos”, 1886, tomo XI 

 

 

 

 

  

Poesie

“Con los pobres de la tierraquiero yo mi suerte echar: el arroyo de la sierrame complace más que el mar”

“Con i poveri della terra voglio condividere il mio destino: il ruscello della sierra mi piace più che il mare”

J. Martí. Obras Completas, “Versos sencillos”, 1891, tomo XVI

“Yo sé de un pesar profundoentre las penas sin nombres:¡la esclavidud de los hombreses la gran pena del mundo!”

“Io so di un dolore profondo tra le pene senza nome: la schiavitù degli uomini è il più grande dolore del mondo”

J. Martí. Guantanamera. Zelig Editore, Milano, 1996

“Yo quiero salir del mundopor la puerta natural:en un carro de hojas verdesa morir me han de llevar.No me pongan en lo oscuroA morir como un traidor:¡Yo soy bueno, y como buenomoriré de cara al sol!”

“Io desidero uscire dal mondo per la porta naturale: su un carro di foglie verdi a morire mi dovete portare. Non mi mettete al buio a morire come un traditore: io sono buono, e come buono morirò con la faccia al sole!”

J. Martí. Poesía completa. Edición crítica, Editorial Letras Cubanas, La Habana, 2001     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La prima guerra d’indipendenza e José Martì

Tratto dal libro “Attacco al Moncada” di Robert Merle.   

 

        

Un anno prima che la Spagna annullasse ogni possibilità d’intesa con la colonia, una crisi economica aveva sconvolto Cuba. Zucchero e alimenti di lusso e di consumo oscillante, vengono colpiti da ribasso sui mercati esteri. I piantatori subiscono perdite tali che un’intuizione nuova si fa strada nel loro cervello: lo schiavo costa più del salariato. La contraddizione è clamorosa: la produzione è stagionale e gli schiavi permanenti. Meglio sostituirli con l’operaio libero, che si è liberi di licenziare quando si vuole. Il piantatore è costretto a rendere all’umanitarismo quest’involontario omaggio: l’allevamento a fini servili degli uomini è meno conveniente di ogni altro. La Giunta d’informazione sollecita l’abolizione della schiavitù. Un interesse meglio inteso sta per abbattere un’istituzione che l’avidità ha tenuto in piedi per tre secoli.

Il 10 ottobre 1868 un uomo generoso e pieno di coraggio, Carlos Manuel de Céspedes, proprietario terriero d’Oriente, proclama l’indipendenza di Cuba, chiede l’abolizione della schiavitù e libera i propri negri.

Il governatore spagnolo Lersundi gli manda contro le truppe. Comincia la guerra, una guerra rivoluzionaria nella quale due rivoluzioni si connettono e si spalleggiano, i piantatori in rivolta contro la metropoli, gli schiavi in rivolta contro le proprie catene. E’ una rivoluzione rurale, non urbana. Le grandi città, Santa Clara, Camaguey, Santiago, sono difese da forti guarnigioni. L’ Avana poi, nonostante le agitazioni degli studenti è tagliata fuori dalla lotta: qui la classe più ricca è costituita dai commercianti spagnoli fedeli al re.

A Cuba le insurrezioni che decidono del destino dell’isola -1868, 1895, 1953 – partono tutte dalla provincia, tutte dalla stessa provincia: Oriente. Il fiume più lungo, le montagne più alte, le miniere più ricche, le baie più belle, il clima più caldo: questo è, al limite estremo dell’isola, la provincia di Oriente. A ovest una frontiera di appena 100 chilometri la separa dalla provincia vicina, la ridente Camaguey, saggia e panciuta. Oriente è come uno Stato ai confini dello Stato, colle sue tradizioni, la sua fierezza, la sua allegria africana. Novecento chilometri separano la sua capitale, Santiago, dall’ Avana. Qui la Spagna non è mai riuscita a imporre il patto coloniale. In questa terra umida, sotto il sole caldo, più che in ogni altra contrada di Cuba, bianchi e negri hanno mescolato i loro amori, dando vita a questo popolo indocile dalla lingua cadenzata: belle meticcie con la pelle d’ambra, uomini di un coraggio esemplare.

Oriente è la patria nella grande patria, una sintesi di quanto di più cubano c’è a Cuba, la terra mas rebelde , la provincia in cui ” la terra trema ma non gli uomini ,.. Da Oriente è uscita tutta la storia di Cuba.

In queste montagne il cacicco Hatuey organizzò le sue bande contro il conquistador. Da Yara, a diciotto chilometri a est di Manzanillo, Carlos Manuel de Céspedes lancia il suo appello nel 1868. Da Baire, a trenta chilometri da Bayamo, parte l’appello della seconda guerra dipendenza del 1895. A Dos Rios, tra il Rio Cauto e il Rio de Contramaestre, una palla spagnola uccide José Martì in una carica. A Baire e a Santiago il 26 luglio 1953 Fidel Castro passa all’attacco contro la dittatura di Batista. Ogni guerra rivoluzionaria crea metodi propri.

A Cuba i mambi – così si chiamano i ribelli – non hanno che escopetas o fucili che tolgono al nemico, ma interrompono le strade con barricate di ceppi di legno, sbarrano i fiumi, tendono imboscate e si scagliano sul nemico brandendo i machetes. Fucili da guerra contro machetes, cannoni contro escopetas: l’esercito spagnolo è un esercito moderno, comandato da un generale che conosce il proprio mestiere e il terreno, il conte di Valmaseda. Poiché gli effettivi .non sono sufficienti, egli recluta nelle città, e soprattutto all’Avana, volontari spagnoli. Se ne presentano subito trentamila. La tecnica militare, le armi, la disciplina, persino il numero: questi elementi di superiorità Valmaseda li ha tutti insieme. Le impiccagioni, le esecuzioni sommarie, i massacri di prigionieri si moltiplicano.

Quando ci si impadronisce di una città, l’ordine è di fucilare tutti coloro che l’istruzione rende pericolosi, medici, avvocati, insegnanti. Prima di partire dall’ Avana i volontari spagnoli, irritati perché dei giovani si sono esibiti al teatro di Villanueva vestiti con i colori della bandiera cubana, aspettano all’uscita la folla degli spettatori e la prendono a fucilate.

Il 27 novembre 1871 otto studenti di medicina, accusati senza alcuna prova di aver profanato la tomba di don Gonzalo Castanon sono condannati a morte. Proteste unanimi.

Il capitano spagnolo Federico Capdevila preferisce spezzare la spada piuttosto che esser complice di questo crimine indegno. Ma il governatore Lersundi rimane inflessibile, e mentre gli otto giovani sono condotti al supplizio, gli spagnoli lungo la strada esultano: ” Carne fresca! Sangre joven! “.

 

La prima guerra d’indipendenza dura dieci anni. Per la Spagna è una serie di vittorie sterili, per i mambi una serie di insuccessi vittoriosi. Valmaseda guadagna terreno, ma appena si allontana lo perde. Sulle sue orme la ribellione rinasce immediatamente; il terrore, anziché soffocarla, la moltiplica. La popolazione collabora, l’odio per la Spagna cresce. Colui che i cubani chiamano el Apòstol ha quindici anni quando scoppia la prima guerra. d’indipendenza. Si chiama José Martì. Per ironia del destino suo padre è sottufficiale nell’esercito spagnolo. Ma José è nato all’Avana e sa che cos’è l’amore per Cuba. Nel 1870 è arrestato per aver sorriso con derisione guardando sfilare i volontari di Valmaseda. Lo perquisiscono e gli trovano addosso una lettera nella quale egli critica un compagno di scuola per essersi arruolato dalla parte degli spagnoli. AI processo è condannato a sei anni di carcere: ha appena compiuto diciassette anni. Il Presidio politico, il carcere nel quale gli spagnoli gettavano patrioti cubani; avrebbe potuto essere un modello per i campi nazisti della morte lenta. Un anno dopo, quando viene deportato in Spagna José Martì ha il cuore indebolito, i polmoni intaccati. Ma sotto la sua grande fronte gli occhi neri, penetranti, lucenti e riflessivi sono fermi. Nel 1895 quando sbarcherà nell’Oriente, ‘la capacità di resistenza di quest’uomo fragile sorprenderà i mambi. Deportato in Spagna, non per questo egli si sente più spagnolo, ma Madrid è meglio del Presidio. Si iscrive all’università e ottiene una laurea in diritto e una in filosofia. Si interessa di economia politica; la storia lo attrae. Impara il portoghese, il francese, l’inglese, il tedesco e l’italiano. La cultura raggiunta, conquistata, non lo rende presuntuoso: si istruisce per liberarsi e per liberare Cuba. ” Esser, colto per essere libero: la cultura è un’arma, non un fronzolo.”

Lasciata la Spagna, visita la Francia e l’Inghilterra, poi si stabilisce nel Messico, il paese più vicino a Cuba. Insegna e comincia a scrivere: articolo, versi, drammi, romanzi, un’opera immensa, piena di talento e di battaglie. C’è in lui l’amore per Cuba, la penna è una spada. In Messico scopre la grande comunità della quale Cuba non è che una parte; la grande patria che comprende la patria cubana, il continente che soffre, il continente sottosviluppato, il continente che il grande vicino del nord saccheggia e consegna in mano ai dittatori: nuestra America, cioè l’America latina. Da questo momento Martì la aiuta e la difende come Cuba.

 

Il 20 dicembre 1877 sposa la cubana Carmen Zayas Bazan, ” fiore della borghesia cubana “, bella, bigotta, interessata. Il fiore ha le sue spine. Il suo sorriso ha già in sé il tormento futuro dell’Apostolo. Martì è desolato, e la delusione lascia un’eco nelle sue opere. La ” donna frivola “; che noia, ” che fatica amare! “. Che pena dover ” disprezzare ciò che si ama! “. Vaso vuoto, semplice piatto di carni profumate, mero plato de carnes fragantes.

Martì a ventiquattro anni è quello che era a diciassette. Il corpo gracile non si è irrobustito, il suo viso bello e armonioso ha la stessa purezza, gli occhi neri la stessa luce, la bocca la stessa fermezza. Se invecchiare significa compromettersi Jose Martì non invecchia. Segue con angoscia crescente ciò che avviene nell’isola. Via via che il tempo passa l’insurrezione contro la Spagna manifesta sempre più le sue debolezze. Per amministrare Cuba libre gli insorti hanno nominato una assemblea, ma questa non sa né dominare i generali né impedire i dissensi fra loro. La direzione della guerra si disperde tra molti caudillos locali, geloso ciascuno della propria regione come di un feudo. Altre opposizioni, più gravi e pericolose, si fanno strada.

La borghesia si preoccupa per i progressi degli elementi popolari tra i mambi; tra i soldati ci sono troppi guaiiros ( contadini ) e troppi operai degli zuccherifici; al comando troppi generali provengono dalla truppa : Maximo G6mez, Calixto Garcia, Vicente Garcfa. Si teme anche, o si finge di temere, una prevalenza di uomini di colore nell’esercito ribelle d’Oriente; il suo comandante, il generale Antonio Maceo, è un mulatto. L’unione patriottica che aveva permesso ai guaiiros e alle classi dirigenti di fronteggiare insieme la Spagna stava per lacerarsi. Così, quando il generale spagnolo Martinez Campos propone ai capi civili della ribellione un compromesso, essi non esitano a firmare il patto di Zanjòn (1878).

 

Che cosa ottiene Cuba dopo dieci anni di lotta? Quasi nulla: una amnistia che sarà presto ritrattata, alcune libertà che non saranno rispettate, un’ emancipazione che non si estende a tutti gli schiavi ma si limita ai negri che hanno combattuto nelle file dei mambi. I capi militari denunciano immediatamente il patto come un tradimento e se ne vanno in esilio. Tutti sanno che il gioco non è fatto, che un giorno tutto sarà rimesso in discussione. La pace è solo una tregua, e i cubani raccolgono le forze per farla finita con la Spagna. Il patto di Zanjon permette a José Martì di rientrare a Cuba dopo sette anni di esilio. Passa un anno. Per Martì Cuba in catene non è Cuba.

– Comincio a pensare che Martì sia un pazzo pericoloso, – dice il generale Ramon Blanco dopo aver ascoltato una delle sue conferenze.

Si prende pretesto da una rivolta senza conseguenze per arrestarlo. Viene deportato. A un emissario del governo spagnolo che lo avvicina sulla nave in partenza dall’Avana e lo invita a ” riflettere “, risponde seccamente: – Marti no es de la raza de los vendibles.( Martì non è in vendita, è di un’altra razza. ) La situazione non è matura per l’insurrezione; bisogna attendere. Martì si ritira a New York, dove resterà quattordici anni. ” Ho vissuto nel mostro, – ha scritto Martì, – conosco le sue viscere. ” Paragonato ai dittatori dell’America centrale il mostro è insensibile. Nelle sue viscere Martì fu sorpreso di poter dire e scrivere tutto quello che voleva. A New York, Martì è già maestro di pensiero per i cubani in esilio.

 

Due veterani della guerra dei dieci anni, il generale Maximo G6mez e il generale Antonio Maceo, gli fanno visita a New York. Per quando Cuba si solleverà di nuovo, Gomez si preoccupa di evitare le beghe e la dispersione che hanno pregiudicato la guerra dei dieci anni; propone perciò una giunta di cinque membri, tra i quali José Martì e chiede tutti i poteri per sé. Martì rispetta e ammira Gomez, ma respinge la proposta: le armi debbono cedere alla toga, la dittatura militare non deve proiettare la sua ombra sul futuro della patria. I due generali si congedano, ma non possono nulla senza Martì. Due giorni dopo egli scrive a Gomez: Un pueblo non se funda, General, como se manda un campamento.

Nel frattempo la sua fama cresce, L’Argentina, l’Uruguay e il Paraguay gli offrono la propria rappresentanza consolare a New York. L ‘Uruguay lo delega alla Pan American Monetary Commission, riunita a Washington nel 1891. L’idea che si nasconde dietro questo congresso è semplice: l’America del nord, massimo produttore d’argento del mondo, cerca di  porre il bimetallismo ai paesi dell’ America del sud, per poi proporlo all’Europa a nome delle due Americhe.

Il fragile Jose Martì si alza, ed esprimendosi di volta in volta con uguale eleganza nelle quattro lingue del congresso, ottiene contro il bimetallismo il voto quasi unanime dei delegati. Mi bonda es la de David, la mia fionda è quella di Davide. Per Davide non è che una scaramuccia. La battaglia vera è altrove (l’amore per Cuba in lui è come una febbre): Martì è inquieto. Finora solo la concorrenza degli appetiti inglesi ha impedito a Golia di far sbarcare i marines all’Avana. Ma sulla fine del secolo il leone britannico comincia a ritirarsi, ringhiando fra i denti, dai terreni di caccia degli Stati Uniti.

Il dominio di Golia sulla grande isola si fa più serrato. Compra miniere, centrali zuccheriere, grandi territori; monopolizza il commercio estero cubano. Il popolo che compra dà gli ordini, il popolo che vende obbedisce. Nel 1890 McKinley stabilisce una tariffa doganale dispotica, chiudendo gli Stati Uniti al tabacco dell’Avana. La maggior parte delle fabbriche di sigari cubane è costretta a trasferirsi negli Stati Uniti, a Tampa e a Kay West, con tutti gli operai. Dopo di che gli Stati Uniti rendono più elastiche le tariffe. Comprano il 95 per cento dello zucchero cubano, ma lasciano sussistere la minaccia di un diritto sullo zucchero che distruggerebbe in un anno solo l’economia dell’isola. Un popolo che voglia perire non ha che da vendere a un solo popolo. Infine propongono ripetutamente alla corona di Spagna di comprare Cuba: comprare un paese alla vigilia del XIX secolo, comprare un paese con tutti i suoi abitanti, da padrone a padrone, senza consultare i sudditi; comprare un paese come un negro da un negriero, calcolando il profitto che se ne può trarre; comprare un paese che ha appena concluso una battaglia di dieci anni per l’indipendenza, che ristora le forze per battersi di nuovo; comprare un paese con la sua fierezza, le sue aspirazioni, i suoi eroi, le tombe recenti di Carlos Manuel de Cespedes e di Figueredo (poeta cubano, autore dell’inno nazionale di Cuba; fucilato dagli spagnoli).

Trecento milioni di dollari è una somma tentante per un tesoro in dissesto, ma il padrone spagnolo dice di no. È’ un vecchio gran signore che vive al di sopra delle sue possibilità, ma ha l’orgoglio delle sue proprietà.

La minaccia tuttavia non è meno precisa, non meno imminente. Jose Martì fa la sua scelta. Decide di consacrare tutto il tempo e tutte le forze all’insurrezione, senza riservare nulla a se stesso, e accetta di pagarne il prezzo: povertà, oscurità e silenzio. Nel 1891 dà le dimissioni da tutti i consolati che ha assunto.  Smette di collaborare ai giornali sudamericani. Di più: smette di scrivere. Carmen Zayas Bazàn è incapace di comprendere e ancor meno di sopportare tanto sacrificio. Lo lascia, portando con sé il figlio. Mero plato de carnes fragantes. Martì è disperato ma prosegue da solo il cammino. Senza casa, senza soldi, senz’altra prospettiva che il sogno dell’indipendenza di Cuba, egli inizia un’impresa gigantesca, l’organizzazione della guerra contro la Spagna. Appoggiandosi agli operai cubani del tabacco, che vivono molto numerosi in Florida, fonda il Partito rivoluzionario cubano. Impone ai suoi compatrioti indocili una disciplina, chiede e ottiene da loro una sottoscrizione settimanale per comprare armi. Riesce poi a far riconoscere il partito dai generali della guerra dei dieci anni e impedisce ai movimenti clandestini a Cuba di sollevarsi troppo presto e in modo disordinato. Benché sorvegliato dalla polizia statunitense e insieme da agenti segreti spagnoli, riesce a comprare armi, ad accumularle, e a trovare dei battelli.

È ancora dimagrito, è fragile, quasi diafano. Sotto la sua fronte enorme, gli occhi dallo sguardo insieme lontano e vicino, sognante e lucido, inflessibile e dolce, sono infossati. Le guance sono scavate e accentuano la sagoma sorprendente del suo viso, un triangolo rovesciato che ha per base la fronte e il mento per vertice. Nel suo volto tutto è pensiero, ma ogni pensiero subito è attuato. Tutto è sogno, ma il sogno diventa azione. Martì brucia di febbre, di lavoro, di speranza. Incapace di reggersi in piedi, continua il suo compito, magro da sembrare sull’orlo della tomba. Mover un pais, por pequeno que sea, es obra de gigante ( Muovere un paese, per piccolo che sia, è opera da giganti ). Il gigante ansima: porta sulle spalle Cuba e insieme a Cuba nuestra America. Egli vede limpidamente l’obiettivo: quando Cuba avrà strappato l’indipendenza alla Spagna, Cuba e i paesi fratelli dell’ America latina dovranno sottrarsi al dominio degli USA. Mi bonda es la de David.

 

Opera da gigante, si diceva, ma vediamo la forza della sua parola: a Tampa, in Florida, un operaio cubano del tabacco, favorevole alla corona di Spagna, mette del veleno nel vino di Martì. Questi lo beve, ma si salva. Un incidente senza importanza. Non è il veleno che lo preoccupa, ma la mancanza di patriottismo di quel cubano. Appena rimesso chiede di parlargli da solo. Un rivoluzionario crede nel potere della persuasione: Martì espone le sue convinzioni e dopo un’ora l’attentatore si getta tra le braccia della vittima e entra nelle file dell’insurrezione. All’inizio del 1895 Martì raggiunge l’obiettivo. L ‘accordo con Maximo Gomez è concluso e cementato. Tre battelli pieni di armi e munizioni li attendono in un porto della Florida per trasportarli a Cuba.

Il 12 gennaio le autorità degli Stati Uniti, avvertite, perquisiscono i tre battelli e li sequestrano insieme alle armi. La Spagna, informata, trae un respiro di sollievo: gli interessi possono contrastare, ma quando si tratta dei sottoposti ci si rende qualche piccolo servizio, da padrone a padrone…

Martì e Gomez decidono di andare avanti lo stesso. Con quattro compagni, 1’11 aprile 1895 alle 10 di sera, riescono a sbarcare nella provincia d’Oriente. Un mese e mezzo prima Martì ha firmato l’ordine d’insurrezione, e l’appello di Baire è stato lanciato nell’isola. La rivolta nell’ovest è fallita, ma è riuscita in Oriente, dove i contadini sono uniti intorno a un vecchio comandante negro: si chiama Guillermo Moncada. Più tardi si darà il suo nome alla caserma di Santiago.

Il 19 maggio 1895 Martì e Gomez alla testa di scarse truppe si congiungono con grande gioia al generale Mas6, che guida una colonna di trecento cavalieri. Due ore più tardi a Dos Rios si scontrano con un battaglione spagnolo forte di ottocento uomini agli ordini del colonnello Ximenes de Sandoval. La lotta è furibonda e l’esito incerto. Martì contro i consigli di G6mez vuol partecipare al combattimento. Si precipita in avanti, rimane isolato e un colpo lo getta ai piedi del suo cavallo. Resta così nelle mani dei nemici, che lo decapitano e lo seppelliscono a Remanganagua. Il 23 il governo spagnolo ordina di esumare il corpo e imbalsamarlo.

Da allora sono passati settant’anni e ci si accorge che la vita di José Martì non fu che una piccola parte della sua esistenza.. I secoli si consumeranno contro il granito della sua opera. Benché sia morto senza liberare Cuba, di lui la storia non ha conservato questo insuccesso, ma l’insegnamento che egli ha lasciato. Egli ha formato Mella, Chibàs, Castro. A Cuba, davanti a ogni scuola un busto candido mostra ancora il suo viso pensoso, inclinato in avanti sotto il peso della fronte. In grandi caratteri neri su quelli che un tempo erano i pannelli pubblicitari delle strade, in caratteri d’oro sulle facciate dei ministeri, in caratteri luminosi di notte in cima ai grattacieli dell’Avana, e persino nei cimiteri, sulle tombe delle vittime della dittatura, le sue frasi si librano fiere, equilibrate, cariche di senso. José Martì incarna la coscienza storica di Cuba. Ma la sua parola non si ferma qui: dal Rio Grande alla Patagonia, di eco in eco, essa risuona su un continente che aspetta che “suoni l’ora di proclamare una seconda volta la propria indipendenza”, negri, indios, meticci, iberici, duecento milioni di uomini poveri e disprezzati, nuestra América.

 

 

 

da : 

 

http://www.siporcuba.it/martispeciale.htm

 

 

Attacco al Moncada. Il primo giorno della rivoluzione cubana - Robert Merle - copertina

 

Attacco al Moncada. Il primo giorno della rivoluzione cubana

 Robert Merle

Editore: Editori Riuniti
Tipologia: Libro usato vintage
Anno edizione: 1968
Pagine: 311 p.

José Marti, Repubblica de Cuba, 1916

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1 risposta a JOSE’ MARTI ( L’Avana, 1853 – Rio Cauto, 1895 ) , ” Padre della patria cubana “. ” El Apòstol ” per i Cubani.

  1. i. scrive:

    Bella e affascinante la biografia di questo eroe, ancora poco conosciuto da noi. E’ incredibile come un uomo possa mantenere fede ai suoi ideali e sopportare le sconfitte.

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