LIMES ONLINE DEL 17 FEBBRAIO 2021
17/02/2021
La rassegna geopolitica del 17 febbraio.
analisi di Federico Petroni
UE, EURO, FRANCIA, GERMANIA, SAHEL,
JIHAD, USA, ARABIA SAUDITA,
MAROCCO, SAHARA OCCIDENTALE,
CINA, INDIA, RUSSIA,
MARIO DRAGHI
LA POLITICA ESTERA DI DRAGHI
“Senza l’Italia non c’è l’Europa. Ma, fuori dall’Europa c’è meno Italia”.
L’attenzione mediatica attorno al discorso al Senato di Mario Draghi si è concentrata sulla seconda frase. Presa come affondo contro il sovranismo e letta assieme al cenno sulla “irreversibilità della scelta dell’euro”.
La più interessante è in realtà la prima.
Perché conta:
Si riferisce al rischio sistemico dell’Italia. Cioè alla principale risorsa del nostro paese: la sicurezza che se falliamo trasciniamo nel baratro l’economia europea.
È il motivo per cui la Germania non ci caccia dall’Eurozona e anzi finanzia la ripresa (salvezza?) nostra e dei paesi più deboli. Draghi addirittura rilancia parlando di un futuro “bilancio pubblico comune” dell’Ue per sostenere i membri in recessione, implicita richiesta che l’intervento tedesco da estemporaneo diventi istituzionale. È un primo indizio di come il suo governo potrebbe usare il potere di ricatto italiano.
Il presidente del Consiglio ha inoltre definito necessario “strutturare e rafforzare il rapporto” con Francia e Germania.
L’uso del singolare suggerisce l’intenzione di arrivare a un più o meno formale triangolo con Parigi e Berlino. Sforzo imprescindibile per il controllo che questi attori esercitano sulla nostra economia. Ma pure per entrare nelle reti che stanno discutendo un rafforzamento dell’autonomia dell’Ue da Stati Uniti e Cina. Influire sull’agenda franco-tedesca è obbligatorio per non subirla. E per guadagnare credito agli occhi di Washington.
L’appello a un dialogo più virtuoso fra l’Ue e la Turchia, definita “partner”, conferma una scelta di campo delle nostre autorità: con Ankara bisogna andare d’accordo, atteggiamento contrario a quello più muscolare della Francia e in concorrenza con la simile cautela mostrata dalla Germania. L’intenzione di consolidare le relazioni con Spagna, Grecia, Malta e Cipro segnala il recupero di un’agenda mediterranea di cui l’Italia ha bisogno per contare di più in Europa, soprattutto in ambito migratorio.
Brevi infine gli accenni a Russia e Cina. Adoperarsi per il dialogo con Mosca mentre si segnala il tema dei diritti umani è un classico della diplomazia italiana. Definirsi preoccupati per le crescenti tensioni in Asia attorno alla Cina serve a prendere tempo per formulare una posizione sulle attività di Pechino – anche in casa nostra.
Per approfondire: L’Italia di Draghi (video)
LA FRANCIA RESTA NEL SAHEL
Emmanuel Macron fa marcia indietro. Al vertice con i cinque paesi del Sahel ha annunciato che non comincerà subito, come ventilato in precedenza, a ritirare le truppe francesi impegnate nell’operazione Barkhane.
Il ritiro inizierà “nel medio termine”, dando tempo ai 5.100 militari transalpini di continuare a combattere i jihadisti nella tripla frontiera fra Mali, Niger e Burkina Faso. E soprattutto alle autorità locali di ripristinare i servizi essenziali per allontanare la popolazione dalle milizie.
Perché conta: Macron dovrebbe aver cambiato idea per una serie di fattori.
Ha ottenuto maggiore impegno dai governi locali, che in precedenza sembravano propensi a dialogare con i jihadisti e che ora forniranno più truppe (1200 soldati nel caso del Ciad).
È in trattativa per ricevere supporto logistico e d’intelligence dagli Stati Uniti: il segretario di Stato Antony Blinken è intervenuto al vertice online. Non è nemmeno escluso che abbia ricevuto da Washington la richiesta di restare per arginare l’espansione verso sud dei russi stanziati in Libia, che si muovono veloci nel deserto del Fezzan. Altri paesi europei avevano espresso la preoccupazione per un alleggerimento dell’impegno militare francese in Africa, visto come un argine a violenze che possono generare grandi flussi migratori verso il nostro continente.
Il ritiro, benché parziale, avrebbe inoltre mandato un pessimo segnale alla nascente task force Takuba (sciabola, in berbero). Si tratta di una missione multinazionale sotto il comando francese, formata da reparti speciali di altri nove paesi, incaricati di guidare in battaglia le forze locali. L’Italia a inizio marzo invierà un contingente di circa 200 unità, una ventina di veicoli e otto elicotteri (con compiti di evacuazione medica, non solo di combattimento).
Pubblicamente, i francesi ritraggono Takuba come laboratorio per missioni militari europee. Dicono apertamente che la task force dovrebbe sostituire idealmente Barkhane, raggiungendo i 2 mila militari, di cui 500 francesi. Notano con piacere l’interesse a parteciparvi di Serbia, Georgia e Ucraina, che la userebbero per avvicinarsi a Ue e Nato. Nei fatti, però, continuano a ritenere urgente ridurre l’impegno nel Sahel. Ne hanno soltanto modulato la velocità.
Per approfondire: La Francia sconfitta nel Sahel
BIDEN SNOBBA MBS
La Casa Bianca ha annunciato che condurrà le relazioni diplomatiche con l’Arabia Saudita attraverso re Salman, non più, come sotto Trump, attraverso l’erede al trono Mohammed bin Salman, leader di fatto del regno.
Perché conta:
È l’ennesimo segnale di un cambio di tono verso Riyad, dopo il congelamento della vendita di armi e lo stop al sostegno alla guerra in Yemen (descritto come “complicità a un massacro” dall’inviato speciale degli Usa per l’Iran, Robert Malley). Tuttavia, va letta assieme alla telefonata che il presidente Biden non ha ancora fatto al premier israeliano Benjamin Netanyahu. E alla dichiarazione del segretario di Stato Antony Blinken che il canale diplomatico con l’Iran è ormai aperto.
Insomma, la nuova amministrazione fa sapere in pubblico di parlare con Teheran e non con i leader dei suoi principali soci mediorientali. Vuole segnalare discontinuità rispetto al governo precedente, che aveva privilegiato i rapporti personali con Netanyahu e il principe saudita. E vuol far capire che terrà conto dei loro interessi nelle trattative coi persiani, ma fino a un certo punto.
Per approfondire: Riusciranno gli Stati Uniti a risolvere il rompicapo mediorientale?
MAROCCO E SAHARA OCCIDENTALE
El Pais sostiene che è in corso una particolare guerra di propagande fra il Marocco e il Fronte Polisario, gruppo indipendentista saharawi (il Sahara Occidentale è un territorio conteso, quasi interamente sotto il controllo del Marocco). Da quando quest’ultimo ha ripreso le ostilità contro Rabat, il suo ufficio di comunicazione pubblica praticamente ogni giorno dei bollettini di guerra, mentre il Marocco tace. A parte in un’occasione, quando a fine gennaio è stato costretto ad ammettere un “disturbo minore” nell’area di Guerguerat, cittadina al confine meridionale del Sahara occidentale dove il Polisario aveva comunicato di aver lanciato quattro missili.
Perché conta:
Non è soltanto una guerra fra lo Stato centrale e un gruppo indipendentista. Rischia di assumere i contorni di un confronto indiretto fra Usa e Russia. L’amministrazione Trump, pochi giorni prima di lasciare il potere, aveva riconosciuto la sovranità marocchina sul Sahara occidentale in cambio dell’apertura di relazioni diplomatiche con Israele. Qualche settimana prima, aveva anche rimproverato l’Algeria per gli eccessivi legami con Mosca (vendita di armi). Ma l’Algeria sostiene da decenni il Polisario. Ecco dunque che la mossa di Washington, tradizionalmente equidistante fra Algeri e Rabat, ha avuto l’effetto di accostarla alla seconda. L’amministrazione Biden ha ereditato un rompicapo in Nord Africa. Sarà difficile rovesciare la decisione del Sahara occidentale. Il Marocco lo sa e per il momento prova a soffrire in silenzio.
Per approfondire: Marocco e Sahara Occidentale (carta)
INTANTO, NEL MONDO…
Oceano Indiano
Anche l’India partecipa alle esercitazioni navali fra Russia, Iran e Cina. Altro piccolo gesto distensivo fra Delhi e Pechino dopo l’arretramento delle posizioni nell’Himalaya.
Cina-Ue
Nel 2020, la Repubblica Popolare è stata il primo partner commerciale dei paesi dell’Unione Europea, superando per la prima volta gli Stati Uniti (586 miliardi di euro di interscambio contro 555). Il cambio al vertice è più da attribuire al calo americano (-13,2% per l’export, -8,2% per l’import) che alla crescita cinese (+2,2% per l’export, +5,6% per l’import).
Russia-Cina
Da marzo, la Borsa di Mosca aprirà tre ore prima per tentare di attirare più scambi denominati in renminbi. Nel 2020, questi ultimi sono stati una frazione risibile di quelli denominati in dollari (1/260 circa).
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