da Donatella, pur è bella ! PINO CORRIAS :: Sciascia, silenzi e fumo. A cent’anni dalla nascita — ” L’eretico dai molti nemici e una sola ossessione: smascherare il potere ” —IL FATTO QUOTIDIANO DEL 8 GENNAIO 2021 –pag. 18

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 8 GENNAIO 2021 –pag. 18

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/08/sciascia-silenzi-e-fumo-a-centanni-dalla-nascita/6058780/

 

Sciascia, silenzi e fumo. A cent’anni dalla nascita

Sciascia, silenzi e fumo. A cent’anni dalla nascita

L’eretico dai molti nemici e una sola ossessione: smascherare il potere

di Pino Corrias | 8 GENNAIO 2021

 

 

Era intenso di memoria, fulmineo negli intrecci, esatto nella scrittura. Leonardo Sciascia è stato un uomo di inchiostro e di silenzi. D’inchiostro perché la sua vita ha coinciso con la sua opera, magnificamente battuta a macchina con due dita e cento sigarette alla volta. E di silenzi, perché è lì che abitava durante i lunghi itinerari della mente – impegnato a illuminare indizi e a fabbricare trame – che fosse in lenta passeggiata, tra le ombre in giallo del suo paese, Racalmuto, o tra quelle più lunghe e nere della grande storia italiana: la miseria dei vinti, il potere e i suoi segreti, la chiesa e i suoi inganni, la mafia, il terrorismo, le tragedie nazionali di Aldo Moro (schierandosi dalla sua parte, contro il partito della fermezza) ed Enzo Tortora (credendo alla sua innocenza, contro l’imbroglio dei giudici, la gogna dei media), i nodi scorsoi della giustizia. Compresa la ricorrente polemica sui “Professionisti dell’antimafia”, articolo uscito sul Corriere della Sera, anno 1987, e che generò equivoci, nemici, strumentalizzazioni, perché conteneva una verità semplice, ma urticante, e cioè che tanti magistrati, tanti politici, “dediti all’eroismo che non costa nulla”, usavano lo schermo dell’antimafia per fare carriera. Scrisse nel suo ultimo libro A futura memoria: “Io ho dovuto fare i conti, da trent’anni a questa parte, prima con coloro che non credevano o non volevano credere all’esistenza della mafia. E ora con coloro che non vedono altro che mafia”.

La sua opera-mondo ha radici in quella Sicilia remota dove nacque, anno 1921, provincia agricola di Agrigento, padre impiegato, madre casalinga, le magistrali a Caltanissetta, per pochi anni maestro elementare. Per tutti gli altri, compresi quelli passati in Sellerio a selezionare libri altrui per la sua collana “Memoria”, maestro dello sguardo.

Sciascia è stato il più solitario tra gli scrittori in pubblico. E insieme il più privato tra i saggisti. Corsaro più di Pasolini che pure ammirava: “Sono d’accordo con Pasolini, sempre, anche quando ha torto”.

Insofferente al tempo immobile della Sicilia, non amava Verga, il fatalista, ma Vitaliano Brancati, che considerava il suo maestro, insieme con il Manzoni dei Promessi Sposi, il suo romanzo di formazione, per la lingua, per i destini imprigionati dalla Storia, per il disperante finale in cui è don Abbondio a trionfare, per trasformismo e viltà.

Il suo agire era nella parola scritta. Nel ragionare sulla vita “che è fatta di tante delusioni, grandi e piccole”. Districandosi tra le maschere che vanno in scena ogni giorno nell’eterno teatro pirandelliano dell’assurdo.

La politica, per Sciascia era “la naturale conseguenza della scrittura”. E anche in quella sua solitaria navigazione civile, Sciascia fu eccentrico: indipendente nelle file del Partito comunista, eletto consigliere a Palermo, dimissionario dopo tre anni per incompatibilità al compromesso storico e alla disciplina di partito. Libero e libertario anche tra le file dei radicali di Pannella, che frequentò per una intera legislatura, 1979-83, prima di ritirarsi, con disincanto, anche da lì, dal Parlamento dei pupi, degli “impiegati d’ordine”, delle “anime morte che fanno numero, senza mai un pensiero proprio”, dei retori, degli imbecilli.

Venendo dai dialoghi di Diderot e dalla scienza di Tocqueville, pensava che lo Stato si incarnasse nella Costituzione. E che la Costituzione fosse stata imprigionata dalla partitocrazia che aveva inghiottito i tre separati poteri della buona democrazia. Scrisse: “I partiti fanno le leggi, le fanno eseguire, le fanno giudicare”. E sono gli alfabeti della letteratura la luce capace di svelare gli inganni perpetui del potere. Perché è sempre il potere, declinato nella sua Sicilia come metafora e come monito, il vero protagonista della sua meticolosa radiografia, narrata in cento racconti, articoli, testi teatrali, saggi. Il potere della chiesa, a partire dai suoi primi libri: Le parrocchie di Regalpetra, Morte dell’inquisitore. Dei partiti politici, come in Todo modo. Della macchina giudiziaria, come nel Contesto e in Porte aperte. Della ragione di Stato, come ne L’affaire Moro. E naturalmente il potere della mafia che ne Il giorno della civetta raccontò per primo, anno 1961, nel modo più memorabile: “Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia – dice nel finale uno dei personaggi –. Gli scienziati dicono che la linea della palma… viene su verso il nord di cinquecento metri, mi pare, ogni anno… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su per l’Italia. Ed è già oltre Roma”.

Ebbe una infinità di lettori. Qualche amico – Bufalino prima di tutti –, molti nemici. Scrisse: “Di volta in volta sono stato accusato di diffamare la Sicilia o di difenderla troppo; i fisici mi hanno accusato di vilipendere la scienza, i comunisti di avere scherzato su Stalin; i clericali di essere senza un Dio”.

Sulla lastra bianca del cimitero dove è sepolto, anno 1989, scelse un congedo speciale: “Ci ricorderemo di questo pianeta”. Vale specialmente se letto al contrario, perché Sciascia fu uomo d’altro secolo, ma anche del prossimo venturo.

Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

1 risposta a da Donatella, pur è bella ! PINO CORRIAS :: Sciascia, silenzi e fumo. A cent’anni dalla nascita — ” L’eretico dai molti nemici e una sola ossessione: smascherare il potere ” —IL FATTO QUOTIDIANO DEL 8 GENNAIO 2021 –pag. 18

  1. Donatella scrive:

    Quando uscì l’articolo di Sciascia sui professionisti dell’antimafia, provocò un grande sconcerto tra l’opinione pubblica che guardava con entusiasmo ai giudici che combattevano la mafia e nello stesso tempo ammiravano Sciascia come grande scrittore ed intellettuale. Questo articolo mi pare che chiarisca bene, anche se in modo veloce, quella contraddizione probabilmente apparente che disorientò molte persone.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *