+++ Discorso di Duccio Galimberti- Cuneo, 26 luglio 1943 ricostruito ” filologicamente ” dal Comune di Cuneo, l’Istituto storico della Resistenza e della Società contemporanea provincia di Cuneo con l’Accademia teatrale Giovanni Toselli—

 

Il Comune di Cuneo e l’Istituto Storico della Resistenza e della Società contemporanea in provincia di Cuneo, in collaborazione con l’Accademia teatrale Giovanni Toselli, hanno presentato Storia di Duccio. Un’idea di libertà. La rievocazione della figura e dell’opera di Galimberti si è chiusa con la lettura di una ricostruzione “filologica” del discorso che l’avvocato antifascista e capo partigiano tenne dal balcone della sua casa il mattino del 26 luglio 1943, dando avvio alla Resistenza. Fotografie di siti (sentieri, borgate) teatro della guerra partigiana nelle valli di Cuneo: Valle Pesio, Paraloup, Stalle del Pino (valle Ellero).

 

Cuneo, piazza Duccio Galimberti, 26 luglio 2014.

 

 

 

https://www.anpi.it/donne-e-uomini/2238/duccio-galimberti

 

Duccio Galimberti Archives - Scomunicando

30 aprile: Anniversario della nascita di Duccio Galimberti - Comune di Cuneo - Portale Istituzionale

 

Duccio Galimberti

 

 

Nato a Cuneo il 30 aprile 1906, ucciso a Centallo (Cuneo) il 4 dicembre 1944, avvocato, Medaglia d’oro della Resistenza, proclamato Eroe nazionale dal CLN piemontese, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.

 

Suo padre, Tancredi, era stato ministro delle Poste con Giovanni Giolitti e poi senatore fascista; la madre, l’inglese Alice Schanzer, era una poetessa. A Duccio erano stati imposti i nomi di Tancredi, Achille, Giuseppe, Olimpio, ma per tutta la vita sarebbe stato, appunto, Duccio, il vezzeggiativo familiare che gli è rimasto pure e, soprattutto, dopo la morte, anche se per un certo periodo nella Resistenza fu conosciuto come professor Garnera. Duccio, considerato un valente penalista già in giovane età, non venne mai, nonostante la posizione del padre, a compromessi con il fascismo. Quando giunse il momento della leva, non poté fare il corso di allievo ufficiale perché per frequentarlo avrebbe dovuto iscriversi al fascio; fece così il servizio da soldato semplice. Negli anni tra il 1940 e il 1942 tentò di organizzare a Cuneo, lui mazziniano fervente, gli antifascisti del luogo. È con la caduta di Mussolini che Duccio viene clamorosamente allo scoperto:

 

 

 

Nati il 30 aprile: il partigiano cuneese Duccio Galimberti – PiemonteTopNews

 

 

il 26 luglio del 1943 arringa la folla dalla finestra del suo studio che dava sulla Piazza Vittorio a Cuneo; nello stesso giorno parla in un comizio a Torino. Riferendosi al proclama del generale Badoglio grida: “Sì, la guerra continua fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista… “. Queste parole gli valgono subito un mandato di cattura delle autorità badogliane, che sarà revocato soltanto tre settimane dopo. L’8 settembre lo Studio Galimberti a Cuneo si trasforma in centro operativo per l’organizzazione della lotta armata popolare, dopo che Duccio non riesce a convincere il Comando militare di Cuneo ad opporsi in armi ai tedeschi.

 

Tre giorni dopo Galimberti, con Dante Livio Bianco ed altri dieci amici è già in Val di Gesso, dove costituisce il primo nucleo della banda “Italia Libera” (analoga banda viene formata in Valle Grana da Giorgio Bocca, Benedetto Dalmastro ed altri amici di Duccio), dalla quale nasceranno le brigate di Giustizia e Libertà.

 

Nel gennaio del 1944 Duccio, durante un rastrellamento, viene ferito; è curato sommariamente da una dottoressa, ebrea polacca, sfuggita ai nazisti e riparata tra i partigiani. Ma le ferite sono troppo gravi e Galiberti viene trasportato, su una slitta, sino all’ospedale di Canale. Quando si ristabilisce, viene nominato comandante di tutte le formazioni GL del Piemonte e loro rappresentante nel Comitato militare regionale.

In tale veste, il 22 maggio del 1944, conclude a Barcelonette un patto di collaborazione e di amicizia con i “maquisards” francesi.

In veste di “diplomatico” tratta pure l’unificazione e il coordinamento delle bande operanti in Val d’Aosta.

Si sposta poi a Torino ed è qui che viene localizzato e bloccato dai repubblichini.

È il 28 novembre del 1944. Inutili i frenetici tentativi delle forze della Resistenza di operare uno scambio con i tedeschi. I repubblichini considerano Duccio una loro preda, tanto che quattro giorni dopo, nel pomeriggio del 2 dicembre, un gruppo di fascisti dell’Ufficio politico di Cuneo arriva a Torino e lo preleva dal carcere.

Lo trasportano nella caserma delle brigate nere di Cuneo: qui Galimberti viene interrogato e ridotto in fin di vita dalle sevizie, ma non parla. Il mattino del 4 dicembre, l’eroico comandante di Giustizia e Libertà viene caricato su un camioncino, trasportato nei pressi di Centallo e abbattuto dai suoi aguzzini con una raffica alla schiena.

 

 

 

 

PUBBLICATO DA ” ASIABLOG ” DI ALESSIO FRATTICIOLI :: http://www.asiablog.it/2020/07/26/duccio-galimberti/

 

IL TESTO DEL DISCORSO DI DUCCIO GALIMBERTI IN UNA “RICOSTRUZIONE FILOLOGICA “

 

Cittadini di Cuneo, Italiani,

la notizia che da tanto tempo attendevamo è giunta. Mussolini è stato deposto o, come dice l’eufemistico comunicato di Sua Maestà il Re, ha rassegnato le dimissioni. Da giorni aspettavamo qualcosa del genere. La situazione militare e sociale dell’Italia si era fatta insostenibile. Ogni giorno nuove sconfitte si aggiungevano a quelle patite sul fronte africano e su quello russo. Metà della Sicilia è stata occupata dagli Angloamericani. Ogni giorno centinaia di soldati italiani cadono in combattimento e tanti civili muoiono sotto i bombardamenti. Molte città sono colme di macerie. Dove non si muore per armi, si rischia di morire di fame. Manca il pane, manca l’indispensabile per vivere. Siamo arrivati a questo punto per una guerra assurda imposta al paese da una dittatura che ha distrutto non solo la vita pubblica della nostra patria, ma anche la sua dignità e il suo onore.

L’iniziativa del Re è stata accolta con tripudio dal popolo italiano. Ovunque la folla festante invade le piazze, abbatte i simboli del regime, riscopre la gioia del parlare di politica, di lanciare slogan senza il terrore della denuncia e dell’arresto. Tutti noi partecipiamo a questo sentimento. Tutti noi viviamo il senso di liberazione che la caduta della dittatura suscita.

Ma non lasciamoci prendere dall’entusiasmo ingenuo. La deposizione di Mussolini non riporta indietro le lancette della storia, come se vent’anni di regime non fossero mai esistiti e l’Italia potesse riavere di colpo libertà, pace e benessere.

Il Duce non è stato travolto da una rivoluzione popolare, ma da una manovra di palazzo.

Anche noi sentiamo gridare “Viva il Re”, “Viva Badoglio”, sappiamo però che la rottura fra il Re e Mussolini è giunta molto tardi, dopoché tanto sangue italiano è stato vanamente versato per soddisfare le ambizioni sfrenate di un dittatore. Ancor più siamo preoccupati per gli obiettivi che intende perseguire il nuovo Governo e per i metodi con cui vuole agire. Il maresciallo Badoglio, ora primo ministro, nel suo messaggio alla nazione ha dichiarato: “La guerra continua a fianco dell’alleato germanico. L’Italia mantiene fede alla parola data, gelosa custode delle sue millenarie tradizioni” e ha aggiunto “chiunque turbi l’ordine pubblico sarà inesorabilmente colpito”.

Ora io mi chiedo: come può continuare la guerra a fianco dei tedeschi e come possono al contempo le millenarie, o anche solo secolari, tradizioni nazionali essere rispettate? Il balcone da cui vi parlo, affiancato da tanti amici, sinceri patrioti, di diverso orientamento politico, è quello stesso dal quale nel novembre 1918 mio padre assieme con voi cuneesi salutò la battaglia di Vittorio Veneto, la sconfitta degli Imperi centrali e, con la liberazione di Trento e Trieste, il compimento del Risorgimento. E’ contro il dominio austrogermanico che il popolo italiano ha dovuto combattere per conquistare la sua indipendenza. E allora, se crediamo nel destino e nel senso della storia dell’Italia, noi ribattiamo che, sì, la guerra continua, ma fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana.

Ma forse, potrebbe obiettare qualcuno, il Re e Badoglio agiscono in modo contraddittorio e occulto perché pensano di poter gradualmente uscire dal conflitto senza che l’Italia debba patire danni ulteriori.

Come pensano di poter ingannare i tedeschi? Da quando gli Angloamericani sono sbarcati in Sicilia, molte Divisioni tedesche hanno attraversato le Alpi e non tutte si sono dirette in Sicilia a combattere, ma hanno preso posizione in altri punti strategici della penisola. L’invasione dell’Italia da parte germanica è già cominciata. Per questo non possiamo accodarci ad una oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare se stessa a spese degli italiani. Il Re e Badoglio con le loro mosse miopi e grette rischiano di consegnarci indifesi e impreparati nelle mani di un feroce occupante. Rischiano anche di far risorgere o lasciar vivere più rigoglioso di prima il fascismo, anche se orfano del Duce. La Milizia è stata messa al sicuro, inserendola nell’Esercito: un riconoscimento mai ottenuto neppure negli anni di maggior forza del regime. I fascisti possono continuare a camminare impettiti per le strade e esibire il loro potere. Gli antifascisti che in questi anni hanno osato sfidare il carcere o il confino, restano in prigione, e molti altri sono destinati a raggiungerli in quei luoghi di sofferenza.

Mentre io parlo, le autorità militari stanno traducendo in bandi le direttive di Badoglio e del generale Roatta, che impongono il coprifuoco, proibiscono ogni manifestazione e minacciano il ricorso alle armi contro i civili.

Sono ordini spietati che vengono motivati con le esigenze di guerra.

Ma la loro guerra è incompatibile con la volontà di liberazione e di rinnovamento del paese. L’Italia vuole liberarsi dal giogo della dittatura e vuole anche farla finita con la barbarie nazista che tante rovine ha portato all’Europa. La guerra continuerà, perché i tedeschi e i loro complici fascisti non rinunceranno a perdere le posizioni di forza possedute in Italia. La guerra dovrà quindi continuare, ma non sarà quella di cui parla il maresciallo Badoglio: sarà guerra di Liberazione contro i tedeschi e i fascisti.

Il prezzo da pagare sarà alto e andrà ad aggiungersi a quelli già pagati dall’inizio della guerra, anzi i patrioti saranno costretti a prendere le armi non solo contro i tedeschi, ma anche contro i fascisti. Sarà una pena atroce, combattere contro degli italiani, ma inevitabile. Pensate: come è possibile che una nazione la quale per vent’anni ha sopportato le continue violazioni dei diritti e della dignità umana da parte di una dittatura, fino alla proclamazione delle guerre di aggressione, in poche ore ne venga liberata dall’alto da chi fino a ieri spartiva il potere con Mussolini oppure da un esercito straniero, sia pure inviato da paesi democratici?

No, il Risorgimento non sarebbe stato possibile senza il sangue versato dai cospiratori di Mazzini, senza l’eroismo e l’audacia di Garibaldi. Solo una libera scelta, compiuta dal basso, di massa, può riscattare gli Italiani dalla vergogna di vent’anni di fascismo.

Sarà una guerra popolare e nazionale; dunque, combattuta volontariamente dal popolo preparato e guidato da chi è consapevole della gravità del momento storico. Una guerra che esige, accetta ed anzi cerca, il sacrificio non mai è sterile, mai. Soltanto essa, tramontate le menzogne e le illusioni del regime, può creare i nuovi valori morali di cui l’Italia ha bisogno. Soltanto essa può garantire all’Italia quella vera pace a cui aneliamo, contribuendo alla costruzione di un nuovo ordine europeo democratico e confederale.

Non potrà essere una parte politica sola a costruire o ricostruire quei valori. Proprio qui nel mio studio, si sono or ora incontrati esponenti dei Partiti liberale, socialista e comunista, della Democrazia Cristiana e del Partito d’Azione. Assieme abbiamo costituito un Comitato provinciale provvisorio che lancerà un appello alla popolazione. Chiediamo giustizia, non vendetta. Vogliamo che le insegne fasciste siano rimosse anche dai luoghi presidiati dalle forze militari, al gen. Vasarri comandante di zona avanzeremo questa richiesta e inoltre chiederemo che le direttive sull’ordine pubblico siano applicate con prudenza e buon senso.

Dodici ore fa, dopo vent’anni di oppressione, abbiamo riconquistato la libertà. Non vogliamo separarcene mai più.

Viva l’Italia! Viva la Libertà!

Duccio Galimberti, Cuneo, 26 luglio 1943

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