Parle moi d’amour. Vite esemplari di grandi libertine
Vanna Vinci
Vanna Vinci è nata a Cagliari nel 1964. Lavora nel mondo del fumetto dal 1990. Da allora ha pubblicato le sue storie a fumetti per Bao Publishing, Dargaud, Rizzoli Lizard, Hachette, Planeta, Kappa Edizioni, Kodansha. I suoi libri sono stati pubblicati in Italia, Francia, Spagna. Lavora anche come illustratrice per ragazzi. Ha vinto lo Yellow Kid come miglior disegnatore di fumetti nel 1999, il Gran Guinigi nel 2005. Nel 2001, il suo libro L’età salvaggia ha vinto il premio Romics come miglior opera di scuola europea. Vive e lavora tra Milano e Bologna. La bambina filosofica è il suo personaggio più ribelle e sulfureo.
REPUBBLICA DEL 13 DICEMBRE 2020
Grandi libertine, così Vanna Vinci ha fatto a strisce le cattive ragazze
di Emanuela Giampaoli
L’illustratrice sarda che da anni vive sotto le Torri racconta in punta di matita le vite di sette cortigiane
13 DICEMBRE 2020
«Non sono certo persone per bene, anzi, sono state proprio grandissime puttane». Non ha mezzi termini l’illustratrice Vanna Vinci, sarda ma da anni trapiantata a Bologna, per raccontare le protagoniste del suo nuovo libro “Parle-moi d’amour – Vite esemplari di grandi libertine” uscito per Feltrinelli Comics. Alla storia sono passate con i nomi di Païva, Cora Pearl, Apollonie Sabatier, Valtesse de la Bigne, Émilienne d’Alençon, Liane de Pougy e Carolina Otero, tutte vissute nella Parigi della Belle époque. Non a caso, a fare da nume tutelare dell’intero graphic novel, è Alphonsine Plessis, la Signora della Camelie per Dumas, la Violetta della Traviata di Verdi.
«È l’archetipo, non poteva essere diversamente » osserva l’autrice. Donne che, a cavallo tra Ottocento e Novecento, per mantenersi hanno fatto la vita, il più delle volte spassandosela, godendo delle gioie del sesso e pure dei benefici annessi. Vinci entra materialmente dentro al volume, con la maglia a righe e il caschetto, in cerca delle sue eroine. «Il modello – spiega – è stato l’intervista di Françoise Sagan a Sarah Bernhardt, che tra l’altro, sul finale, fa capolino nel volume. È un carteggio che la scrittrice francese si inventa per far narrare alla divina la sua vita, che non fu proprio morigerata. E poi, mettendomi dentro le tavole, volevo in qualche modo proteggere il libro dal rischio del moralismo» .
Nessun moralismo dunque, ma certo, alla descrizione dei piaceri carnali, degli amanti copiosi, delle liaison saffiche ( molto in voga all’epoca) si unisce quasi sempre quello delle violenze subite dalle protagoniste. Cora Pearl è stata abusata a 14 anni, da un uomo che l’ha adescata fuori da una chiesa e fatta ubriacare. La mamma di Apollonie Sabatier ne ha venduto a 15 anni la verginità a un conte ultrasessantenne. Mentre la bella Otero non riesce neppure a ripetere cosa subì. «Decisero però di non essere vittime – spiega Vinci – e di inseguire a loro modo la felicità, che magari era togliersi dalla miseria».
La più abile, in questo senso, fu la Marchesa de Païva, capace di puntare sugli amanti giusti e di reinvestire i suoi guadagni. Emilie- Louise Delabigne, che si ribattezzò Valtesse, contrazione di votre Altesse, accumulò gioielli e dimore. Tutte trovarono uomini, spesso celebri, disposti a far follie per loro. E gliele fecero fare. « Per realizzare il libro mi ci sono voluti due anni di studi e ricerche, alcune letture folgoranti come la biografia di De Pougy scritta da Jean Chalon. È uno dei personaggi più incredibili, concluse la sua vita in un convento, eppure non rinnegò nulla, tanto da scrivere, “ Penso di essere nata per fare questo”.
A lei si ispirò Proust, almeno in parte, per il personaggio di Odette». E non fu l’unica a divenire musa di scrittori e artisti. Cora Pearl ebbe tra i suoi fan Gustave Doré, Apollonie amò, ricambiata, Charles Baudelaire, che compose per lei alcuni versi dei “ Fiori del male” e di lei si invaghì pure Théophile Gautier. Valtesse infine suggerì a Emile Zolà il romanzo “Nanà”. «Sono figure femminili che hanno preso in mano la propria vita, anche di fronte ai rovesci. Pure quando avrebbero potuto sistemarsi». Vinci, dopo averne mostrato glorie e trionfi, le ritrae anche sfatte, grasse, in rovina. Ma “sempre libere”.
Forse, in quel periodo storico, era uno dei mezzi, per alcune donne, di essere “libere” e di vendicarsi degli uomini.