ADRIANO RICUCCI, ANNIVERSARI GEOPOLITICI DEL 7 NOVEMBRE 2020 : LA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE — LIMES ONLINE DEL 7 NOVEMBRE 2020 + LIMES ONLINE – 15 NOVEMBRE 2017

 

 

LIMES ONLINE DEL 7 NOVEMBRE 2020

https://www.limesonline.com/accadde-oggi-7-novembre-rivoluzione-dottobre-trockij-quarto-roosevelt-crisi-di-suez-ben-ali-gli-anniversari-geopolitici/102753

 

Gli anniversari geopolitici del 7 novembre::

 

Rivoluzione d’Ottobre

 

Immagine scelta da Edoardo Boria

M.M. BOŽIJ, Lenin lavora sulla carta del nostro paese, 1961. Immagine selezionata da Edoardo Boria.

 

 

 

1879 – Nasce a Janovka in Ucraina il rivoluzionario bolscevico Lev Trockij.

 

1917 – I bolscevichi a Pietrogrado occupano le sedi politiche, giuridiche e finanziarie principali della città. 

 

Inizia la Rivoluzione d’ottobre (24-25 ottobre del calendario giuliano).

 

Le rivoluzioni russe del 1917, quella del febbraio e quella dell’ottobre, sono scoppiate nel cuore della prima guerra mondiale. E la guerra, che in forme diverse coinvolse il mondo russo dal 1914 al 1921, costituisce il quadro di riferimento ineludibile, senza il quale non è possibile comprendere gli eventi che condussero alla fine dell’impero degli zar e alla nascita di un nuovo tipo di Stato, l’Unione Sovietica. La guerra formò il terreno di coltura del bolscevismo, quale cultura politica, pratica di governo, laboratorio di ingegneria sociale.

La storiografia è stata lungamente attratta dalla forza di rottura dell’evento fondativo, ovvero il colpo di Stato operato dai bolscevichi il 25 ottobre 1917 – secondo il calendario giuliano in vigore nell’impero russo, data corrispondente al 7 novembre del calendario gregoriano – adottato come chiave interpretativa di quanto avvenne prima e di quello che sarebbe successo dopo.

 

Continua a leggere: L’impero senza zar: la Russia dopo l’Ottobre ’17

 

 

Carta di Laura Canali, 2017

LIMES ONLINE – 15 NOVEMBRE 2017

https://www.limesonline.com/limpero-senza-lo-zar-la-russia-dopo-lottobre-1917/102800

 

L’impero senza lo zar: la Russia dopo l’Ottobre 1917

 

 

Carta di Laura Canali - 2017

[Carta di Francesca La Barbera]

 

 15/11/2017

Lo Stato fondato da Lenin e dai bolscevichi era rivoluzionario sotto il profilo ideologico, non sotto quello geopolitico.

 

 

 

Roccucci Adriano | MADRID 2019 - PACE SENZA CONFINI | PREGHIERA PER LA PACE

ADRIANO RICCUCCI

Roma, 1962 – E’ professore ordinario di storia contemporanea all’Università di Roma Tre.
I suoi interessi di ricerca si sono rivolti alla storia russa del XX secolo, sulla base di indagini in archivi russi del periodo sovietico. In particolare si è dedicato allo studio dei rapporti fra Stato sovietico e Chiesa ortodossa russa nel Novecento

ALTRO IN : https://www.sissco.it/soci/roccucci-adriano/

 

di Adriano Roccucci

 

RIVOLUZIONE RUSSA 1917-2017, RUSSIA, URSS, PRIMA GUERRA MONDIALE, NAZIONALISMO

Lo Stato comunista edificato dai bolscevichi di Lenin dopo la presa del potere nell’ottobre del 1917 si presentò con i caratteri rivoluzionari di una proposta ideologico-politica radicalmente innovativa.

Ma si innestò nell’albero della storia imperiale russa, dal quale trasse non pochi elementi di continuità che lo avrebbero caratterizzato almeno quanto lo sforzo di costruire un uomo e una società nuovi.

 

Tra i caratteri di lunga durata della storia russa che transitarono nell’esperimento sovietico, è da rilevare il dato spaziale. Il nuovo Stato dei bolscevichi acquisì difatti una proiezione in continuità con la tradizione imperiale. L’Unione Sovietica, quindi, non poté non misurarsi con le implicazioni geopolitiche e ideologiche che derivavano dal governo del grande spazio euroasiatico.

 

L’eredità imperiale reinterpretata da Lenin, Stalin e dirigenti bolscevichi segnò la costruzione dello Stato sovietico. La sua origine è da rintracciare nella Rivoluzione del 1917, ma per comprenderne la valenza e l’influenza sulla vicenda del bolscevismo occorre cogliere il nesso tra guerra e rivoluzione.

 

Le rivoluzioni russe del 1917, quella del febbraio e quella dell’ottobre, sono scoppiate nel cuore della prima guerra mondiale. E la guerra, che in forme diverse coinvolse il mondo russo dal 1914 al 1921, costituisce il quadro di riferimento ineludibile, senza il quale non è possibile comprendere gli eventi che condussero alla fine dell’impero degli zar e alla nascita di un nuovo tipo di Stato, l’Unione Sovietica. La guerra formò il terreno di coltura del bolscevismo, quale cultura politica, pratica di governo, laboratorio di ingegneria sociale.

 

La storiografia è stata lungamente attratta dalla forza di rottura dell’evento fondativo, ovvero il colpo di Stato operato dai bolscevichi il 25 ottobre 1917 – secondo il calendario giuliano in vigore nell’impero russo, data corrispondente al 7 novembre del calendario gregoriano – adottato come chiave interpretativa di quanto avvenne prima e di quello che sarebbe successo dopo.

 

La rivoluzione, quale motore della storia, ha costituito una sorta di evento salvifico o di apocalisse del male, a seconda delle posizioni di chi analizzava i fatti del 1917, cui occorreva riferire in una genealogia teleologica gli eventi e i processi della storia russa quanto meno nei decenni precedenti. La guerra altro non era, in tali visioni, che un orizzonte di sfondo o un’occasione per giungere allo sbocco rivoluzionario di un processo di crisi irreversibile dell’impero.

 

Nel quadro dell’intenso lavoro di ricerca storica compiuto dalla fine del regime comunista nel 1991, grazie alla disponibilità dei documenti conservati presso gli archivi sovietici, gli studiosi hanno invece cominciato a prestare la dovuta attenzione al primo conflitto mondiale e alla condizione di guerra permanente. Quell’insieme di scontri militari e di manifestazioni di violenza organizzata che ha preso il nome di guerra civile, in cui mosse i primi passi il potere bolscevico.

 

La guerra, con le sue conseguenze di brutalizzazione dei comportamenti sociali e politici, non è stata un accessorio di una vicenda rivoluzionaria che aveva le sue radici e le sue motivazioni altrove, ma è stata il terreno formativo della stessa esperienza bolscevica. L’inizio del primo conflitto mondiale nell’agosto del 1914 segnò per l’impero russo l’ingresso in una condizione di guerra che sarebbe continuata senza interruzioni fino al marzo 1921 (trattato di Riga con la Polonia) e avrebbe determinato le sorti del paese.

La militarizzazione dello Stato, della società, delle mentalità e dei comportamenti, della cultura e dell’azione politica, comune ai paesi che sperimentavano la guerra totale, costituì il contesto di formazione dell’Unione Sovietica e della sua classe dirigente.

 

La Russia alla vigilia della prima guerra mondiale, pur con le sue non poche fragilità, era forse il paese più dinamico d’Europa.

Il processo di industrializzazione dal 1908 al 1914 aveva conosciuto una nuova fase di crescita. Ma l’impero russo mostrava forse il suo punto di maggior debolezza proprio nella classe dirigente e nel vertice stesso del sistema autocratico, il sovrano, che del sistema era perno insostituibile. Nicola II era una personalità che mostrava carenze evidenti nella capacità di governo, incline a isolarsi nella vita familiare, senza presa sulla realtà di un paese complesso che aveva bisogno di una leadership forte e decisa.

 

Carta di Laura CanaliCarta di Laura Canali

 

Nel settembre del 1915 lo zar decise di assumere personalmente il comando delle Forze armate, nonostante la contrarietà dello Stato maggiore, trasferendosi nel quartier generale di Mogilev in Bielorussia. Con questa scelta, che si sarebbe rivelata politicamente fatale, lo zar da una parte abbandonava il controllo sulla capitale e sul governo, che privo del suo vertice si ritrovava disorientato, dall’altra esponeva e comprometteva il prestigio personale e della dinastia, oramai legato alle sorti del conflitto.

 

Fu la caduta del centro a provocare il collasso del sistema imperiale. Il monarca autocrate era il perno di un sistema politico che crollò di fronte allo sgretolamento della figura dello zar. Le debolezze dell’impero erano state accentuate dalla guerra, che aveva messo a nudo anche l’esilità della sua classe dirigente.

 

Con il febbraio 1917 e la caduta della monarchia si aprì una fase di effervescenza rivoluzionaria e allo stesso tempo di confusione, destinata a perpetuarsi finché non si fosse ricostituito un centro di potere in grado di riagganciare le giunture di quell’insieme geopolitico che fino ad allora era stato l’impero russo e che sembrava avviato a un processo di frantumazione.

 

Lenin si distinse subito al suo rientro in Russia nell’aprile per strategia e lucidità di visione, che lo rendevano il politico che più di altri aveva chiaro come perseguire l’obiettivo di ricostituire un centro di potere che facesse fronte al vuoto formatosi in quei mesi. Il suo obiettivo dichiarato era conquistare il potere; a tal fine riteneva necessario utilizzare la violenza di massa, cui i bolscevichi, dotati di milizie armate, erano più preparati, anche per la loro efficace penetrazione tra i soldati della guarnigione di Pietrogrado, oltre che tra gli operai delle fabbriche della capitale.

 

Da aprile a ottobre Lenin condusse una strategia conseguente al suo obiettivo: la conquista del centro. La notte del 24 ottobre il colpo di Stato da lui preparato condusse i bolscevichi alla presa del Palazzo d’Inverno, sede del governo provvisorio. La Rivoluzione d’ottobre fu quindi un colpo di mano; è una realtà che non ne ridimensiona l’importanza storica, né deve condurre alla relativizzazione del sostegno che essa ricevette da una parte significativa del paese.

Iniziava la vicenda storica grandiosa e tragica di un nuovo ordine politico, il cui fine era la costruzione di una società nuova, la società comunista. E che nel frattempo occupava il centro dello spazio geopolitico imperiale, lasciato vuoto dopo il febbraio, per affermarvi il suo potere e dar vita a uno Stato originale.

 

Il colpo di Stato di Lenin apriva la porta alla guerra civile. Era chiaro a tutti.

D’altronde i bolscevichi non avevano nascosto di ritenerla una tappa necessaria del processo rivoluzionario: “Nascondere alle masse la necessità di una guerra disperata, sanguinosa, di sterminio, come compito immediato dell’azione futura, significa ingannare se stessi e il popolo”, aveva scritto Lenin nel 1906.

 

L’obiettivo prioritario di Lenin restava quello di tenere saldamente nelle proprie mani il potere. I bolscevichi, nonostante avessero assunto le parole d’ordine delle comunità rurali e del nazionalismo indipendentista, erano il partito dello Stato forte, quello paradossalmente più in linea con la tradizione russa di lungo periodo nella gestione del potere. Al centro dell’impero il potere non poteva che essere forte, pena il collasso, come il febbraio aveva dimostrato.

 

Il nuovo potere si rivelava fin da subito determinato nel difendere le proprie prerogative e nel ristabilire le funzioni del governo. Era necessario dare avvio a un movimento geopolitico di riaggregazione attorno al centro dello spazio imperiale in via di frammentazione. Già a dicembre il governo di Lenin prese le prime decisioni volte a contrastare le spinte disgregatrici, con l’invasione dell’Ucraina separatista, che segnò l’inizio della guerra civile e costituì anche la prima chiara manifestazione della propensione imperiale del potere bolscevico.

 

A marzo 1918 Lenin spostò la capitale a Mosca, sotto la spinta dell’avanzata tedesca verso Pietrogrado, recuperando l’eredità della tradizione russa. Il nuovo potere aveva preso nelle sue mani il centro, tanto da spostarlo. Si tornava al Cremlino, luogo matrice del potere russo, in cui anche dopo lo spostamento della capitale a San Pietroburgo si erano continuate a svolgere le cerimonie di incoronazione degli zar. A Mosca Lenin si misurava con l’eredità storica dello Stato russo, con i suoi paradigmi di sacralizzazione, con le sue proiezioni messianiche ed escatologiche.

 

Tuttavia, per riaggregare lo spazio imperiale attorno al centro era necessario conservare il potere. La firma della pace con la Germania sotto la pressione di una rapida avanzata dell’esercito tedesco, il 3 marzo 1918 a Brest-Litovsk, potrebbe essere considerata l’espressione evidente della rinunzia a una prospettiva geopolitica di tipo imperiale a favore di quella rivoluzionaria.

 

Rispetto al 1914, la Russia perdeva 800 mila km quadrati. 

Tra questi l’Ucraina (i bolscevichi dovettero accettare l’indipendenza della Repubblica ucraina sotto tutela germanica), la Polonia, la Finlandia e i paesi baltici.

Ma a ben guardare fu la scelta fortemente voluta da Lenin – contro l’opinione della maggioranza dei dirigenti del partito capeggiati da Nikolaj Ivanovič Bucharin – di privilegiare la difesa dello Stato alla causa della rivoluzione, che avrebbe invece richiesto di continuare a combattere la guerra rivoluzionaria a oltranza pur nella certezza di una sconfitta militare, nell’attesa dell’inevitabile scoppio della rivoluzione europea. I socialisti-rivoluzionari di sinistra alleati dei bolscevichi, contrari alla scelta della pace, lasciarono il governo, che da quel momento fu nelle mani del solo partito bolscevico.

 

La salvaguardia dello Stato, alla base della pace di Brest-Litovsk, costituiva una condizione necessaria all’azione di espansionismo “difensivo” che il potere rivoluzionario avrebbe condotto nel quadro della guerra civile per difendere la propria esistenza.

 

Il potere che Lenin e i bolscevichi esercitavano nel 1918 era limitato a un territorio ristretto, corrispondente a quello della Russia storica, nel cuore della sua parte europea. Tutto intorno si venne costituendo un arco frammentato di contropoteri, spesso in rivalità l’uno con l’altro, dalle tipologie diversificate.

Nuove formazioni statali di carattere nazionale come in Ucraina o in Transcaucasia; territori controllati da forze politiche in opposizione ai bolscevichi – come la Siberia nelle mani dei socialisti-rivoluzionari – o da spezzoni dell’esercito imperiale (i “bianchi”) in guerra contro il potere bolscevico. O ancora da truppe straniere, come quelle della legione cecoslovacca, formata da ex prigionieri di guerra; o infine da eserciti contadini, come quello dell’anarchico Nestor Machno in Ucraina orientale.

 

A questi antagonisti del potere bolscevico si aggiunsero le truppe di potenze straniere che invasero il territorio russo. Dopo la firma del trattato di Brest-Litovsk, i tedeschi lo violarono invadendo la Crimea e intervenendo a sostegno della Georgia che aveva proclamato l’indipendenza, mentre la Romania occupava la Bessarabia (l’odierna Moldova).

I britannici fecero sbarcare loro truppe a Murmansk, mentre giapponesi e americani intervennero nell’Estremo Oriente russo occupando Vladivostok. Questi ultimi interventi, dapprima in funzione antigermanica, acquisirono nell’estate 1918 un carattere antibolscevico, come anche l’occupazione di Baku da parte dei britannici o gli sbarchi di inglesi e francesi ad Archangel’sk e a Odessa.

 

carta di Laura Canali - 2016carta di Laura Canali – 2016

 

La risposta del governo bolscevico alle numerose minacce fu la costituzione dell’Armata rossa, un nuovo esercito guidato da Trockij fondato sulla coscrizione obbligatoria e su una disciplina ferrea. La guerra civile andava combattuta con la mobilitazione di tutte le risorse e con l’utilizzo di ogni mezzo; era la continuazione della guerra totale. La posta in gioco era la sopravvivenza dello Stato: il controllo del centro o la frantumazione definitiva dello spazio imperiale.

 

La guerra civile si concluse con la sconfitta degli eserciti controrivoluzionari dei “bianchi” nel 1919 e la riconquista nel corso del 1920 di parte dei territori che si erano staccati dalla Russia rivoluzionaria, la Transcaucasia e l’Ucraina.

Aveva provocato poco più di 2,5 milioni di morti tra i soldati, a cui occorre aggiungere qualche centinaio di migliaia di vittime delle repressioni, oltre ai diversi milioni morti per fame ed epidemie.

Il trattato di Riga del marzo 1921 con la Polonia – che aveva invaso l’Ucraina e poi aveva sconfitto l’Armata rossa che nella controffensiva era arrivata fino alla Vistola – chiudeva formalmente la lunga stagione di guerra, durante la quale era crollato l’impero russo e si era formato il nuovo Stato comunista.

 

 

Il nuovo centro bolscevico aveva recuperato buona parte dei territori dell’impero russo, al termine di un processo di espansione “difensiva” che rispondeva a un paradigma di lunga durata della storia della Russia.

Quest’ultima aveva storicamente risposto alle sue esigenze di sicurezza spostando progressivamente i suoi confini in avanti al fine di allontanare i pericoli esterni. Si registrava un arretramento delle frontiere occidentali con la perdita della Polonia, delle regioni occidentali di Bielorussia e Ucraina incorporate nel nuovo Stato polacco, della Finlandia, di Lituania, Lettonia ed Estonia (che guadagnarono l’indipendenza), della Bessarabia, annessa alla Romania.

 

Tuttavia, il potere rivoluzionario aveva legato la propria sopravvivenza alla riconquista del dominio sullo spazio imperiale, sebbene ridotto, con una rapida e vorticosa espansione dei propri confini durante la guerra civile. Il nuovo Stato dei bolscevichi si misurava con il grande spazio eurasiatico: la sua proiezione spaziale era in continuità con la tradizione imperiale russa. Esso faceva sue, quindi, tutte le implicazioni geopolitiche e le proiezioni ideologiche che tale spazio contemplava, quale categoria costitutiva dell’universo culturale e delle formazioni statuali della storia russa.

 

Alla fine del 1922 lo spazio eurasiatico, con il suo complesso plurietnico e plurilinguistico, venne riorganizzato dal potere bolscevico in un nuovo Stato plurinazionale di carattere federale. L’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (Urss) che, per volere di Lenin a differenza di quanto auspicava Stalin, non comprendeva l’aggettivo russo nella sua denominazione.

 

La nuova compagine organizzava il territorio secondo il principio nazionale, identificato su base linguistica come criterio di definizione delle repubbliche che formavano l’Unione; alla sua fondazione queste erano Russia – a sua volta costituita come repubblica federale – Ucraina, Bielorussia e Trasncaucasia. Il principio nazionale interveniva anche nella definizione di una parte delle entità amministrativo-territoriali di livello inferiore (regioni, province, distretti) all’interno delle diverse repubbliche dell’Unione.

 

In Unione Sovietica il carattere federale rappresentava un tratto costitutivo, in qualche misura divergente dalla tradizione imperiale. Eppure la particolare configurazione del nuovo Stato con la sua articolazione delle unità amministrativo-territoriali non esauriva le modalità di governo dello spazio, che poggiava sulla preminenza del partito, strutturato invece in modo più conforme a un paradigma imperiale che a uno federale.

 La composizione federale dell’Urss non consente quindi di stabilire una linea di discendenza senza soluzioni di continuità con l’impero zarista, innanzitutto da un punto di vista istituzionale-giuridico.

Nondimeno, lo Stato sovietico presentava nelle sue strutture di potere e nel suo rapporto con lo spazio permanenze significative della dimensione imperiale della storia russa, che soprattutto nel periodo staliniano sarebbero prevalse su quelle federali.

Il forte potere centrale; la funzione di collante affidata a lingua e cultura russe; la tensione all’espansionismo; il ruolo di Mosca, non tanto centro federale, quanto vera capitale imperiale; la proiezione universale e la carica messianica del potere comunista.

 

Carta di Laura Canali, 2017Carta di Laura Canali, 2017

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