SANTA NASTRO, ARTRIBUNE, 20-10-2020 :: E’ MORTA LA CURATRICE E CRITICA D’ARTE LEA VERGINE — +++ GIUSEPPE FRANGI, Lea Vergine, l’arte di illuminare le zone d’ombra Ritratti. -IL MANIFESTO DEL 21 OTTOBRE 2020

 

 

20 ottobre 2020

È morta la curatrice e critica d’arte Lea Vergine

 

 

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 Santa Nastro

 

Lea Vergine

LEA VERGINE

 

 

È mancata all’età di 82 anni la critica d’arte e curatrice Lea Vergine, un giorno dopo la scomparsa del compagno di una vita Enzo Mari.

Nata a Napoli nel 1938, al secolo Lea Buoncristiano, è stata una delle figure di spicco dell’arte degli ultimi cinquant’anni. Eloquio arguto, personalità spiccata ed uno sguardo attento e partecipe della contemporaneità, la Vergine è stata una figura all’avanguardia nel panorama femminile della critica, insieme a figure del calibro della quasi coetanea Carla Lonzi.

 

Carla Lonzi - Storia - Rai Cultura

 

Opere di autrici – Carla Lonzi | Iaph Italia

 

Carla Lonzi (Firenze, 6 marzo 1931 – Milano, 2 agosto 1982) è stata una scrittrice e critica d’arte italiana, femminista teorica dell’autocoscienza e della differenza sessuale, fondatrice delle edizioni di Rivolta Femminile nei primi anni settanta.

 

 

BODY ARTE E STORIE SIMILI

 

Lea Vergine, Il corpo come linguaggio (Prearo 1974)

PREARO, 1974

 

Come la Lonzi, Lea Vergine ha dato una scossa al panorama artistico culturale italiano dominato da una visione patriarcale. Famosi i suoi studi sulla fisicità e l’azione performativa nell’arte confluiti nel 1974 in un saggio come Il corpo come linguaggio del 1974 pubblicato da un editore coraggioso come Giampaolo Prearo in una collana a cura di Tommaso Trini, ma anche sul ruolo protagonista, anche se dimenticato delle donne nell’arte (L’altra metà dell’avanguardia). Anche la sua biografia è stata contrassegnata da gesti liberi e indipendenti. Sposatasi giovanissima, conosce negli anni ’60 il designer Enzo Mari, al quale è stata legata fino alla fine. In tempi ben diversi da quelli odierni comincia con lui a Napoli una convivenza (lo ricorda in una lunga intervista rilasciata ad Angela Puchetti per La Repubblica di Milano nel 2012). Accusati entrambi di concubinaggio sono costretti a lasciare la città campana e a trasferirsi in via Magenta dove convolano a nozze nel 1978.

 

L’INCONTRO CON ENZO MARI

Comincia per loro una storia comune che li vede insieme seppur distanti nelle soluzioni e nei punti di arrivo, attorniati però da illustri compagni di strada quali il compianto Gillo Dorfles, Arturo Schwartz, Camilla Cederna per citarne solo alcuni.

Importantissimo il suo apporto alla storia dell’arte, seppur non riconosciuto in maniera del tutto adeguata, almeno fino ad oggi: sui saggi di Lea Vergine a proposito della body art si sono formate intere generazioni di studenti.

Da Body art e storie simili (2000, Skira), ad Ininterrotti transiti(2001, Rizzoli) fino a L’arte non è faccenda di persone perbene. Conversazione con Chiara Gatti, sempre di Rizzoli, 2016 del quale Marco Senaldi vi parla diffusamente qui.

E naturalmente a Necessario è solo il superfluo, uscito per postmediabooks e Sartoria editoriale, a cura di Stefania Gaudiosi, scaturito da una lunga intervista condotta e uscita per Artribune nell’ambito della serie L’arte è un delfino.

L’arte non è necessaria”, diceva Lea Vergine.

“È il superfluo. E quello che ci serve per essere un po’ felici o meno infelici è il superfluo. Non può utilizzarla, l’arte, nella vita. ‘Arte e vita’ sì, nel senso che ti ci dedichi a quella cosa, ma non è che l’arte ti possa aiutare. Costituisce un rifugio, una difesa. In questo senso è come una benzodiazepina” La videointervista la ritrovate qui.

 

 

IL CORDOGLIO DEL MONDO DELL’ARTE E DELLA CULTURA

Un giorno dopo la scomparsa del compagno di una vita, Enzo Mari, se ne va Lea Vergine. Un altro pilastro della cultura italiana viene a mancare, ma il suo lavoro nella critica d’arte e nella curatela di innumerevoli mostre lascia un segno profondo”, è il commento Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini.

Lea Vergine, addio. Talvolta l’amore è così potente che spegne insieme la vita. Non ci sono parole per il romanticismo tragico di questa notizia: la struggente meraviglia di questo dolore”, scrive Leonardo Caffo, filosofo.

Ma c’è anche chi commenta con un semplice “No” o con un “Ciao”, come Stefano Boeri, che la saluta insieme al suo immenso amore, Enzo Mari. “Dopo la morte di Enzo Mari, uno dei più grandi designer del ‘900, siamo addolorati oggi per la scomparsa di Lea Vergine”, dichiarano infine Laura Valente, presidente della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee Kathryn Weir, direttrice artistica del Madre.

Donna dell’avanguardia e critica straordinaria, era dotata di grande sensibilità unita ad uno spirito curioso e indomito, sempre attento alle espressioni artistiche più innovative. Napoletana di nascita e milanese di adozione, ha sempre mantenuto un costante rapporto con la sua terra d’origine; proprio per il suo impegno, la sua professionalità e il suo contributo, la attendevamo nel museo d’arte contemporanea della sua città per attribuirle il Matronato alla Carriera 2020 della Fondazione. Lascia un immenso vuoto, ma, allo stesso tempo, l’impegno a conservare e non disperdere la sua grande eredità intellettuale”.  

 

 

 

INTERVISTA — 40.49

 

 

 

 

IL MANIFESTO DEL 21 OTTOBRE 2020

https://ilmanifesto.it/lea-vergine-larte-di-illuminare-le-zone-dombra/

 

 

CULTURA

Lea Vergine, l’arte di illuminare le zone d’ombra

Ritratti. Se ne va a 82 anni la critica e curatrice che indagò «l’altra metà dell’avanguardia», andando a stanare le artiste nelle loro case e scrivendo testi che hanno aperto a nuove letture della scena creativa. Solo 24 ore la separano dalla morte del marito e designer Enzo Mari, con cui ha condiviso una densa vita intellettuale.

 

Lea Vergine

Giuseppe Frangi

EDIZIONE DEL  21.10.2020

PUBBLICATO21.10.2020, 0:04

AGGIORNATO20.10.2020, 20:57

 

«Non è che me la possa prendere con lui. È privo di malizia, è come un bambino, un selvaggio, con purezza di cuore. E se penso di vivere senza di lui non è possibile». Detto e fatto: il giorno dopo Enzo Mari, il «lui» in questione, anche lei, Lea Vergine, se n’è andata.

Avrebbe certamente detestato che si insistesse su simili coincidenze, ma è difficile non riandare con la memoria a quella copertina che Enzo Mari le disegnò per un libriccino che raccoglieva 25 recensioni scritte in un arco di 13 anni, quasi tutte per Alias. Una mano che stringeva un cuore, ben pulsante. Il titolo del resto andava proprio in quella direzione: La vita, forse l’arte (Archinto). In quel libriccino di 137 pagine l’indice dei nomi aveva ben 530 voci: la vita appunto, che stipava le recensioni di una rete fittissima di incontri, di relazioni, di persone conosciute o studiate.

Anche il recente libro intervista con Chiara Gatti (L’arte non è faccenda di persone perbene, Rizzoli) si chiude, per suo evidente desiderio con un lunghissimo elenco di nomi. «I nomi di quelle creature che hanno illuminato la mia esistenza con amicizia affettuosa ma anche di coloro che, per pochi secondi, mi hanno fatto costeggiare la tenerezza e la gratitudine».

 

CI SONO SEMPRE le persone al centro della sua ricerca e del suo lavoro intellettuale, fin da quella mostra del 1971 quasi di esordio, Napoli ‘25/’33, in cui affrontando l’avanguardia sotto il fascismo aveva allineato una serie di bizzarri personaggi che avevano seminato lo scandalo.

Nel 1980 quando le viene commissionata da un sindaco illuminatissimo come Carlo Tognoli la mostra su L’Altra metà dell’avanguardia al Palazzo Reale di Milano – una mostra destinata a lasciare il segno e poi richiesta a Roma e Stoccolma – la sua ricerca si era mossa soprattutto nella direzione degli incontri. Quel catalogo, che resta ancora un punto di riferimento imprescindibile, è strutturato con le schede ragionate e ben scritte delle 114 artiste scelte in quanto appartenute a vari gruppi d’avanguardia della prima metà del Novecento.

L’introduzione era posizionata in fondo, e scritta in forma di diario di bordo. Iniziava così quel testo: «Pronto, parla Lea Vergine, il Comune di Milano mi ha incaricato di realizzare una grande rassegna che testimoni l’attività di pittrici e scultrici nei gruppi delle avanguardie artistiche». Il telefono era uno strumento principe. Come anche i viaggi, per stanare artiste che spesso avevano scelto di rifugiarsi nell’ombra. Bussare alla porta, suonare ai campanelli: l’arte chiedeva sempre di varcare qualche soglia. Anche a costo di sbattere contro sbarramenti insormontabili, come le accadde davanti all’appartamento parigino di Dora Maar.

Se si suonava lei staccava la corrente. Se si telefonava la risposta era questa: «Madame Dora Maar ne répond pas au téléphone».

 

IL METODO di Lea Vergine era chiaro: non puntava mai ad essere esaustiva su un argomento, ma piuttosto voleva ogni volta proporre delle piattaforme perché da lì poi si sviluppassero lavori e ricerche. Erano mostre pensate per spalancare percorsi, per illuminare zone d’ombra, per documentare avventure non certo per sigillarle dentro visioni critiche. Certamente aveva sperato che da quel suo lavoro sulle artiste nei movimenti di avanguardia si generassero nuove ricerche, «che si cominciasse a lavorare sul tutto». Invece si era confessata delusa dialogando con Massimiliano Gioni quando nel 2015 aveva cercato di riprendere il filo del discorso con la mostra sulla Grande Madre, sempre a Palazzo Reale di Milano:

«Purtroppo l’ombra ha ricoperto un sacco di artiste».

La molla per immaginare quella mostra era stata una reazione umanissima di sdegno: sdegno per come venivano tratte le artiste anche quando si cercava di metterle su qualche altare. «Mi arrivavano sul tavolo pubblicazioni e cataloghi che erano censimenti umilianti. Avevo assistito a manifestazioni terribili, dove alcune donne hanno massacrato le artiste sull’altare della donnità».

Per questo aveva tenuto la barra dritta rispetto al criterio della qualità: «Qualunque altra discriminante sarebbe stata infamante per le artiste stesse».

 

C’È ANCHE UN APPRODO in questi suoi percorsi. Ed è sempre all’insegna di un «imparare» piuttosto che di un codificare.

Nel caso della mostra del 1980, per esempio, lo studio e gli incontri le avevano fatto «imparare» (il termine è suo) che le artiste «avevano tutte ironia e autoironia, avevano visione del mondo e dell’esistenza illuminata dalla pietas, ecco, non saprei dire meglio. Una pietas che butta a mare il concetto di normalità». Nel femminile scorgeva un’energia di «smarginamento» rispetto all’omologazione, un intuito che non era tanto una forma di cultura, ma una forma di libertà che lei definiva «disobbedienza».

 

E POI C’ERA LA SCRITTURA, un’esperienza quotidiana nella quale ha sempre riposto la massima fiducia. Scrittura come leva per costruire una consapevolezza civile diversa. Ma soprattutto scrittura come dimensione quotidiana di avventura personale, attivata come un rito ogni mattina. La scrittura di Lea Vergine è sempre precisa, asciutta, a volte divertita grazie a giravolte realizzate con eleganza e intelligenza. Scrittura che riempie di incanto e a volte anche di invidia. Non basta però certo l’abilità per spiegarne la presa.

«Si scrive col corpo, dalla testa ai piedi», aveva raccontato a Chiara Gatti nel libro intervista. «Muovo le mani sulla carta. Il tatto è imprescindibile. Devo sentire la materia della carta, devo sentirne l’odore, e devo sentire la matita fra le dita, devo poter piegare il foglio in diversi modi». Una concretezza che ancorava il lavoro intellettuale alla realtà delle cose e della vita.

 

Alcuni articoli scritti da Lea Vergine per il manifesto:: 

 

https://archiviopubblico.ilmanifesto.it/Articolo/2003029370

 

https://archiviopubblico.ilmanifesto.it/Articolo/2003022393

 

https://archiviopubblico.ilmanifesto.it/Articolo/2002005659

 

https://archiviopubblico.ilmanifesto.it/Articolo/2002012103

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