LIBRO ::
Io speriamo che me la cavo. Sessanta temi di bambini napoletani
Curatore: Marcello D’Orta
Editore: Mondadori
Collana: Oscar bestsellers
Edizione: 2
Anno edizione: 1994
Formato: Tascabile
In commercio dal: 2 novembre 1994
Pagine: 154 p.
11 euro, prezzo pieno
Colorati, vitalissimi, spesso sgrammaticati e scoppiettanti di humour involontario i temi fatti dai bambini della scuola elementare di Arzano e raccolti dal maestro D’Orta sono ormai diventati un caso letterario e sociologico. Una cronaca che rappresenta meglio di tanti trattati la realtà sconcertante del nostro paese.
FILM ::
Io speriamo che me la cavo è un film del 1992 diretto da Lina Wertmüller e interpretato da Paolo Villaggio. Il film è tratto dall’omonimo libro di Marcello D’Orta.
Regia Lina Wertmüller
Soggetto Alessandro Bencivenni, Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Domenico Saverni, Lina Wertmüller, Andrej Longo;
liberamente ispirato all’omonimo libro di Marcello D’Orta
Sceneggiatura Alessandro Bencivenni, Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Domenico Saverni, Lina Wertmüller, Andrej Longo
Fotografia Carlo Tafani
Montaggio Pierluigi Leonardi
Musiche Carlo D’Angiò
Interpreti e personaggi
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Paolo Villaggio: Marco Tullio Sperelli
Isa Danieli: Direttrice
Gigio Morra: Bidello
Sergio Solli: Cartonaio
Esterina Carloni: zia Esterina
Mario Porfito: Sindaco Antonio Ruoppolo
Filomena Lieto: Cecchina
Alessandra Detora: Angeluccia
Raffaele Gioia: Autista
Adriano Pantaleo: Vincenzino
Ciro Esposito: Raffaele
Luigi Lastorina: Totò
Maria Esposito: Rosinella
Mario Bianco: Nicola
Dario Esposito: Gennarino
Carmela Pecoraro: Tommasina
Pierfrancesco Borruto: Peppiniello
Ilaria Troncone: Flora
Anna Rita D’Auria: Lucietta
Ivano Salazaro: Giovanni
Salvatore Terracciano: Salvatore
Antonio Scotto di Frega: Mimmuccio
Marco Troncone: Giustino
Roberta Galli: Sorella di Totò
Giuliano Amatucci: Mezzarecchia
Pietro Bertone: Dott. Nicolella
Pietro Bontempo: Padre di Totò
Trama
Il maestro elementare Marco Tullio Sperelli viene trasferito per errore alla scuola De Amicis di Corzano, diroccato comune del napoletano, anziché a Corsano, nella sua Liguria.
Sin dal suo arrivo l’insegnante si trova a dover fare i conti con una realtà fortemente problematica: i bambini, tutti con difficoltà economiche più o meno pesanti, non frequentano regolarmente la scuola perché costretti a lavorare (pratica avallata persino dal sindaco) per aiutare le proprie famiglie; la direttrice della scuola non svolge il suo compito perché non è mai presente, e il custode-bidello in odore di camorra prevarica la gerarchia scolastica svolgendo di fatto il ruolo di vero amministratore dell’istituto.
Mentre con grande fatica cerca di svolgere il suo mestiere, un giorno entra in classe un bambino con l’aspetto da camorrista, Raffaele, che aggredisce verbalmente il maestro, che a sua volta si arrabbia tirandogli uno schiaffo: disgustato dal suo stesso gesto, che però gli porta il rispetto degli alunni, Sperelli decide inizialmente di non tornare a scuola fino al suo trasferimento, ma la sera stessa la madre di Raffaele gli va a parlare pregandolo di tornare a scuola e togliere il figlio dalla strada. Il maestro decide quindi di mandare una lettera al ministero per revocare la richiesta di trasferimento e restare a Corzano perché ormai ha preso a cuore i suoi alunni.
Prima delle vacanze di Pasqua il maestro decide di portare la classe in gita alla Reggia di Caserta ma la sera, tornati a scuola, riceve la lettera con cui gli viene comunicato il suo ritorno a casa; disgraziatamente quella stessa notte la madre di Raffaele ha una colica renale ma gli ospedali non hanno ambulanze disponibili, i privati pretendono cifre altissime e il maestro ha la macchina fuori uso (a causa dello stesso Raffaele, che si è così vendicato per il fatto che Sperelli lo aveva costretto ad ammettere davanti a tutti la sua volontà di partecipare alla gita). Raffaele ottiene un passaggio da un suo amico contrabbandiere, ma una volta arrivati all’ospedale si trovano davanti al caos: il maestro, pertanto, è costretto a minacciare la suora caposala per costringerla a fare l’iniezione alla madre di Raffaele.
Il giorno successivo Sperelli riparte: alla stazione la classe lo saluta e Raffaele, giunto in solitaria, gli consegna un tema sulla sua parabola preferita che il maestro leggerà in viaggio e che finisce con la frase “Io speriamo che me la cavo “
«Quale parabola preferisci? Svolgimento. Io, la parabola che preferisco è la fine del mondo, perché non ho paura, in quanto che sarò già morto da un secolo. Dio separerà le capre dai pastori, una a destra e una a sinistra. Al centro quelli che andranno in purgatorio, saranno più di mille miliardi! Più dei cinesi! E Dio avrà tre porte: una grandissima, che è l’inferno; una media, che è il purgatorio; e una strettissima, che è il paradiso. Poi Dio dirà: “Fate silenzio tutti quanti!”. E poi li dividerà. A uno qua e a un altro là. Qualcuno che vuole fare il furbo vuole mettersi di qua, ma Dio lo vede e gli dice: “Uè, addò vai!”. Il mondo scoppierà, le stelle scoppieranno, il cielo scoppierà, Corzano si farà in mille pezzi, i buoni rideranno e i cattivi piangeranno. Quelli del purgatorio un po’ ridono e un po’ piangono, i bambini del limbo diventeranno farfalle e io, speriamo che me la cavo.»
Produzione
A differenza dell’omonimo libro da cui il film è tratto, la pellicola non è ambientata ad Arzano, per ragioni di diritti d’autore, ma nell’immaginario paesino di Corzano. Inizialmente, la scelta dell’ambientazione del film era caduta sulla città di Napoli ma, non appena la troupe giunse nel capoluogo campano, fu avvicinata da alcuni personaggi vicini agli ambienti della malavita che pretesero il 10% del budget del film per permetterle di svolgervi le riprese
( fatto raccontato da Paolo Villaggio stesso ) cosa che spinse dunque la regista a spostare la location da Napoli a Taranto, più precisamente nel suo Borgo Antico, e, per alcune riprese, nei comuni baresi di Altamura e Corato, oltreché in quello romano di Tivoli (nella scena dell’ospedale) e quello napoletano di San Giorgio a Cremano; Paolo Villaggio, infatti, nel film si affaccia sul panorama di una Taranto vecchia (nella sequenza d’apertura del film viene pure ripresa da corso Vittorio Emanuele II la fabbrica dell’ILVA), pur essendo, dal punto di vista narrativo, ancora ambientato in Campania.
L’averlo girato perlopiù in Puglia permise alla regista di inserire il mare nel film, cosa però totalmente assente nel libro, visto e considerato che Arzano è situato nell’entroterra napoletano, a pochi chilometri a nord dello stesso capoluogo.
Riconoscimenti
Nastri d’argento 1993
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Nomination alla migliore attrice non protagonista a Isa Danieli
( DA WIKIPEDIA )
CRITICA
“Questo film lo si può volentieri collocare tra i migliori di Lina Wertmuller; sentimenti e freschezza di espressione. Non è mai facile dirigere e far recitare i bambini con naturalezza, evitando leziosaggini fastidiose. La trama è di per se fragile e si è addebitato al maestro trasferito dall’Italia del nord una lentezza eccessiva in quanto personaggio. Al contrario Paolo Villaggio lo ha compiutamente colto, lasciandosi catturare dalle voci pigolanti dei suoi allievi, comprendendoli nelle marachelle e furbizie, ma anche sapendoli capire nelle esperienze quotidiane e in quella espressione di dolore, che da secoli sedimenta perfino negli occhi dei bambini napoletani: per finire affascinato da bizzarrie e dolcezze, da melanconie e sorrisi nella confusione generale. Villaggio a tratti sognante, ma sempre partecipe, è stato delicato e bravissimo e gli allievi irresistibili. Il dialetto, con i suoi sapori, i suoi guizzi, il necessario e vivido miscuglio di allegria , di speranza e di scetticismo da sostanza e fa da mediatore e persuasore. Qua e la, probabilmente inevitabili, anche spunti e ritmi da sceneggiata (l’arresto da parte dei carabinieri di un ragazzo dei vicoli, con conseguenti clamori, lacrime e coralità del quartiere). Altrettanto inevitabile nello sfondo (ma pure in una miriade di echi e notazioni spicciole) la città ed il clima che si conoscono, senza per fortuna ricorrere a battibecchi e sfide Nord-Sud ultra acusate. Dalle labbra di alcuni bambini, per i quali la fanciullezza è stagione precoce e troppo presto finisce nel disincanto, fuoriesce qualche parolaccia”. (Segnalazioni Cinematografiche)
.”Irritante e folcloristica patacca alla vesuviana che Lina Wertmuller ha tratto dallo scaltro best seller di Marcello D’Orta, inventando la figura del maestro (là inesistente). Operazione quasi del tutto fallita, nonostante l’indubbia bravura di un Paolo Villaggio finalmente vedovo Fantozzi, perché il film sa più di sceneggiata che di commedia; e quei bambini evidentemente plagiati sono più insopportabili delle foche ammaestrate del circo”. (Massimo Bertarelli, ‘Il giornale’, 6 settembre 2001)
da
CINEMATOGRAFO.IT —
https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/io-speriamo-che-me-la-cavo/25447/
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