IL MANIFESTO 01 OTTOBRE 2020
La ricerca su «Science»: anticorpi umani ultrapotenti ostacolano l’ingresso del virus
Coronavirus. Ma lo studio ancora pre-clinico è molto lontano da qualsiasi applicazione sui pazienti
Tokyo
© Ap
Luca Tancredi Barone
EDIZIONE DEL 01.10.2020
PUBBLICATO 30.9.2020, 23:59
AGGIORNATO 1.10.2020, 16:20
Dopo mesi di brutte notizie, di elenchi interminabili di contagi, decessi, numero di tamponi, con notizie da ogni parte del mondo che non danno tregua sulla gravità della situazione e con un virus che minaccia di tenere in scacco le nostre vite per i prossimi mesi e forse anni, non rimane altro che la disperata ricerca di buone notizie che ci regalino qualche speranza.
La ricerca pubblicata sulla rivista Science la settimana scorsa, e che misteriosamente ieri è rimbalzata su tutti i siti italiani (ma di cui non si parla in altri paesi) risponde a questa speranza: un gruppo di cinquanta scienziati da nove istituti scientifici di sei paesi del mondo, fra cui l’Ospedale Luigi Sacco di Milano, parla già nel titolo dell’articolo scientifico di «anticorpi umani ultrapotenti» che sarebbero in grado di «proteggere contro la sfida» del Sars-CoV-2.
Gli scienziati chiamano gli anticorpi che hanno caratterizzato «ultrapotenti» (anche se non è un nome scientifico) perché sono in grado di bloccare il virus prima che entri nelle cellule legandosi alla parte della proteina che lui utilizza per penetrare nella cellula, e lo fanno con grande efficienza. «Ultraefficienza», o «superbene», si potrebbe dire per mantenere il linguaggio enfatico degli autori dell’articolo. Si tratta di anticorpi, chiamati S2E12 and S2M11, che i ricercatori hanno isolato dal plasma di 12 persone guarite dalla Covid e di cui hanno studiato il comportamento. Per capirsi, sono anticorpi che mettono la colla dentro la serratura prima che la chiave (il virus) trovi la toppa (la cellula da infettare) e sono in grado, da soli o insieme, di ostacolare il comportamento del virus. O meglio, «la sfida del Sars-CoV-2», come dicono retoricamente nel titolo.
L’aspetto più interessante di questa ricerca ancora del tutto pre-clinica (cioè ancora molto lontana da qualsiasi applicazione sui pazienti) è che, al contrario di molte altre che stanno uscendo in questi mesi, invece di essere ancora completamente in vitro (cioè, solo con cellule in coltura), fa un passo verso la fase clinica: infatti l’hanno provata su un tipo di criceto, chiamato criceto dorato, o criceto siriano. In questo modello in vivo in qualche modo simile agli umani (il sistema immunitario funziona in maniera analoga nei due organismi), gli scienziati hanno potuto osservare che effettivamente i «super anticorpi» sono in grado di bloccare il Sars-CoV-2 prima che raggiunga le cellule.
Tutto questo naturalmente è molto promettente, e regala agli ottimisti fra di noi e ai fan della scienza un’iniezione di speranza per il futuro: non c’è dubbio che la ricerca su questo terribile virus – che ha già fatto almeno un milione di morti nel mondo, in attesa delle stime che si potranno fare tra qualche tempo e che sicuramente aumenteranno di molto queste spaventose cifre – è andata velocissimo, e che in pochi mesi si sono ottenuti risultati obiettivamente straordinari. Quello che ha fatto la scienza in questi nove mesi finirà nei libri di storia, e quando la situazione ci permetterà di riflettere dovremo certo trarne delle conclusioni.
Ma il meccanismo mediatico che l’ha trasformata in notizia da prima pagina su molti siti italiani è un po’ misterioso – o forse no: a forza di gonfiare a tutti costi i risultati, all’inseguimento del click o del titolo fanfarone, gli scienziati rischiano di bruciare tutta la credibilità che hanno, con merito, acquisito in questi mesi. Andiamoci piano con i titoli forti, ma continuiamo a sostenere la scienza. Non con titoloni carichi di aggettivi, ma con impegni saldi da parte degli stati per sostenere e finanziare la ricerca scientifica, soprattutto quella di base.
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Da parte mia, sono molto felice di non essere un criceto dorato.