limes online del 7 agosto 2020
CHI AIUTERÀ IL LIBANO
di Daniele Santoro
L’epidemia di coronavirus ha introdotto un nuovo standard di competizione strategica, la cosiddetta geopolitica degli aiuti. Beneficienza interessata con la quale potenze più o meno grandi segnalano non già la loro disponibilità a farsi carico delle difficoltà dei paesi più deboli quanto la capacità di affiancarsi o addirittura sostituirsi ai governi locali. Di poter governare meglio dei legittimi titolari quegli spazi. Di saper proiettare influenza facendo leva sui bisogni concreti delle popolazioni.
Il gioco è piaciuto molto a paesi come Turchia, Russia e petromonarchie del Golfo, che grazie agli aiuti medici elargiti durante l’epidemia di coronavirus hanno consolidato la propria proiezione in quadranti per loro particolarmente strategici. Basti pensare alle forniture sanitarie inviate dalla Russia all’Italia e alla scenografica accoglienza che Mosca ha preteso in cambio per i propri soldati.
La tragedia che ha colpito il Libano ha messo in moto dinamiche analoghe a quelle innescate dalla crisi del Covid-19. Il presidente francese Emmanuel Macron ha visitato Beirut appena due giorni dopo l’esplosione che ha devastato la città, mentre Qatar, Emirati Arabi Uniti, Turchia, Russia e altre potenze regionali hanno inviato i primi aiuti medici nel paese dei cedri. L’obiettivo di tali aiuti è stato esplicitato dagli stessi libanesi, che hanno accolto Macron chiedendogli di liberarli dai loro politici, battezzati “terroristi”.
La rapidità con cui la Francia è riuscita a organizzare la visita del capo dell’Eliseo a Beirut segnala la determinazione con la quale Parigi – sconfitta in Libia ed emarginata in Siria – intende tornare a giocare un ruolo di primo piano tra stretti turchi e Suez. Per i francesi il Libano è approdo mediterraneo naturale e tradizionale finestra sul Medio Oriente. La trionfale accoglienza tributata da una parte della popolazione libanese a Macron – la petizione per riportare il paese sotto il controllo dell’Esagono ha raggiunto quasi 60 mila firme – e la sfrontatezza con cui il presidente francese ha sfidato la leadership locale dimostrano il potenziale su cui Parigi può contare in questo teatro.
La conseguenza geopolitica principale dell’esplosione del 4 agosto è dunque che il Libano è diventato un’ulteriore arena di competizione mediterranea. Le coppie si sono già formate naturalmente: Turchia e Qatar contro Emirati Arabi Uniti e Russia. Con la notevole differenza – rispetto a Siria e Libia – che qui la Francia può provare a giocare la sua partita, Israele esibisce un nervosismo poco rassicurante e l’Iran sembra faticare a individuare la linea d’azione più efficace.
Il tutto in un paese già devastato prima della tragedia, nel quale le centinaia di migliaia di sfollati resteranno tali per decenni (se non per sempre) e le condizioni economiche e sociali peggioreranno drasticamente nel prossimo periodo. Brodo di coltura ideale per nuovi Stati Islamici. Magnete naturale per i droni turchi e i sistemi di difesa aerea russi. Il meccanismo è ormai consolidato, funziona in automatico. Agli attori protagonisti del Grande gioco mediterraneo non resta che slittare qualche virgola della trama per adattarla alla scenografia locale.
Ho sempre considerato il Libano un paese meraviglioso. Forse è il ricordo dei Fenici, forse i cedri del Libano, forse è l’insieme delle sue culture che, purtroppo, invece di essere un fattore positivo, sono fonte di guerra e di contrasto.