IL FATTO QUOTIDIANO — 9 LUGLIO 2020
Le bugie di stato su 43 morti. Studenti, strage impunita
Caso Ayotzinapa: trovati i resti di una vittima, smentita la versione dell’ex presidente Peña Nieto sul massacro del 2014
di Alessia Grossi | 9 LUGLIO 2020
Christian è l’unico figlio maschio di Clemente Rodriguez e Luz Maria Telumbre. Alto, moro, occhi neri il suo sogno è studiare per garantirsi un futuro e aiutare la sua famiglia. La sua passione, da quando è un bambino, tuttavia, sono i balli folkloristici. Nella sala prove della Casa della Cultura di Tixla manca il rimbombo dei colpi dei suoi tacchi sul pavimento di legno, da quando, il 26 settembre del 2014 “Socho” “Sonchito”, o anche “Clark” o “Hugo”, a seconda se a chiamarlo fossero i suoi compagni di ballo o quelli di classe, è scomparso insieme agli altri 42 alunni della scuola normale rurale di Ayotzinapa, stato di Guerrero, Messico.
Le due sorelle non lo riabbracceranno più. Cinque anni, 286 giorni e 13 ore dopo, la polizia scientifica del cosiddetto “Caso Ayotzinapa” ha confermato che il corpo ritrovato a novembre scorso è il suo. Un corpo che parla, come vuole la tradizione dei morti in Messico e che – in questo caso – con la sua sola presenza nel luogo del ritrovamento, cancella la famosa “verità storica” con cui l’ex presidente Enrique Peña Nieto ha cercato di chiudere il caso degli studenti spariti, a soli due mesi dalla scomparsa. “Uccisi dai sicari di “Guerreros Unidos”, (uno dei gruppi criminali locali di Iguala sorti dallo smembramento dei grandi cartelli della droga, ndr), con la connivenza di agenti corrotti, mentre andare via da Iguala su tre autobus con cui volevano raggiungere Città del Messico. I 43 sono stati trascinati nella discarica di Cocula e i loro corpi incendiati”.
Così l’8 novembre 2014, il procuratore generale Jesús Murillo Karam, visibilmente commosso, confermava la morte dei ragazzi a telecamere accese, facendo a pezzi le flebili speranze delle famiglie dei giovani che viaggiavano sugli autobus – ritrovati vuoti e crivellati di colpi – di rivedere i propri figli o poter dare loro degna sepoltura. Il motivo dell’attacco da allora è solo uno dei tanti misteri che avvolgono il caso dell’ennesima macelleria messicana, anche se una Commissione internazionale ha stabilito nel 2016 che si è trattato di un atto di violenza della polizia con l’appoggio dell’esercito e dei Servizi. Ora a porre una pietra tombale sulla narrativa ufficiale è arrivato il corpo di Christian, non ritrovato accanto alla discarica come i due compagni, Alexander Mora e Jhosivani Guerrero, i cui resti giacevano sulla strada del fantomatico agguato, bensì a 800 metri da Cocula. Lì in teoria già unità della ormai defunta Procura generale della Repubblica, Pgr, diretta da Murillo Karam, avevano cercato palmo a palmo senza risultati.
Peccato che a dirigere le ricerche dell’Agenzia di Indagini criminali fosse Tomás Zerón, oggi latitante, ricercato dall’Interpol per tortura, sparizione di persone e reati contro l’amministrazione pubblica. È a lui – oltre ad altri 46 funzionari pubblici, tra cui Carlos Arrieta e Julio Dagoberto Contreras, rispettivamente capo della Polizia ministeriale suo sottoposto – che il procuratore generale del Messico, Alejandro Gertz, imputa la partecipazione nella sparizione degli studenti. Ma, soprattutto, Zerón è accusato di “aver alterato il corso delle indagini”, “occultando prove” durante le ricerche. Il famoso “affaire del rio San Juan”, in riferimento al suo viaggio sul luogo del presunto delitto, la discarica, con uno dei detenuti del clan. In questa occasione, quest’ultimo gli avrebbe indicato di cercare nel fiume adiacente, il rio San Juan, in cui effettivamente avvolti in buste di plastica vennero ritrovati resti umani, identificati poi con Alexander Mora, uno dei 43 studenti scomparsi. Il problema è che Zerón nascose ogni cosa, finché, scoperto, divulgò un video, rieditato, delle ricerche nella zona. Ma per allora le famiglie dei desaparecidos già non credevano a una parola delle dichiarazioni ufficiali, né avvocati e periti indipendenti erano sicuri della versione della discarica.
Potrebbe trattarsi di un caso isolato di funzionario corrotto come tanti in Messico, se non fosse che la carriera fulminea di Zerón – volato a fine anno, non appena ritrovati i resti di Christian, in Canada – sia così legata a Peña Nieto. Arrivato alla Procura nel 2013 con il presidente, aveva lavorato con lui già in al tempo in cui era governatore di Guerrero e dal 2009 al 2013 era stato coordinatore della Procura e poi titolare dell’unità speciale contro il crimine organizzato. Dopo Ayotzinapa, proprio a settembre 2014, assunse il ruolo di viceprocuratore e capo dell’Agenzia di Indagine criminale: il super-poliziotto del Messico.