ESPRESSO.REPUBBLICA.IT — 6 LUGLIO 2020
foto da art. 21
La condanna degli aggressori fascisti è una vittoria per tutti
I 5 anni e mezzo in primo grado ai due esponenti dell’estrema destra romana spezzano una pretesa di impunità di certi ambienti. E sono una vittoria di chi crede nel nostro mestiere e nella libertà di informare
DI MARCO DAMILANO
06 luglio 2020
Ti sparo in testa. Con questa minaccia, il 7 gennaio 2019, si concluse l’aggressione nei confronti del giornalista Federico Marconi e del photoreporter Paolo Marchetti al cimitero del Verano , da parte di due gerarchi del neo-fascismo romano, oggi condannati in primo grado dal tribunale di Roma a cinque anni e sei mesi .
Non è un fatto di cronaca, ma una vicenda che racconta di noi: di noi dell’Espresso, di noi giornalisti, dell’Italia di questi anni. Un’Italia in cui le squadracce nere si sentono impunite e puntano su chi scrive di loro. Nel caso della commemorazione dei fatti di Acca Larentia volevano impedire, come si legge nel rinvio a giudizio, che una manifestazione pubblica e in luogo pubblico non fosse documentata dall’informazione, con l’intimidazione e la violenza.
In generale, vorrebbero una stampa silente, timorosa, come si è visto anche nell’ultimo fine settimana, quando contestatori di uguale matrice di estrema destra hanno cercato di disturbare la presentazione del libro del nostro giornalista Gianfrancesco Turano sui moti di Reggio Calabria del 1970 (Salutiamo, amico, pubblicato da Giunti).
Non sono casi isolati. Sul giornalismo, e sul giornalismo di inchiesta in particolare, si accanisce da tempo un attacco concentrico. A volte le critiche in buona fede, si discutono legittimamente i nostri possibili sbagli o forzature. Spesso sono in cattiva fede: gli squadristi della rete non chiedono più qualità della informazione, non hanno a cuore l’autorevolezza della stampa, sognano la chiusura delle testate che non fanno la cassa di risonanza dei proclami social dei loro capi, scambiano l’obiettività del giornalista per la sua evanescenza, immaginano giornalisti che non fanno inchieste, non pongono domande, non danno fastidio a nessuno.
Per questo una sentenza come quella di oggi è una vittoria. Perché spezza una pretesa di impunità che nel gennaio 2019 sembrava poter contare anche da parte di esponenti delle istituzioni: non possiamo dimenticare che il gesto non fu mai davvero condannato dal ministro dell’Interno dell’epoca Matteo Salvini.
Perché é una vittoria dei colleghi colpiti, dell’Espresso e del nostro gruppo editoriale Gedi che si è subito costituito parte civile. Ringrazio la Fnsi, che ci è sempre stata vicina, e Ossigeno per l’informazione che monitora e difende i giornalisti a rischio di intimidazione.
Ma soprattutto perché nella mobilitazione che ha preceduto il processo giudiziario c’è il riconoscimento che chi tocca anche un solo giornalista colpisce tutti i giornalisti e attacca la libertà di stampa che è uno dei pilastri della democrazia, quindi colpisce tutti i cittadini. Per questo, è una vittoria di chi crede nel nostro mestiere e nella libertà di informare. Una vittoria di tutti.
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