CARLO BASTASIN ( notizie al fondo e un libro ) :: Bce, il giudice e il bazooka —REPUBBLICA DEL 5 MAGGIO 2020

 

 

REPUBBLICA DEL 5 MAGGIO 2020

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Commento

Coronavirus

Bce, il giudice e il bazooka

05 MAGGIO 2020

La sentenza: nel pieno di una crisi di cui non conosciamo profondità né durata, la Corte costituzionale tedesca vorrebbe imporre alla Banca centrale europea di acquistare i titoli dei diversi Paesi solo in misura limitata e proporzionata

DI CARLO BASTASIN

Una sentenza non irrimediabile, ma irritante e insidiosa. Destinata a seminare incertezza nei prossimi mesi sulla possibilità della Bce di fare “tutto ciò che è necessario” per aiutare l’economia europea e in particolare quella italiana.Nel pieno di una crisi di cui non conosciamo profondità né durata, la Corte costituzionale tedesca vorrebbe imporre alla Bce di acquistare i titoli dei diversi Paesi solo in misura limitata e proporzionata.

Anche se la sentenza si riferisce a programmi d’acquisto del 2015, getta un’ombra sugli acquisti in corso oggi, nei quali la quota italiana è di gran lunga la maggiore di tutti i Paesi.

La situazione non è senza rimedio: prima di tutto la sentenza è provvisoria; inoltre il governo tedesco può riportare un po’ di buon senso negli sventurati giudici di Karlsruhe; pure la Bce può agevolmente rispondere ai loro dubbi.

Infine gli interventi di oggi della Banca, vitali per l’Italia, sembrano al riparo dalle critiche perché “proporzionati” a un evento eccezionale e devastante come la pandemia.

Tuttavia, se l’incertezza seminata dalla sentenza di ieri dovesse permanere, allora le tensioni finanziarie potrebbero aggravarsi, fino a spingere l’Italia a ricorrere al fondo salva-Stati (Mes). Proprio il Mes infatti darebbe accesso ad interventi della Bce (Omt) che sfuggono ai limiti della sentenza di ieri. Prima di reagire con foga sovranista, l’Italia deve riconoscere che la sua dipendenza dalla Bce aumenta mese dopo mese.

Nel 2020 il nostro Paese farà emissioni lorde di titoli di Stato per 550 miliardi, ma grazie agli acquisti della Bce, le emissioni nette per le quali dovrà cercare privati disposti ad acquistare i suoi titoli saranno forse “solo” 30 miliardi.

Questo tuttavia vale per il 2020. L’euro-area rischia di non recuperare il livello di attività precedente alla pandemia fino al 2023 e l’Italia potrebbe uscirne più lentamente. Uno scenario in cui la Bce si trovasse sulle spalle un terzo di tutto il debito italiano può legittimamente inquietare i nostri partner. Che rispondano, ancorché in modo sbilenco, richiamandosi a leggi europee può irritare, ma bisogna tenerne conto.

In tutto questo, i governi, per primo quello di Berlino, dovrebbero farsi sentire.I margini politici della Bce infatti, in particolare dopo le gaffe di Christine Lagarde, sono stretti. Pur puntando soprattutto a dare liquidità alle banche, in un solo mese la Banca ha speso 100 dei 750 miliardi del nuovo programma di acquisto di titoli pubblici.

Già a ottobre potrebbe esaurire le munizioni e per averne di nuove dovrà essere al riparo dai dubbi tedeschi verso interventi che rispondono ormai apertamente alla necessità di condivisione dei rischi e dei debiti europei. In teoria, in assenza di pericoli di inflazione, la Bce potrebbe comprare ogni cosa, anche immobili, biciclette o mascherine, pur di sostenere l’attività economica.

Ma due cose non può fare: violare i Trattati europei e minare il consenso politico tra i Paesi dell’euro-area. La sentenza di ieri dimostra il potenziale di antagonismo che si nasconde sotto quelle ceneri.

Si discuterà a lungo di questa sentenza, e di quanto essa sembri un regolamento di conti con la Corte di giustizia europea proprio nel momento in cui la superiorità del diritto europeo rispetto a quelli nazionali è il principale strumento per discernere le democrazie dai regimi illiberali.

Tuttavia, la sentenza è anche un segnale che nel governo dell’economia europea il ruolo addossato alla Bce è eccessivo e che è ora che i governi nazionali condividano i costi di popolarità di aderire a una politica di bilancio comune, indispensabile a contrastare la peggiore recessione a memoria d’uomo. Finora infatti la risposta al coronavirus è stata tesa a guadagnar tempo.

Nella fase 1 i governi hanno speso quanto più era loro possibile, approfittando della sospensione delle regole di bilancio e degli acquisti di titoli della Bce.

Dalla fase 2, sono state mobilitate le prime risorse europee, ma sempre puntando sul sostegno della Bce.

Per l’anno prossimo, la fase 3, la Commissione europea ha promesso fondi per 1500 miliardi in spese e investimenti, mettendone in realtà solo 320 in tre anni e sperando ancora una volta che la Bce stabilizzi l’economia e – con azzardo temerario – che ciò basti a convincere gli investitori privati a mettere la differenza.

L’ambiguità politica sta nel nascondere i costi e gli esiti di queste operazioni dietro la Bce ed evitare in tal modo che governi e istituzioni comuni rendano conto di quanto – o quanto poco – stanno facendo insieme.

Tutti sappiamo che il mondo uscirà da questa crisi carico di debiti, alcuni dei quali non sostenibili, che tra i Paesi europei crescerà la divergenza, e sappiamo inoltre che i modelli sociali ed economici dovranno cambiare, ma per ora siamo paralizzati dallo shock della pandemia. “Incidenti” pur gravi come quello di ieri possono essere utili a rompere l’inerzia.

Con questo articolo Carlo Bastasin inizia la sua collaborazione con Repubblica

QUALCOSA SULL’AUTORE DELL’ARTICOLO — IL SUO ULTIMO LIBRO

 

Carlo Bastasin - The Political Economy of the Eurozone Crisis - 25 ...

È Senior Fellow alla LUISS di Roma, dove insegna Politica economica europea, e alla Brookings Institution di Washington ed editorialista de “Il Sole-24 Ore”. Trale sue pubblicazioni Saving Europe (Brookings Institution Press 2015), Viaggio al termine dell’Occidente (Luiss Press 2019) e La strada smarriza (Laterza, 2020 con Gianni Toniolo).

 

 

Viaggio al termine dell’Occidente. La divergenza secolare e l’ascesa del nazionalismo

Carlo Bastasin

Articolo acquistabile con 18App e Carta del Docente
Editore: Luiss University Press
Collana: I capitelli
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 28 novembre 2019
Pagine: 160 p., ill. , Brossura
16,50 PREZZO PIENO

Descrizione

Come hanno potuto milioni di americani identificarsi nella narrazione deliberatamente aggressiva di Donald Trump? Com’è possibile che tanti europei girino lo sguardo di fronte a migliaia di persone che affogano nel Mediterraneo? Come è potuto tornare al richiamo del nazionalsocialismo nelle province orientali europee? Che cosa, infine, fa chiedere agli occidentali minore giustizia sociale, proprio quando aumentano le disuguaglianze? Viaggio al termine dell’Occidente percorre le strade lungo le quali ci stiamo perdendo: da Berlino a Washington, da Roma a San Francisco, cerca i segnali di uno smarrimento che sta modificando anche il carattere delle persone. Le radici del problema sono nel funzionamento della società e dell’economia che non produce più convergenza e comuni obiettivi. Da quando tecnologia, finanza e capitale umano si concentrano in singole professioni, settori o aree geografiche, la dinamica che segna gli individui è quella della divergenza. Non si tratta solo di diseguaglianze, ma di interi destini che divergono, per alcuni verso quello che sembra un declino inarrestabile, per altri verso un’indifferenza esistenziale e un senso di distacco e superiorità. Se il linguaggio della convergenza era la sconfitta della povertà e il benessere di tutti, quello della divergenza è la discriminazione e la recriminazione: costruiamo muri e riteniamo che le sofferenze altrui siano giustificate. Quando l’incrudimento dei destini personali coincide con la divergenza di interi Paesi, la retorica nazionalista finisce per prendere il sopravvento. Il viaggio tocca anche l’Italia, il Paese in cui da anni le scelte pubbliche assomigliano alla Lotteria di Babilonia e che è ora più esposto di altri alle tentazioni autoritarie.

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