LIANA MINELLA :: INTERVISTA AL MAGISTRATO NINO DI MATTEO :: “Bonafede cambiò idea sulla mia nomina al Dap per lo stop di qualcuno” –REPUBBLICA DEL 6 MAGGIO 2020 -pag. 4

 

 

REPUBBLICA DEL 6 MAGGIO 2020 -pag. 4

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L’intervista al pm Antimafia

 

Di Matteo “Bonafede cambiò idea sulla mia nomina al Dap per lo stop di qualcuno”

 

di Liana Milella

Di Matteo: 'Bonafede mi chiese di andare al Dap, poi ci ha ...

Nino Di Matteo, all’anagrafe Antonino Di Matteo (Palermo, 26 aprile 1961), è un magistrato italiano. Dal 2012 è presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati di Palermo. A causa della sua attività, Di Matteo è sotto scorta dal 1993

ROMA – Nino Di Matteo è al Csm. Chiuso nella sua stanza. Per un’intera giornata, lunedì dopo la sua telefonata a “Non è l’arena”, è stato irraggiungibile. Poi ieri eccolo di nuovo disponibile. Con la voce vagamente angosciata di sempre. Non vuole dire nulla. Lo premette. Insisto.

Perché questo silenzio?

«Ho tenuto il telefono spento, ho lavorato. Quello che avevo da dire sono riuscito a dirlo nella telefonata, non voglio commentare i fatti».

Ma i fatti sono quelli?

«Sì, i fatti sono quelli, il mio ricordo è preciso e circostanziato».

Ripercorriamoli, allora, quei fatti.

«Era lunedì, il 18 giugno. Ero a Palermo, a casa, il giorno dopo sarei tornato a Roma, nel mio ufficio alla procura nazionale antimafia. Squillò il telefono una prima volta, con un chiamante sconosciuto. Non risposi.

Suonò di nuovo. Era Bonafede. Con lui non avevo mai scambiato una parola. C’era stato solo un incontro alla Camera nel corso di un convegno sulla giustizia e poi un altro alla convention di M5S a Ivrea. La telefonata durò 10 o 15 minuti».

Cosa le disse Bonafede?

«Mi pose l’alternativa, andare a dirigere il Dap oppure prendere il posto di capo degli Affari penali.

Aggiunse che dovevo decidere subito perché mercoledì ci sarebbe stato l’ultimo plenum utile del Csm per presentare la richiesta di fuori ruolo.

Richiesta che era urgente per il Dap, ma non lo era per la direzione degli Affari penali».

Che in quel momento però era occupato dalla collega Donati e che non conta più come ai tempi di Falcone perché nella scala gerarchica c’è un capo dipartimento?

«Esatto. Gli dissi che sarei stato a Roma il giorno dopo e mi sarei recato da lui al ministero».

Come finì la conversazione?

«Bonafede chiuse il telefono dicendo “scelga lei’”».

Insomma, lei poteva fare il capo di una polizia con un indiscutibile potere del tutto autonomo oppure stare sotto un capo?

«Proprio così».

Che accadde a Roma quel martedì?

«Entravo per la prima volta al ministero della Giustizia dai tempi del concorso. I colleghi che mi accolsero mi dissero ”lei viene qui su invito del ministro, altri vengono di loro iniziativa…”. Mi sedetti davanti a Bonafede e gli dissi che accettavo il posto di capo del Dap. Lui però, a quel punto, replicò che aveva già scelto Basentini, mi chiese se lo conoscessi e lo apprezzassi. Risposi di no, che non lo avevo mai incontrato».

Chiese al ministro perché aveva cambiato idea?

«No, non lo feci, ma rimasi sorpreso.

Devo presumere che quella notte qualcosa mutò all’improvviso.

Bonafede insistette sugli Affari penali, parlò di moral suasion con la collega Donati perché accettasse un trasferimento. Non dissi subito no, ma manifestai perplessità. Siamo a giugno, disse Bonafede, lei mi manda il curriculum, a settembre sblocchiamo la situazione».

Il giorno dopo lei tornò in via Arenula.

«Sì, lo chiamai e tornai da lui per cinque minuti, il tempo di dirgli che a queste condizioni non ero più disponibile. Cose come queste sono indimenticabili. Come il nostro ultimo scambio di battute. Io gli dico di non tenermi più presente per alcun incarico, lui ribatte che per gli Affari penali ”non c’è dissenso o mancato gradimento che tenga”. Una frase che, se riferita al Dap, ovviamente mi ha fatto pensare».

Con il Guardasigilli fu affrontata la questione delle esternazioni dei boss contro di lei?

«Bisogna fare un passo indietro.

Dopo le elezioni alcuni giornali scrissero che c’era un’ipotesi Di Matteo al Dap. Dell’esistenza del rapporto lo appresi il giorno prima o lo stesso giorno della visita. Mi chiamarono da Roma dei colleghi per dirmi che c’era una cosa molto brutta che mi riguardava. In più penitenziari, per esempio all’Aquila, boss di rango avevano gridato “dobbiamo metterci a rapporto col magistrato di sorveglianza per protestare contro questa eventualità”. Subito dopo 52 o 57 detenuti al 41 bis, ciascuno per i fatti suoi, avevano chiesto di conferire. A quel punto era stata fatta un’informativa diretta a più uffici di procura e al Dap».

Sì, questi sono i fatti, ma lei parlò del rapporto con Bonafede?

«Il ministro si mostrò informato della questione».

Perché rimase deluso da quella che considerò una marcia indietro del ministro?

«Pensai allora, e ho sempre pensato, di essere stato trattato in modo non consono per la mia dignità professionale. Io vivo una vita blindata da 15 anni, mi muovo con 15 uomini intorno che controllano ogni mio movimento. Sulla mia testa pende una condanna a morte mai revocata di Riina. Collaboratori attendibili continuano a dire che per me l’esplosivo era già pronto. Faccio il magistrato e con tutto quello che ho fatto nel mio lavoro sapevo e so che non devo chiedere niente”.

Visto che ne ha parlato già in tv mi spiega di nuovo cosa la turbò nel comportamento di Bonafede?

«Prima una proposta, poi un’altra. Da allora mi sono sempre chiesto cos’era accaduto nel frattempo. Se, e da dove, fosse giunta un’indicazione negativa, magari uno stop degli alleati o da altri, questo io non posso saperlo».

Scusi, Di Matteo, ma sono passati due anni da allora, perché non ne ha parlato subito?

«Per alto senso istituzionale non potevo dire perché non avete nominato me anche se c’era chi, accanto a me, faceva le ipotesi più fantasiose, ma io non ho mai voluto dire niente. Se avessi parlato sarebbe apparso fuori luogo, come un’indebita interferenza».

E perché allora lo ha fatto adesso?

«Dopo le dimissioni di Basentini, proprio come due anni fa, alcuni giornali hanno di nuovo scritto che mi avrebbero fatto capo del Dap.

Quando Roberto Tartaglia è diventato vice direttore eccoli scrivere “arriva il piccolo Di Matteo”.

Poi domenica sera, quando ho sentito fare il mio nome inserendolo in una presunta trattativa – e sia chiaro che lo rifarei negli stessi termini – ho sentito l’irrefrenabile bisogno di raccontare i fatti, al di là delle strumentalizzazioni».

Lei ora passa per anti Bonafede, ma in questi due anni più volte ha parlato bene delle sue leggi.

«È un fatto che quanto è accaduto non mi ha condizionato, tant’è che sono intervenuto sulle iniziative del ministro. Ho detto sempre quello che pensavo, com’è accaduto sulla prescrizione. Io non sono uno che fa calcoli. Che rimugino su quanto dico e a chi lo dico. Ma dopo quei colloqui ci sono rimasto male e ho detto quello che pensavo quando ho sentito dire delle inesattezze. Non intendo giudicare il lavoro di Basentini, né contestare la scelta di Petralia, ma se si parla del perché non è stato scelto Di Matteo per fare il capo del Dap io ho il diritto di dire come sono andati i fatti. Se mi chiameranno in una sede istituzionale andrò a spiegare quei fatti per come li ho vissuti. Ma almeno adesso mi sono tolto un peso».

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1 risposta a LIANA MINELLA :: INTERVISTA AL MAGISTRATO NINO DI MATTEO :: “Bonafede cambiò idea sulla mia nomina al Dap per lo stop di qualcuno” –REPUBBLICA DEL 6 MAGGIO 2020 -pag. 4

  1. Donatella scrive:

    La cosa curiosa è che adesso la destra è tutta per Di Matteo, quando in precedenza l’ha sempre denigrato. C’è un articolo su “Il Fatto” di martedì 5 maggio 2020 a pag.20 e un altro su “Il Fatto” di oggi 6 maggio a pag. 4.

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