bertold brecht e ruth berlau
Bertolt Brecht (1898-1956) is a photograph by Granger
Ruth Berlau Berlin 1969.jpg
Fueras
Bertolt Brecht and his daughter, Nanne Hiob, Berlin, 1927
Bertolt Brecht and Ruth Berlau
Ruth Berlau
REPUBBLICA DEL 28 SETTEMBRE 1985
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/09/28/bertolt-pascia-ruth
BERTOLT PASCIA’ E RUTH LA ROSSA
ARTICOLO DI:::
VANNA VANNUCCINI
BONN –
“Lai-Tu pensava di non valere molto perché non aveva creato nessuna grande opera. Me-ti le disse: è vero, non hai ancora dato prodotti. Ma questo non significa che tu non abbia prodotto nulla. La tua capacità viene apprezzata in quanto viene percepita. Così la mela ottiene il suo riconoscimento quando viene mangiata”.
A quarant’ anni dalla morte di Bertolt Brecht, Lai-Tu (così Brecht chiamava la regista e scrittrice danese Ruth Berlau, che ebbe con lui un intenso rapporto d’ amore e di lavoro) risponde.
Un ex-allievo di Brecht, ed ex-direttore dell’ Archivio Brecht di Berlino Est, Hanns Bunge – al quale si devono anche le conversazioni con Hans Eisler ” Domandate di più su Brecht “- ha ora raccolto in volume gli scritti inediti di Ruth Berlau e le memorie che lei gli aveva dettato al magnetofono nel ‘ 59, tre anni dopo la morte di Brecht, nell’ intesa che venissero pubblicate dopo la propria morte.
L’ amore è produzione, aveva detto Brecht a Lai-Tu: “L’ essenza dell’ amore, come delle altre grandi produzioni, è che gli amanti prendono sul serio cose che gli altri trattano alla leggera: i più piccoli contatti, i toni più impercettibili. Ai migliori riesce di portare il loro amore in totale sintonia con le altre produzioni; allora il loro sentimento diventa generale, ed essi contribuiscono a tutto ciò che è produttivo”. Diventata (nell’ ordine) sua collaboratrice, amica e amante dopo che Brecht arrivò in Danimarca, prima terra d’ esilio, “Ruth la rossa” (così veniva chiamata a Copenaghen, dove aveva fondato il Teatro rivoluzionario dei lavoratori) lasciò per lui il marito, la famiglia, gli amici, il lavoro e la madrelingua.
Lo seguì in tutte le tappe della sua emigrazione: dalla Svezia alla Finlandia, a Mosca, a Los Angeles, e poi a Zurigo e Berlino Est. Lo aiutò nella stesura delle sue opere, gli procurò materiale, suggerimenti e idee, gli fornì le “critiche costruttive” che lui richiedeva, gli fece da impresario, gli fece da fotografa quando Brecht non poteva pagarsi un professionista per le foto di scena, per anni batté a macchina di notte le pagine da lui scritte durante il giorno. Brecht era un feticista del manoscritto: e per rimettersi al lavoro, il mattino dopo, aveva bisogno di trovare il materiale pulito e corretto. I ricordi, i frammenti di diario, le annotazioni ci rivelano un destino femminile fatto di sofferenza e di esaltazione, di follia e di saggezza, di ribellione contro lo sfruttamento e di accettazione del medesimo: la storia di una cancellazione di sé, dove è difficile distinguere tra il dominio teorizzato e praticato da Brecht e l’ illusione di essergli indispensabile che lei ha nutrito per tutta la vita.
HELENE WEIGEL
Helene Weigel (Vienna, 12 maggio 1900 – Berlino, 6 maggio 1971) è stata un’attrice austriaca naturalizzata tedesca, direttrice del Berliner Ensemble. Sposata con Brecht nel ’29, da lui aveva avuto un figlio nel ’24 e avrà anche una figlia, Barbara. Ha interpretato le opere del marito con enorme successo. Ha fatto anche tre film da queste.
https://it.wikipedia.org/wiki/Helene_Weigel
Brecht, dice Bunge, in fondo non amava circondarsi di schiavi, anche se li utilizzava. La sola donna che egli non abbandonò mai fu Helene Weigel: l’ unica ad aver mantenuto nei suoi confronti “una certa sovranità” che, secondo Bunge, le veniva dal fatto di essere la moglie legittima dello scrittore e la madre dei suoi figli. Questo ruolo, che “contava” anche nell’ ambiente anticonformista in cui vivevano, le dette sempre maggior sicurezza rispetto a tutte le altre donne che circondavano Brecht. Quando Brecht conobbe Ruth Berlau, questa era una giornalista famosa e una regista alla moda, nonostante o forse proprio per la sua dedizione al comunismo. Era sposata a un celebre chirurgo e conduceva una vita brillante.
“Du wirdst gebraucht”, mi sei indispensabile, fu la parola magica che la spinse a partire con Brecht. “Da ora in poi ti aspetto, dovunque io arrivi, e conto che tu venga, non per te ma per me, Ruth”, le aveva scritto lui non appena lasciata la Danimarca.
L’ esilio aveva disperso i suoi collaboratori, privandolo della sua maniera preferita di scrivere, quella collettiva: ogni frase di un lavoro allo stadio rudimentale veniva letta, discussa e corretta nella cerchia degli amici e collaboratori (essenzialmente donne, perché gli uomini si erano presto sottratti alla sua presa).
“Qui parla colui che nessuno ascolta: / parla troppo forte / si ripete / dice il falso: / nessuno lo corregge”, scrive Brecht durante il suo soggiorno in Danimarca.
Alla teoria dell’ amore come produzione Brecht faceva seguire una pratica rigorosa. Ogni donna aveva le sue precise funzioni, a seconda del talento e delle capacità.
Brecht e Steffin
Per esempio, chi era straordinariamente dotata per le lingue, come Grete Steffin – che seguì Brecht nell’ esilio fino a Mosca, dove morì di tisi – doveva imparare (e difatti imparava rapidamente) le lingue dei vari paesi in cui lo scrittore cercò rifugio, in modo da essere subito utilizzabile da lui come interprete e traduttrice.
Perciò trovare sul suo cammino Ruth Berlau dovette sembrargli un dono celeste. La giovane regista sommava infatti alle qualità pratiche necessarie ad assisterlo in terra straniera, una freschezza e una originalità di interpretazione che Brecht seppe subito apprezzare.
Quanto Ruth Berlau abbia contribuito all’ opera di Brecht è difficile stabilire.
Nel racconto “Una produzione di Lai-Tu” Brecht scrive: “Il poeta Kin-jeh disse: è difficile dire che cosa Lai-Tu abbia prodotto. Forse quelle ventidue righe sul passaggio che io ho aggiunto al mio pezzo e che senza di lei… non sarebbero state scritte. Anche se avesse prodotto solo quello che mi ha fatto produrre, e che mi ha permesso di produrre, ne sarebbe valsa la pena”.
Nei periodi in cui vissero separati – lui a Los Angeles, lei a New York – la loro collaborazione avveniva attraverso un fitto scambio di lettere. Parte di queste sono state scartate dalla famiglia Brecht, per far sì che il numero delle lettere di Bertolt a Ruth non superasse quelle da lui scritte alla Weigel.
Nè le lettere compariranno nell’ edizione critica completa in trenta volumi che gli editori di Brecht nelle due Germanie (Suhrkamp e Aufbau Verlag) hanno annunciato per l’ 87: una collaborazione inter-tedesca senza precedenti, che rilancerà nel ruolo di eroe nazionale il drammaturgo ormai un po’ dimenticato. Ufficialmente, Brecht riconobbe Ruth Berlau come sua collaboratrice, lasciandole nel testamento parte dei diritti d’ autore per quattro lavori: L’ anima buona del Sezuan, Il cerchio di gesso del Caucaso, I giorni della Comune e Der Hofmeister (“Il precettore”).
Il testamento fu poi impugnato con successo dalla vedova “legittima” e Ruth non ebbe un quattrino. L’ essere indispensabile a Brecht divenne per Ruth il centro della propria identità. Quando, tornando a Berlino, lo scrittore non ebbe più bisogno di lei, avendo ritrovato una fitta rete di collaboratrici e giovani amanti, lei imboccò una strada senza uscita, tra alcool, cure disintossicanti e ricoveri in cliniche psichiatriche. Anche dopo la morte dello scrittore, Ruth non smise di vivere di fantasie: raccontava di stare scrivendo libri su Brecht, di tenere conferenze su di lui in ogni parte del mondo… Morì nel ‘ 74, in un ricovero per anziani. L’ ultima sigaretta fumata stando a letto con l’ ultimo bicchiere di vino, diede fuoco alla stanza, e Ruth non riuscì o non volle, spegnere le fiamme.
Il fuoco, le aveva detto Brecht al loro primo incontro, era il suo elemento. Le dedicò infatti una poesia che Hanns Eisler mise in musica: “Ardens Sed Virens”.
Così lui voleva che fosse, “Brennend, aber nicht Vehrzert”: ardente ma non arsa, in fiamme ma non consumata. Il fuoco consumava anche Brecht. “Quando ci siamo incontrati”, scrive Ruth, “Brecht mi diede la mano ma allo stesso tempo fece un passo indietro. Distanza, per l’ amor di Dio, distanza! Non solo nella regia chiedeva distanza, ma anche nella vita privata… Brecht era solo. Doveva proteggersi, in ogni tempo e da qualsiasi parte”. Dalla solitudine si difendeva attraverso il lavoro collettivo.
Raccontando un sogno, Ruth ci rivela che cosa significa per lei l’ amore come produzione. “Il letto crolla e mi accorgo di bruciare. Prendono fuoco per primi i peli del pube. Con tutte e due le mani cerco di spegnere le fiamme con l’ umore della vagina. Alzo la mano destra: brucia come una fiaccola. La mostro a lui che è entrato: sta a pochi metri di distanza e parla con molta gente. Colgo alcune frasi. Riguardano la vita e la morte delle sue opere. Nella costellazione di Cassiopea (che lui le aveva insegnato a riconoscere giurandole amore eterno – n.d.r.) manca una stella. E’ quella stella mancante che mi ha colpito e mi ha dato fuoco”.
Dell’ amore tra Brecht e Ruth Berlau resta una testimonianza curiosa, una poesia che non si sa se sia stata scritta da lei o da lui. Tre righe, che si trovano due volte negli scritti della Berlau: in una pagina di diario del 21 gennaio 1951, e scarabocchiate dietro una cartolina. Brecht le inserì poi nella raccolta delle sue poesie. Titolo: Debolezze. Versi: “Tu non ne avevi alcuna. / Io ne avevo una. / Amavo”.