IL FATTO QUOTIDIANO DEL 28 APRILE 2020
Coronavirus – Da Nord a Sud 1039 pazienti trattati a casa con idrossiclorochina. Il punto sulla sperimentazione: “Crollo dei ricoveri”
Si tratta di uno dei trattamenti contro il Covid-19 in sperimentazione ed è approvato dall’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco). Non tutti i medici sono concordi. Per Massimo Galli “non è utile come profilassi contro questo virus”. In Italia il primo a utilizzarlo è stato il direttore di Ematologia-Oncologia di Piacenza, Luigi Cavanna. Da Varese a Imola, da Napoli ad Alessandria fino ad Ascoli Piceno: le testimonianze dei medici che hanno utilizzato il farmaco
di Peter D’Angelo | 28 APRILE 2020
“Io sono un medico e, positiva al Covid19, ho immediatamente preso idrossiclorochina: in 3-4 giorni è scomparsa la febbre e gli altri sintomi”.
Così esordisce Paola Varese, primario di Medicina oncologica dell’Ospedale di Ovada, in Piemonte. “Ho applicato su me stessa lo stesso protocollo che ho previsto per 276 pazienti a casa”, continua la Varese, sottolineando che “è fondamentale un intervento tempestivo dei medici di famiglia nelle case dei pazienti, con idrossiclorochina associata ad eparina (e se necessario l’antibiotico). E’ presumibile – dice – che il crollo delle ospedalizzazioni sia dovuto all’uso immediato del farmaco: abbiamo avuto solamente 7 ricoveri: secondo le attese proiettive dell’ISS avremmo dovuto averne 55”.
L’idrossiclorochina è uno dei trattamenti contro il Coronavirus in sperimentazione, ed è approvata dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco).
Il pioniere in questo campo è il Direttore di Ematologia-Oncologia di Piacenza, Luigi Cavanna. E’ stato il primo in Italia a utilizzarla, un’intuizione che si sta dimostrando significativa.
“Dal 25 febbraio, ho trattato 209 pazienti e nel 90% dei casi la risposta è stata positiva.
Sono crollati i ricoveri: dal 30% di ospedalizzati (casi gravi o moderati) si è passati a meno del 5%”.
Il cambiamento, secondo Cavanna, è arrivato con la somministrazione dell’idrossiclorochina fin dalle prime fasi della malattia, quando i pazienti erano a casa, e ha avuto come conseguenza il ricovero di pochissimi casi in condizioni acute.
Un trattamento che, stando ai dati preliminari raccolti e sistematizzati da 5 Asl diverse su 1.039 pazienti, sta funzionando in tutta Italia.
Una parte dalla comunità scientifica rimane però prudente.
Secondo il direttore del reparto di Malattie infettive del “Sacco” di Milano, Massimo Galli,”questo farmaco (idrossiclorochina) viene utilizzato come profilassi antimalarica, ma non è utile come profilassi contro questo virus, e può comportare danni gravi per chi soffre di cuore e chi è affetto da favismo”.
Non si tratta insomma di un farmaco “da banco”: solamente il medico può prescriverlo e – come per ogni altro farmaco – bisogna tener conto del quadro clinico del paziente.
Le controindicazioni sono note: l’idrossiclorochina non può essere assunta dai fabici ( = Il favismo è una forma di grave anemia diffusa in Italia soprattutto nel Sud e nelle isole) – che sono dallo 0,3% al 3% in Italia -, sebbene i fabici corrano rischi gravi anche assumendo farmaci comuni come tachipirina e aspirina. Anche i pazienti con cardiopatie pregresse possono registrare scompensi.
In Italia, prima del Covid19, ogni mese si acquistavano 134mila confezioni di idrossiclorochina per circa 65mila pazienti cronici, con Lupus e Artrite reumatoide.
La clorochina si usa da più di 70 anni in ambito clinico, anche a dosaggi elevati per tempi prolungati (per Covid19, il trattamento dura 7 giorni, in media). Dopo decenni di studi accurati sul suo profilo di tossicità, tutti questi effetti avversi non sono apparsi con evidenze tanto da proporne una letteratura rilevante, eppure sono emersi nell’uso per Covid19.
“Tra i 169 pazienti trattati non vi è stato nessun decesso. Il 7% dei trattati è stato ricoverato, ma nessuno ha sviluppato complicanze gravi, né ha avuto alcun effetto collaterale durante il trattamento”.
Queste le parole di Moreno Ferrarese, Pneumologo della Asl di Alessandria, che insieme al Direttore Generale della Asl, Roberto Stura, hanno sistematizzato una mole enorme di informazioni cliniche.
“Su griglie Excel abbiamo raccolto dati su tutti i pazienti trattati a casa. Abbiamo seguito l’evoluzione clinica giorno per giorno – aggiunge Ferrarese – e da tutti i colleghi è stato rilevato un cambio netto della gravità nelle ultime settimane. Verosimilmente il miglioramento è correlato all’introduzione del Plaquenil – idrossiclorochina – somministrata entro le 48 ore dalla comparsa dei sintomi.
Se prima del trattamento si avevano alterazioni della temperatura fino a 10-12 giorni, dopo l’introduzione sistematica di idrossiclorochina, il 75% delle persone si è sfebbrata entro il 4° giorno e l’85% entro l’8° giorno”.
A mettersi di traverso c’è anche la burocrazia, che sta rallentando un approccio in cui la tempestività è fondamentale. Per essere efficace, infatti, il trattamento va avviato precocemente, meglio se entro 48-72 ore dalla comparsa dei sintomi nei sospetti Covid19 (quali: anosmia, ageusia, febbre, tosse, diarrea, dolori muscolari intensi).
Antonio Marfella, oncologo e Dirigente responsabile Farmacologia clinica dell’Istituto Pascale di Napoli è molto diretto:
“Da noi ci vogliono almeno 3 giorni per un tampone, se tutto va bene. Poi vanno aggiunti altri giorni per avere idrossiclorochina a casa dalla farmacia ospedaliera, e così si compromette il trattamento”.
“All’imponente macchina organizzativa messa in moto in Campania per contrastare Covid19 – aggiunge – mancano le terapie a domicilio, che in questo momento sono le uniche in grado di intervenire sulla malattia prima che sia troppo tardi, ed evitare i ricoveri e le acutizzazioni e – conclude – voglio anche dire che si tratta di un farmaco che costa, per tutto il ciclo terapeutico, poco più di 10 euro”.
Che si debba intervenire sin dall’inizio della sintomatologia, ne sono convinti anche a Imola. “Abbiamo iniziato a somministrare idrossiclorochina a domicilio il 27 marzo e da allora sono 231 i pazienti trattati in modo tempestivo”.
A raccontarlo è Andrea Rossi, Commissario Straordinario dell’Azienda Usl di Imola. I risultati? “Abbiamo avuto una riduzione del 50% degli ingressi in intensiva e nei pronto soccorsi per ospedalizzazione”.
Il Direttore del dipartimento di Oncologia, Andrea Maestri, ci racconta che “a due settimane dall’inizio dei trattamenti domiciliari siamo passati da 15 a 7 pazienti in intensiva, e da 70 a 35 pazienti in posti letto non-intensivi: un calo evidente”.
La domanda, a questo punto, è se il calo delle ospedalizzazioni possa essere dovuto al lockdown. “È un’ipotesi da valutare” argomenta Rossi, secondo cui “quello che le posso dire è che ci sono crescenti evidenze sul ruolo della terapia antivirale precoce, che ha come base idrossiclorochina, associata a farmaci antivirali e/o antibiotici, ed eparina”.
Certo è che dal 27 marzo al 12 aprile, mentre le curve dei “contagi” e dei “decessi” della Regione Emilia Romagna crescevano, le stesse avevano un’andamento opposto ad Imola: decrescevano. “Le ripeto, il trattamento domiciliare potrebbe aver drasticamente ridotto gli ingressi al Pronto Soccorso”, conclude Rossi, “e stiamo aspettando ulteriori conferme da una pubblicazione scientifica”. Il protocollo applicato ad Imola è stato messo a punto proprio dal Commissario Straordinario Rossi e da Pierluigi Viale, ordinario dell’università di Bologna e Direttore di Malattie Infettive del Sant’Orsola.
La regione che ha più tamponi positivi pro-capite, inaspettatamente, è la Valle D’Aosta:
“Siamo la regione con più pazienti positivi pro-capite (in Valle d’Aosta c’è un paziente positivo ogni 113 abitanti, mentre in Lombardia 1 ogni 134, ndr).
“In questo contesto – dice Luca Montagnani, Direttore del Dipartimento di emergenza, anestesia e rianimazione dell’Usl e coordinatore della Task Force regionale – abbiamo iniziato a somministrare idrossiclorochina a domicilio. Sono stati trattati 134 pazienti, tutti con tampone positivo, e nessuno è finito in intensiva. Solo 13 sono stati ricoverati, con un calo superiore al 50%, di cui 5 subito dimessi e 7 in miglioramento. Si è registrato solo un decesso: un uomo di 95 anni, con pluri-patologie”.
E’ interessante notare come nel sottogruppo trattato con il farmaco, la mortalità sia allo 0,6%. In Italia, tutto ciò che riguarda gli interventi regolatori sui farmaci, spetta all’AIFA.
A questo punto è necessario comprendere la posizione dell’Agenzia in merito a tutti questi dati. Va detto, innanzitutto, che il trattamento con idrossiclorochina è stato approvato dall’Agenzia, con determina del 17 marzo. La valutazione, da allora, è sempre la stessa: attendere ulteriori conferme. “Proprio in ragione di una potenziale efficacia, ma in mancanza di dati clinici adeguati, l’idrossiclorochina è attualmente oggetto di studio. Appena saranno disponibili i risultati degli studi avviati in Italia, come pure di quelli in corso a livello internazionale, sarà possibile dare una risposta definitiva al ruolo terapeutico dell’idrossiclorochina nei pazienti con Covid-19”.
L’unico studio italiano, già approvato, partirà nelle Marche: è l’Hydro-Stop-Covid-19 Trial, sulla somministrazione precoce di idrossiclorochina.
Il “principal investigator” è Procolo Marchese, del dipartimento di cardiologia dell’ospedale “Mazzoni” di Ascoli Piceno. “Tutto è iniziato con 20 pazienti (età media 63 anni, 72% maschi) positivi con tampone. Sono stati tutti trattati con idrossiclorochina: 400 mg x 2 il primo giorno e 200 mg x 2 per 5 giorni, nel 40% dei casi con aggiunta di antibiotici. Il miglioramento clinico al primo contatto dopo circa 7 giorni riguardava l’80% dei pazienti”.