IL MANIFESTO DEL 15 APRILE 2020 –pag. 10
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CULTURA
Jean-Paul Sartre, una filosofia capace di offrire metodi
ANNIVERSARI. A 40 anni dalla sua scomparsa, un ritratto dell’intellettuale francese. Una riflessione articolata in molti temi: libertà, vita, morte, emozioni, immaginazione, storia e letteratura. L’enorme successo della sua impostazione, teorica ma anche di impegno sociale e politico, ha avuto il raro pregio di superare la propria epoca per arrivare a noi. Non ha mai accettato premi né riconoscimenti, rifiutando perfino il Nobel nel 1964. Non voleva diventare monumento, detestava essere mummificato dalla gloria
Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre nel 1955 in Beijing
Claudio Tognonato
EDIZIONE DEL 15.04.2020
PUBBLICATO15.4.2020, 0:01
AGGIORNATO14.4.2020, 19:09
Il 15 aprile 1980 all’ospedale Broussais di Parigi dove era ricoverato da settimane, muore Jean-Paul Sartre. Quattro giorni dopo, il 19 si convoca spontanea una moltitudine che vuole dare un ultimo saluto all’intellettuale più importante del dopoguerra francese. Simone de Beauvoir, la compagna di una vita, descrive il momento del funerale nella Cerimonia degli adii: «C’era una folla immensa, circa cinquantamila persone, soprattutto giovani nel complesso, lungo tutto il tragitto, la folla fu disciplinata e calorosa.
‘È l’ultima manifestazione del ’68’ disse Claude Lanzmann. Io non vedevo nulla ero pressoché anestetizzata dal Valium». Quel giorno, una marea silenziosa e commossa, percorre i tre chilometri fino al cimitero per rendere un omaggio laico all’intellettuale dell’engagement, dell’impegno sociale e politico.
Il filosofo Revault d’Allonnes racconta che quando suo figlio tornò dal cimitero di Montparnasse gli disse: «Vengo dalla manifestazione contro la morte di Sartre». Quasi un corteo di protesta, ma forse non l’ultimo del ’68 come credeva Lanzmann. Nei processi storici è sbagliato porre la parola fine, la storia è complessa e spesso ciò che sembra finito riappare in altre forme e contenuti. La fine implica una rottura, ma discontinuità o continuità sono solo parole, termini con cui cerchiamo di capire i fatti reali, sono la forma che ricevono gli eventi nella costruzione della realtà.
SARTRE HA 75 ANNI quando scompare, ma è dal 1973 che, vittima di una quasi totale cecità, non può più scrivere. Allora abbandona la stesura e decide di pubblicare, anche se incompleto, il suo amato studio su Gustave Flaubert, L’idiota della famiglia, che negli anni aveva raggiunto oltre duemila pagine. L’ultima grande opera di Sartre in cui vuole dare risposta a una domanda semplice, solo apparentemente tautologica: «come si diventa ciò che si è». Un movimento verso se stessi, una corsa verso l’impossibile identità. Lo dirà magnificamente: «Corriamo verso di noi, e per questo siamo l’essere che non può mai raggiungersi».
NEL «FLAUBERT» Sartre mette in campo tutto l’armamentario metodologico che ha sviluppato negli anni, prima nello studio su Jean Genet e più tardi in Questioni di metodo, con cui introduce la Critica della ragione dialettica (1960).
Vuole capire come si sceglie il proprio destino, come si supera l’epoca conservandola nel superamento, vuole spiegare la storia attraverso la biografia e l’individuo tramite la complessità dell’epoca. Per mettere alla prova il suo impianto metodologico sceglie il caso Flaubert. Si chiede come è stato possibile che questo uomo, considerato da bambino pressoché un ebete, sia diventato il padre del realismo, un letterato di primo ordine e prestigio. Quali mediazioni e superamenti ha messo in atto per diventare se stesso?
Certo, per Sartre, il destino non è altro che la libera scelta di sé. Così Flaubert sarà definito «il Principe dell’immaginario», colui che tramite la letteratura riesce a fuggire a una fatalità annunciata e apparentemente dovuta. Immaginare è andare oltre il dato reale, prendere di pretesto la materia per inventare altro, liberarsi dalla pesantezza conservandola in una nuova veste. Dirà che l’immaginazione è lo spazio della libertà, e non è poco per un autore che afferma che la libertà è ciò che contraddistingue l’essere umano, ciò che lo rende persona. Una libertà immersa nel mondo dal quale non si può fuggire. Siamo costretti ad assumere questi parametri inderogabili della condizione umana: liberi e responsabili delle nostre scelte, siano azioni o mancanze.
OLTRE alla sua sterminata produzione, dopo la morte escono una valanga di saggi rimasti inediti e poi celebrando il decennale della morte la sua vecchia rivista, Les Temps Modernes pubblica due volumi intitolati Témoins de Sartre, in totale 1400 pagine con scritti di importanti intellettuali di tutto il mondo sulla sua opera. Anni dopo il «Groupe d’études sartriennes», che raccoglie annualmente la bibliografia internazionale sull’autore, concludeva indicando Sartre come l’autore francese più citato al mondo.
Si è parlato di Sartre come dell’ultimo filosofo, non perché quelli arrivati dopo non lo fossero, ma perché, come diceva Alain Renaut (Sartre: le dernier philosophe) il Sartre del dopoguerra, nel 1943, si proponeva attraverso un corpo unitario e coerente di dare una risposta a tutto il sapere. Un sistema filosofico dove, dal micro al macro, le problematiche personali e universali trovassero articolazione: la libertà, la vita, la morte, le emozioni, l’immaginazione, la storia, la letteratura e l’impegno sociale e politico. Un progetto ambizioso. Sartre riprende e trasforma la nozione di universale-singolare coniata da Soren Kierkegaard, per proporre il superamento dialettico dell’analitica quantitativa che crede che l’accumulazione di conoscenze sia sufficiente a garantire il pensiero. Sartre pone la questione da un altro punto di vista, non offre soluzioni ma strumenti, metodi, osservazioni. Ci provoca, propone di cercare l’infinito nel finito, anzi afferma che si tratta di mettersi al lavoro per trovarlo perché ontologicamente ogni elemento di una collezione conserva le proprietà dell’insieme di cui è parte.
L’ENORME SUCCESSO di questa impostazione filosofica e sociale, che aveva raggiunto il raro pregio di far diventare moda la filosofia, ha superato la sua epoca per arrivare a noi. Sartre rifiuta i vincoli dell’accademia, le sue idee circolano per strada, nei caffè, nelle manifestazioni, nei saggi, nelle pièce di teatro, nella narrativa, nei giornali e le riviste. Un intellettuale di strada che non ha mai accettato premi né riconoscimenti, rifiutando perfino nel 1964 il Nobel per la letteratura. Non voleva diventare monumento, non amava essere mummificato dalla gloria, voleva essere lo scrittore contro, messo in discussione in ogni opera perché vivere è un susseguirsi di sfide. Non voleva avere una cattedra, ma nel ’68 è stato tra i pochi intellettuali invitati a parlare all’università occupata. Si dice che quando arrivò alla Sorbona l’assemblea era gremita e sulla lavagna c’era scritto: «Sartre, per favore, sii breve».
DICEVAMO della categoria dell’universale-singolare, ma ci sono molte altre degne di entrare nella scatola di attrezzi come strumenti di conoscenza. Sartre lavora per superare la frammentazione della società moderna, definisce la conoscenza una totalizzazione sempre in corso, non una totalità ferma e inerte. Una nozione, come dicevo, micro e macro: l’essere umano è anche lui una totalizzazione che esiste dando vita, fondendo nel presente della singola azione, passato e futuro. Chi se non lui, fa la storia, sceglie, producendo ogni volta una sintesi unica che lo fa singolare rendendo universale l’epoca che lo costituisce. Sarà una dialettica senza sosta dove a prevalere è il presente, l’esistente, la vita reale e datata.
OGNI ESSERE UMANO carica sulle proprie spalle tutta l’umanità, ogni problema che affrontiamo sono tutti i problemi, perché un aspetto singolare è in realtà il prodotto di una operazione che ha separato, definito e decontestualizzato qualcosa che è in sé inseparabile dal suo mondo. L’in-significante è semplicemente qualcosa che abbiamo trascurato.Oggi più che mai ci rendiamo conto come le nostre società individualiste non siano in grado di dare risposta ai complessi problemi umani diventati tutti, per forza di cose, globali. È necessario abbattere gli steccati, come sosteneva André Gorz, un grande discepolo di Sartre, fare un’alleanza tra socialismo ed ecologia per costruire un pianeta vivibile per noi e per il futuro.
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