LIMES ONLINE — 14 APRILE 2020
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GEOPOLITICA DEI RESPIRATORI
Carta di Laura Canali, 2020
14/04/2020
La caccia selvaggia alle macchine per la respirazione artificiale, ciascuna dotata di carta d’identità nazionale. Una competizione strategica che coinvolgerà tutto il settore farmaceutico. Il vantaggio della Cina e il ritardo dell’America. Riconvertire conviene?
di Alessandro Aresu
Tis now the very witching time of night,
When churchyards yawn, and hell itself breathes out
Contagion to this world.
Hamlet
( E’ l’ora più malefica della notte,
Quando i cimiteri sbadigliano, e l’inferno stesso alita
il suo contagio al mondo. )
- Non è un luogo geografico, ma una «forma di vita spirituale», come la definirà il suo più grande scrittore, la Lubecca dove nasce la prima scintilla di Drägerwerk. Bismarck è ancora cancelliere del Reich. Thomas Mann va ancora a scuola, ma già assorbe i paesaggi da cui trarrà la storia immortale del casato dei mercanti, la sua «patria anseatica» di cui «l’esotico sangue materno (…) non ha cambiato la sostanza» 1.
In quegli stessi vicoli si muove Johann Heinrich Dräger, orologiaio di formazione. Insoddisfatto dei sistemi esistenti per la spillatura della birra, inventa la prima valvola di riduzione dell’anidride carbonica, denominata «Lubeca».
È il 1889. Nel 1901 il giovane Mann pubblica I Buddenbrook. Nel 1902 viene fondata Drägerwerk, che a inizio Novecento si occupa di controlli anestetici e respirazione artificiale meccanica. Un obiettivo essenziale è proteggere le masse lavoratrici delle miniere dalla morte causata da respiri malsani. Nel 1928 Heinrich Dräger, nipote del fondatore, assume il controllo della società.
L’epica aziendale incontra la tragedia. Negli anni Trenta del Novecento Drägerwerk riceve ordini bellici sempre più consistenti, per dispositivi di salvataggio militare basati sull’autorespiratore per i minatori. La presa militare fagocita l’operatività aziendale con l’ascesa del nazismo. Dräger, membro del partito nazista dal 1933, occupa 1.200 lavoratori forzati. Allo stesso tempo, usa la sua influenza per proteggere alcuni dipendenti ebrei della società. Tra di essi, il filosofo Hans Blumenberg, che per intervento di Dräger viene rilasciato dal campo di lavoro di Zerbst. Per questo, la famiglia di Blumenberg considera Heinrich Dräger un giusto tra le nazioni 2.
«Se si smette di respirare, si muore: almeno così è stato per millenni. Ma esiste una soluzione: la respirazione artificiale può rianimare le persone che non respirano» 3: così recita il linguaggio cristallino della brochure della storia di Drägerwerk nel 2014, che riporta i prodotti più recenti, tra cui i ventilatori polmonari. Drägerwerk nel 2019 ha fatturato quasi 3 miliardi di euro. L’azienda è quotata ma è sempre controllata e gestita dai Dräger: dopo Heinrich, si sono alternati Christian, Theo e Stefan. Quest’ultimo il 30 marzo 2020 ha confessato al Financial Times le sue agitazioni 4, in un mondo che mette sotto i riflettori i respiratori di Lubecca. Drägerwerk quest’anno conta di quadruplicare la produzione ma vede grandi problemi nell’offerta dei beni che produce, a fronte di una domanda esponenziale.
Secondo Dräger, «la principale capacità produttiva è in Europa, mentre il problema principale sembra essere negli Stati Uniti. Questo mi preoccupa». Dräger è inoltre scettico sulla velocità di conversione di altri operatori, come quelli automobilistici, per la produzione dei ventilatori. «C’è un limite dell’accelerazione possibile. Non si può mica avere un bambino in un mese mettendo incinte nove donne insieme. È una missione impossibile». La tenuta delle catene del valore è un altro aspetto che lo tiene sveglio di notte, per la disponibilità dei componenti. Drägerwerk ha fornitori in diverse parti del mondo, non solo Europa ma anche Stati Uniti, Asia, Australia e Nuova Zelanda. «Queste catene non devono essere interrotte in nessuna circostanza. Se lo sono, il mondo intero ha un problema».
2. Quando gli organi danneggiati non svolgono più propriamente la loro funzione, il ventilatore polmonare, attraverso strumenti di «intubazione», insuffla aria (o miscele di gas) nei polmoni del paziente. Questo strumento è fondamentale per il trattamento delle dinamiche più gravi dei pazienti affetti dal Covid-19.
Il container, nella sua semplicità, è stato utilizzato per descrivere un’epoca, chiamata globalizzazione per convenzione dei suoi padroni. Il ventilatore polmonare (volgarmente detto respiratore) può essere utilizzato, nella sua complessità, per raccontare un’altra fase.
I dispositivi per la respirazione sono i gioielli della catena del valore coinvolta nella risposta alla pandemia globale. Proprio lo stadio della pandemia sottolinea la loro centralità. È lo stadio in cui il contenimento richiede la riduzione diffusa e costante del danno più grave. È il periodo in cui il danno, una volta arginato, potrebbe tornare a manifestarsi.
Come ogni prodotto, anche i respiratori hanno una carta d’identità. I produttori si trovano davanti a una domanda esponenziale, che li sorprende. I concorrenti si schierano, e in parte si coordinano, per rispondere alla sfida. La capacità tedesca, che ha in Drägerwerk la punta di diamante, è presidiata tra l’altro da Spectaris, la potente associazione per le medie imprese ad alta tecnologia che comprende l’ambito medicale e coinvolge 400 imprese con 300 mila addetti: non pmi all’italiana (cioè in buona parte microimprese), ma imprese medio-grandi focalizzate sull’export.
I Paesi Bassi hanno Philips, nella divisione dedicata alle apparecchiature mediche, che afferma di produrre 1.000 respiratori alla settimana, con l’obiettivo di arrivare a 2.000 5. In Svezia Getinge, che produce anche in Francia, Cina, Germania, Polonia, Turchia, Paesi Bassi e Stati Uniti, è un’azienda importante, quotata a Stoccolma.
Rispetto ai concorrenti, la Siare Engineering di Crespellano, nel bolognese, è una piccola azienda (poco più di 11 milioni di euro di fatturato) che crescerà, in prima linea per aumentare – quadruplicare – la produzione, con l’aiuto degli apparati del ministero della Difesa. Anche la Nuova Zelanda ha il suo «campione», coi prodotti per la ventilazione non invasiva di Fisher & Paykel Healthcare che stanno conquistando, tra l’altro, il mercato australiano.
Negli Stati Uniti, bisogna considerare la divisione medica di General Electric, Ge Healthcare, e Medtronic, che ha sede in Irlanda, l’azienda con cui si è confrontato Elon Musk. ResMed, quotata al Nasdaq, lavora a pieno regime su scala globale, mentre il gigante Bd (Becton, Dickinson and Company) ha dovuto dichiarare pubblicamente di non essere più direttamente coinvolta nel mercato dei respiratori a fronte delle innumerevoli richieste ricevute 6.
Sebbene sia svizzera, anche Hamilton Medical ha un legame con gli Stati Uniti: ad averne le redini è la seconda e la terza generazione della famiglia Hamilton, passata dal chimico e inventore del Mit Clark Hamilton alla nuova generazione di Steve Hamilton, che ha sviluppato un «respiratore automatico» a partire dalle ricerche per le stazioni spaziali svolte negli anni Ottanta da Josef Brunner. La salute potrebbe affiancare la difesa come «frontiera infinita» degli Stati Uniti. I settori strategici, che mobilitano e amplificano attraverso l’industria la crescita delle potenze, tendono sempre a espandersi e a moltiplicarsi. Ma per il loro consolidamento serve un circolo virtuoso continuo, con istituzioni adeguate. Conta la diversa gradazione. Conta la potenza di fuoco. I temi delle scienze della vita non hanno mai avuto una loro Darpa ( Agenzia governativa Usa ). Non hanno sviluppato acceleratori di sviluppo, che ora invece agiranno con la massima potenza, attraverso lotte burocratiche ancora da decifrare.
Tutto, nel mondo in cui viviamo, può essere letto con le lenti dello scontro tra Stati Uniti e Cina. La «via della seta sanitaria» è già una realtà quantitativa: nel 2018, buona parte delle importazioni mondiali di dispositivi di protezione provengono dalla Cina (il 43%, secondo i dati del Peterson Institute). Sui respiratori, sfida qualitativa, la Cina si è presentata all’appuntamento con il «vantaggio del primo contagio», una nuova fattispecie del «vantaggio dell’arretratezza» studiato dagli storici dell’economia. Vantaggio rafforzato dal tempo perduto in Europa e negli Stati Uniti, ma la cui tenuta va valutata su tempi più lunghi.
A detta dell’azienda Shenzhen Mindray (fino al 2016 quotata a New York, per poi essere ritirata dal mercato statunitense e portata alla Borsa di Shenzhen nel 2018 con una quotazione record), la domanda globale è il decuplo rispetto a quanto è disponibile negli ospedali 7. Protagonista del balzo in avanti cinese è anche Beijing Aeonmed, che ha accelerato la sua produzione dalla fine di gennaio. Secondo il direttore Li Kai, «non c’è letteralmente un paese al mondo che non voglia comprare un ventilatore dalla Cina oggi. Abbiamo decine di migliaia di ordini in attesa. La questione è quanto velocemente possiamo produrli».
3. Oltre all’onda della domanda, l’industria dei respiratori si confronta con altre sfide. La prima, come accennato dalle preoccupazioni di Dräger, è il disordine sulla componentistica, per l’impatto di guerre commerciali che somigliano a una Caoslandia biomedicale di nuove restrizioni e autorizzazioni. Anche perché i produttori non hanno accumulato riserve di componenti in grado di far fronte all’esplosione della domanda. Secondo Simon Evenett, lo scarso coordinamento dei meccanismi commerciali può mettere sotto pressione le catene del valore dei dispositivi sanitari 8.
Non conosciamo ancora l’impatto esatto sui respiratori delle barriere erette dagli Stati. Tuttavia, le esperienze delle aziende coinvolte sottolineano un forte legame con le catene globali del valore, che è difficile bloccare nel breve termine per costruire dei circuiti di produzione semiautarchica. La centralità dei ventilatori avrà un impatto non solo sulle quotazioni delle aziende, ma sulle loro proprietà. Evenett, al posto della possibile requisizione statale (formale o informale) di alcune di queste aziende, propone una «soluzione più di mercato» con un prezzo minimo garantito dei prodotti per un certo periodo. Difficile che ciò accada in questo frangente, mentre è possibile l’acquisto diretto o indiretto di quote «segnaletiche» del capitale dei produttori di ventilatori, anche per veicolare gli aiuti e le vendite con finalità geopolitiche. In questo frangente forse è improprio parlare di guerra. Di certo, è ridicolo parlare di mercato.
Un’altra incognita della geopolitica dei respiratori riguarda la partita globale della conversione e della nuova produzione. Terra incognita. Il Bulletin of the Atomic Scientists ha espresso riserve sulla scelta, perseguita per ora dagli Stati Uniti, di affidare alle aziende automobilistiche la produzione di respiratori. L’analogia di guerra, secondo gli esperti, non si applica per i diversi rapporti coi fornitori, le differenze culturali, l’incapacità dei produttori di automobili di rispondere alla tempistica 9. In Gran Bretagna, James Dyson ha annunciato di essere pronto a produrre 15 mila respiratori del modello CoVent, secondo un progetto sviluppato con The Technology Partnership, un’azienda medicale basata a Cambridge 10.
Inoltre, arrivano alcune prime risposte dell’universo del fai-da-te avanzato (i cosiddetti «makers»), che attraverso le stampanti 3D cercano di supplire alla mancanza di alcuni componenti. Per esempio, le valvole mancanti per l’ospedale Chiari di Brescia, ottenute grazie all’iniziativa di Cristian Fracassi e Massimo Temporelli. In futuro, sarà importante creare piattaforme ufficiali e certificate in cui queste esperienze siano scambiate e valutate, superando le lentezze regolatorie. Perché su tutto incombe la lotta contro il tempo.
Per ora, sappiamo che i respiratori ci servono, ma non sappiamo se la conversione di altre industrie sia la risposta ideale per aumentare in modo significativo la produzione, o se invece convenga puntare tutto sul sostegno agli operatori esistenti. L’efficacia delle risposte di conversione, in questa corsa agli armamenti difensivi, sarà una prova di credibilità per i paesi coinvolti, per la loro situazione interna, per il coinvolgimento dei clienti.
Questa prova potrebbe interessare anche l’Unione Europea, che ha poca confidenza coi concetti di rapidità e di efficacia, ma dispone delle capacità evidenziate da Dräger e di alcune piattaforme di intervento. A seguito del rapporto del Forum strategico su importanti progetti di comune interesse europeo (Ipcei), promosso dalla Commissione nel 2018 e pubblicato nel 2019, sono state individuate sei catene del valore del futuro: veicoli connessi, puliti e autonomi; sistemi e tecnologie dell’idrogeno; sanità intelligente; Internet industriale delle cose; industria a basse emissioni di CO2; cibersicurezza. C’è un po’ di tutto, quindi, oltre alle batterie su cui c’è già un progetto in corso.
Nel vasto programma, occorre tagliare per corrispondere alla realtà. La sanità intelligente potrebbe essere indicata come unica priorità di azione del 2020, concentrando tutta l’attenzione sulle catene del valore della risposta alla pandemia, in cui mobilitare anche l’Internet delle cose per le soluzioni tecnologiche. Così il dibattito sulla «politica industriale europea» diventerebbe concreto. Non solo nelle regole degli aiuti di Stato, ma nel finanziamento di progetti immediati che coinvolgano le aziende già attive, anche con l’attivazione del Fondo europeo di investimenti per ulteriori capitali. Inoltre, vista l’esperienza di agenzie/imprese scientifiche come il Cern e l’Agenzia spaziale europea (Esa), che hanno accompagnato l’integrazione europea (ma che non riguardano solo membri Ue), la pandemia potrebbe portare alla creazione di un’agenzia dedicata, con una dotazione finanziaria ampia e risultati da ottenere con un orizzonte brevissimo: l’autunno 2020. Ma questa esigenza di rapidità ed efficacia in un’azione congiunta sconfina, più che nell’utopia, nella provocazione.
4.l Alla geopolitica dei respiratori si sta già affiancando la disputa attorno alle migliori soluzioni per la protezione, alle innovazioni sui test, alle capacità di areazione, alle modalità di tracciamento e sorveglianza. Aspetti tecnici e politici allo stesso tempo. La sfida sui vaccini meriterebbe un capitolo a parte. Nel cercare risposte immediate a una situazione in evoluzione, con lo stesso spartito ma con importanti differenze, le potenze si sfidano sugli aspetti organizzativi. Cominciamo a comprendere alcuni errori, ma il giudizio sui migliori e sui modelli va ancora sospeso.
Non conosciamo la linea di demarcazione tra il mondo di oggi e di domani. Sappiamo ciò che non è sufficiente. Per esempio, il concetto di riserva tradizionale (evocato anche dalla Strategic National Stockpile degli Stati Uniti) è costruito per un altro mondo. Per esigenze meno violente e diffuse rispetto a quelle spalancate dalla pandemia. Sappiamo ciò che è essenziale per fornirci qualunque materiale, compresi i gioielli della Corona. Per esempio, la centralità della logistica (una caratteristica del mondo cosiddetto «virtuale») è confermata anche nel mondo della pandemia, in cui sono cruciali le catene di approvvigionamento diffuse, in cui i lavoratori della logistica tengono in piedi il sistema. E nessun camionista, per ora, è stato sostituito da robot.
Forse un giorno penseremo ai respiratori come ai semiconduttori. All’accelerazione del loro valore strategico si affiancheranno i muri da erigere. La geopolitica della protezione (che nel nostro sistema costituisce l’armamentario legislativo del golden power) si estenderà senz’altro alla salute e includerà i respiratori.
L’attenzione sarà più vasta, e toccherà tutto il comparto farmaceutico. Gli storici, come hanno fatto per altri settori, esamineranno la vicenda della farmaceutica in Italia negli ultimi trent’anni per ricordarci dove abbiamo sbagliato, quali occasioni abbiamo perduto per sostenere e consolidare la nostra industria, oltre che per salvaguardare meglio il Servizio sanitario nazionale.
Oltre ai rimpianti, conterà l’appropriazione del futuro. Le richieste dei gruppi di interesse come Assobiotec avranno ben altro ascolto rispetto al passato. I venture capital generici lasceranno spazio a veicoli ricalibrati sulla salute, corrispondenti alle scelte sociali e alle ambizioni di carriera delle persone. Si svilupperanno società come Genextra, fondata da Francesco Micheli nel 2003. Smetteremo forse di pensare che l’Italia possa fondare nuove Google o diventare Israele sulla cibersicurezza, mentre l’attenzione su tutto il ciclo delle imprese delle scienze della vita sarà molto più elevata 11.
Tutti i paesi ragioneranno su questi temi. Quasi in contemporanea, avvantaggiando chi è già in ballo, talvolta sfociando nella banalità e nella ripetitività. Saranno eretti, prima con la confusione dettata dalla fretta, poi con maggiore precisione, vari «perimetri di sicurezza nazionale sanitaria». I respiratori si collocheranno al vertice di un apparato biomedicale di «capitalismo politico» 12, da proteggere rispetto a dinamiche di mercato. Allo stesso tempo, i gestori finanziari saranno avidi di asset in quest’ambito, promuovendo la creazione – e forse, la bolla – di fondi dedicati.
Questo accadrà al crepuscolo mattutino. Nella notte, tutti cercheranno a modo loro di respirare, agognando i rintocchi degli orologi di Lubecca.
Note:
1. T. Mann, Considerazioni di un impolitico, tr. it. Milano 1997, Adelphi, p. 132.
2. Si veda bit.ly/33XuzwU
3. Dräger. Tecnologia per la vita dal 1889, p. 63 (libretto realizzato per il 125° anniversario nel 2014 e disponibile all’indirizzo bit.ly/2QYrXtc).
4. Traggo i virgolettati di Stefan Dräger da T. Buck, M. Pooler, «Top German ventilator company warns on global supply crunch», Financial Times, 30/3/2020.
5. Si veda bit.ly/2UxegUz
6. Per il comunicato dell’azienda si veda bit.ly/2USbNmj
7. Il riferimento è a bit.ly/33ZQSlN
8. Si veda bloom.bg/2ywI0bB
9. Per lo scetticismo del Bulletin, si veda bit.ly/2UNf6LS
10. M. Pooler, P. Hollinger, «Dyson to produce 15,000 ventilators from scratch “in weeks”», Financial Times, 26/3/2020.
11. Sull’importanza delle scienze della vita per l’interesse nazionale, si rimanda a A. Aresu, L. Gori, L’interesse nazionale. La bussola dell’Italia, Bologna 2018, il Mulino, pp. 152-154.
12. Si rimanda a A. Aresu, Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina, Milano 2020, La Nave di Teseo.