LA BANDA DEGLI ONESTI, FILM COMPLETO IN ITALIANO, DI CAMILLO MASTROCINQUE DEL 1956 –Totò, Peppino De Filippo e Giacomo Furia. durata : 1.42.04

 

Scritta e sceneggiata da Age & Scarpelli, la pellicola consacrò il sodalizio artistico di Totò e Peppino. È considerato uno dei film migliori della coppia.

La scena dei tre protagonisti nella tipografia, girata con la caratteristica velocità delle comiche americane, è un’idea dello stesso Totò-

 

 

 

Trama

Antonio Bonocore, portiere napoletano di uno stabile di Roma con moglie tedesca, madre a carico e tre figli, si trova per caso ad assistere il signor Andrea, un anziano inquilino che, prima di morire, gli rivela di essere in possesso di alcuni cliché originali dell’Istituto Poligrafico dello Stato, di cui era stato a lungo dipendente, nonché della carta filigranata per stampare banconote da 10 000 lire. Il signor Andrea aveva rubato questo materiale con l’intenzione di vendicarsi del fatto di essere stato messo da parte, ma poi non aveva mai avuto il coraggio di passare all’azione. Chiede quindi a Bonocore di buttare nel fiume la valigia con i cliché.

Bonocore acconsente, ma accade che il nuovo amministratore di condominio, il ragionier Casoria, intende farlo sostituire da un altro portiere di sua fiducia in quanto Antonio si è rifiutato di divenire suo complice in alcune operazioni truffaldine ai danni del condominio. Decide quindi di non gettare la valigia ma, ignorando egli del tutto le tecniche di stampa delle banconote, per produrre i pezzi da 10 000 si vede costretto a chiedere la collaborazione del tipografo Giuseppe Lo Turco e, successivamente, del pittore Cardone, abitanti nello stesso stabile. Facendo leva sui bisogni economici dei suoi compari, organizza furtive riunioni notturne per dar vita a una banda di falsari.

I falsari al lavoro

I tre riescono a stampare le banconote e a “spacciarne” una in un bar notturno. La situazione però si complica quando Bonocore scopre che il suo figlio maggiore Michele, finanziere appena trasferito a Roma dopo una permanenza al nord, sta seguendo un’indagine relativa proprio allo smercio di banconote false.

Dopo aver sentito alcuni particolari raccontati da Michele e vedendo la Finanza che tenta di perquisire la tipografia di Lo Turco e, notando altresì strani cambiamenti nel modo di vestire dei suoi “soci”, Antonio teme di essere scoperto, per di più con l’aggravante che, essendo egli padre di un finanziere, questo possa costare il posto al figlio stesso. Pertanto prega i suoi compari di non spendere più un soldo, e di disfarsi subito dell’attrezzatura, sotterrandola fuori città.

Antonio, sentendosi ormai braccato, decide di farsi arrestare proprio da Michele, in quanto ritiene che un figlio che arresta il padre non solo non viene cacciato, ma persino promosso, divenendo un esempio per tutti i suoi colleghi. Inoltre questo aiuterebbe il suo possibile futuro matrimonio con Marcella, figlia di Lo Turco. Decide perciò di mettere in pratica il suo progetto andando di persona in caserma per farsi arrestare dal figlio, il quale crede che voglia scherzare. Ma, dopo aver sentito dal Maresciallo che l’indagine seguita da Michele si è chiusa con l’arresto di una banda di falsari professionisti e che il biglietto da lui spacciato era stato sì identificato, tuttavia non era uno di quelli prodotti dai tre, bensì il campione usato – falso anch’esso e cedutogli da un usuraio, un certo Pizziconi – sta quasi per svenire. Allo stesso tempo, viene fuori il fatto che nessuno dei suoi soci aveva avuto il coraggio di spendere una sola delle banconote fabbricate.

I tre, ritrovata quindi la tranquillità, decidono di distruggere tutte le banconote false e la valigia con i cliché allestendo un falò; come gag finale, Bonocore si accorge (troppo tardi) di aver buttato tra le fiamme, nella foga, anche la busta contenente il suo stipendio.

 

Critica

 

«Nel panorama non troppo consolante dei nostri film comici, questa pellicola merita una menzione onorevole. Spigliata, briosa, dotata di un dialogo vivace e di qualche genuina trovata, la storia corre diritta all’onesto scopo di suscitare risate.»

«Muse napoletane, abbiamo tante volte mangiato cocomeri o lupini insieme, aiutatemi a dire tutto il male e tutto il bene possibili di Totò. Chi è più attore e meno artista di lui? Chi, se non Totò, è l’unico, il massimo denigratore che Totò abbia, l’ospite furtivo, il cugino povero, il visitatore umile, frainteso, balbettante, di se stesso? Chi, o lacere e fulgide Muse napoletane, si inganna, si disconosce, si rinnega più del nostro impareggiabile conterraneo Totò? Poteva, il Creatore dei Petito, degli Scarpetta, dei Viviani, dei De Filippo, realizzare con maggiore talento e con maggiore impegno un lavoretto come Totò? Egli, l’Apollo indigeno (mi permettete di figurarmelo anziano, grigio, arruffato come un “solachianiello”, ovverosia come un ciabattino, di Materdei? Gli mettiamo sulle ginocchia un domestico e rognoso mandolino, invece della mitica lira, e siamo a posto, vedeva lontano, chilometri e chilometri, sulla via del comico.»

(Giuseppe Marotta)

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