WOLFGANG AMADEUS MOZART :: CONCERTO PER FLAUTO, ARPA E ORCHESTRA K 299 -.–apritelo anche 5 minuti…

 

Israel Philharmonic Orchestra,

Zubin Mehta – conductor

Julia Rovinsky – Harp

Guy Eshed – Flute

Mozart Flute and Harp

Concerto Tel Aviv, 20/01/2016

 

 

 

ORCHESTRA VIRTUALE DEL FLAMINIO

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Flautoarpa.html

 

 

Wolfgang Amadeus Mozart (1756 – 1791)

  1. Allegro (do maggiore)
  2. Andantino (fa maggiore)
  3. Rondò. Allegro (do maggiore)

Organico: flauto, arpa, 2 oboi, 2 corni, archi

Composizione: Parigi, aprile 1778

Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1881

 

 

 

Guida all’ascolto 2 

A Parigi, ultima tappa del suo ultimo grande viaggio, Mozart sperava di ottenere la consacrazione a compositore di fama europea e invece incontrò soltanto indifferenza. L’accoglienza che Parigi gli aveva riservato quattordici anni prima lo aveva illuso: allora – nel 1763-1764 – era un fanciullo prodigio conteso e vezzeggiato nei salotti dell’aristocrazia, adesso – nel 1778 – è un giovane di ventidue anni e non costituisce più un’attrazione, una curiosità, ma deve imporsi sulla concorrenza dei tanti musicisti di grido che da tutta l’Europa convergono a Parigi. Certamente non mancavano a Mozart le qualità per lottare ad armi pari con i suoi “colleghi” e per affermarsi, ma – come il barone Grimm scrisse a Leopold Mozart – avrebbe ottenuto migliori risultati con metà del talento e il doppio di abilità. Per di più i parigini erano distratti dalla querelle fra i sostenitori di Gluck e quelli di Piccinni e non avevano tempo per quel giovane venuto da una piccola città austriaca. Mozart ripagò i parigini con eguale moneta: considerava con un senso di malcelata superiorità la musica e il gusto francesi e si disinteressò ostentatamente di quella querelle, che invece gli ambienti parigini consideravano di capitale importanza.

Non gli mancarono comunque le commissioni, sebbene non tanto importanti quanto Mozart sperava lasciando Salisburgo per Parigi: una sua sinfonia scritta per i “Concerts spirituels” fu però accolta con entusiasmo e ripresa numerose volte. Minori soddisfazioni doveva dargli il Concerto in do maggiore K. 299 (297c) per flauto, arpa e orchestra: incontrò perfino difficoltà a farsi pagare il compenso pattuito.

L’organico così insolito di questo concerto nasceva da una precisa richiesta del duca di Guines, che lo eseguì insieme alla figlia in un concerto privato. A questo riguardo Mozart scrisse, in una lettera ai padre: «II Duca suona il flauto in modo straordinario e sua figlia, a cui insegno composizione, suona l’arpa magnifique: ha un grande talento, perfino del genio, e ha per di più una memoria straordinaria, in quanto suona tutto a mente e conosce un paio di centinaia di pezzi». Ma quest’entusiasmo passò presto e in una lettera di poco successiva, riferendo che la sua allieva si era fidanzata e che non avrebbe continuato le lezioni, Mozart commentò: «Non è un gran dispiacere, parola d’onore!». Quanto al duca, ecco quel che ne disse, quando si vide negare il saldo nel suo onorario: «II Signor Duca non ha un briciolo d’onore in corpo! Certamente pensava: Questo è un giovanotto e inoltre uno stupido tedesco (come tutti i francesi dicono dei tedeschi) e certamente sarà contento egualmente».

Al momento di accingersi a comporre il Concerto, Mozart era – come abbiamo visto – in una situazione psicologica molto più positiva, tanto che si dimenticò della scarsa simpatia che aveva dimostrato altre volte per il flauto e l’arpa. In ogni caso – nonostante quel che ne aveva scritto al padre – doveva essere ben consapevole che i due solisti non erano poi così straordinari e dunque scrisse per loro delle parti di media difficoltà. Che, componendo questo concerto, non dimenticasse mai chi fossero i due destinatari, è dimostrato chiaramente anche dal tono di elegante mondanità che diede a questa musica, in cui sembra rispecchiarsi il plaisir de vivre della società aristocratica francese dell’epoca di Luigi XVI. In questa scrittura fluente, che evita ogni minima impressione di fatica, la maestria di Mozart risplende di luce purissima. E i limiti intrinseci dei due strumenti – cui Mozart riserva ampi passaggi, facendoli dialogare con delicatezza e discrezione – sono pienamente rispettati, senza però che la fragilità dell’arpa e la grazia cedano alle tentazioni del decorativismo.

È nell’Allegro iniziale che vengono più ampiamente valorizzate le possibilità tecniche e le diverse sfumature timbriche dei due solisti, accompagnati – qui come in seguito – da un’orchestra di modeste dimensioni, attenta a non soverchiare mai le loro delicate sonorità. L’Andantino è stato paragonato da Alfred Einstein a un delicato quadro di Boucher e da Giovanni Carli Ballola a un prezioso arazzo Gobelins: certamente ha un’eleganza e una soavità inimitabili, che vogliono accarezzare i sensi più che suscitare profonde emozioni. L’Allegro finale è un rondò in tempo di gavotta, in cui i ritorni di un refrain vivace ma delicato si alternano ad episodi sempre diversi.

 

Testo tratto dal progrmma di sala del Concerto dell’Accademia di Santa Cecilia,Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 2 marzo 1991

 

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