REPUBBLICA DEL 4 MARZO 2020—pp. 18-19
L’intervista allo scrittore israeliano
Yehoshua
“È stato come un referendum Gli elettori non lo vogliono in carcere”
di Davide Lerner
Abraham “Boolie” Yehoshua ( Gerusalemme, 19 dicembre 1936) è uno scrittore, drammaturgo e accademico israeliano, punta di diamante del Nuovo Movimento degli scrittori israeliani (in inglese Israeli New Wave)
TEL AVIV — «Gli elettori amano Benjamin Netanyahu e pensano che i suoi meriti debbano esimerlo dal fare i conti con la giustizia». Così la pensa Abraham B. Yehoshua, il grande scrittore israeliano 83enne (ultimo libro pubblicato in Italia, “Il Tunnel”, Einaudi) che, malgrado gli acciacchi, non si è perso il discorso notturno con cui Netanyahu ha rivendicato una «vittoria gigante».
Netanyahu dice che la vittoria di ieri è ancora più importante del suo primo trionfo contro Shimon Peres nel 1996. È davvero così?
«Certo, sta lottando per la sua vita, aveva una fifa pazzesca di affrontare i processi senza essere al governo. Il voto non si è giocato su posizioni politiche o su contrapposizioni ideologiche, ma è stato un referendum: se Netanyahu debba o meno andare in prigione. L’opposizione ha sbagliato a concentrarsi su questo argomento invece di proporre una visione alternativa».
Ma perché Bibi è tanto amato?
«Perché con lui il Paese ha fatto grandi passi avanti economicamente, socialmente, in politica estera. La sua risolutezza al comando incute sicurezza, non si è lanciato in avventure militari e ha gestito bene la questione di Gaza».
I numeri però non descrivono proprio una «vittoria gigante»…
«Non bisogna prendere le sue parole come se fossero la Torah discesa dal monte Sinai. Se a conti fatti avrà solo 59 seggi su 120 sarà di nuovo in difficoltà. Non credo che vi saranno defezioni dal partito di Benny Gantz. E Avigdor Lieberman lo disprezza a livello personale».
Gli ultras del Likud hanno festeggiato durante la notte cantando “Mandelblit habaita”, un invito a mandare a casa il procuratore generale e a sostituirlo con qualcuno che blocchi i processi.
«È incredibile che Mandelblit, ex segretario di gabinetto di Netanyahu e nominato da lui stesso procuratore, venga ora demonizzato. In ogni caso il 17 marzo Bibi sarà sul banco degli imputati».
La “Lista Araba Unita” di Ayman Odeh ha ottenuto un numero record di seggi anche grazie al voto della sinistra araba. Che cosa pensa di questo risultato?
«Mi rende molto felice. Prepara il terreno per una futura entità binazionale, ormai più probabile della soluzione a due Stati. Possono crescere ancora a patto che scelgano la strada della moderazione e guadagnino legittimità. Devono rinunciare al loro odio, alle loro fantasie, i rifugiati, la Nakba. Parlino più di uguaglianza e partecipazione e meno della storia».
L’altra minoranza, quella ultraortodossa, è invece legata da un patto inossidabile con Netanyahu da più di vent’anni.
«Non è un caso, gli ultraortodossi sono molto di destra. Nella loro comunità c’è razzismo, ostilità verso i gentili. E hanno intere città nella Cisgiordania».
A proposito di Cisgiordania, Netanyahu andrà avanti con l’annessione?
«Non credo, Trump non sarebbe felice di vedere il proprio piano di pace pregiudicato da iniziative unilaterali. Anche gli europei sono contrari».
Il suo libro “Il Tunnel” è una riflessione sulla demenza senile, sulla perdita di lucidità e di identità.
«In Israele farebbe bene a tutti allentare le identità. Siamo un Paese piccolo, caratterizzato da un forte comunitarismo. Le tribù etniche, politiche e religiose devono cercare una convivenza più serena».
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