NEMO, grazie a ! — CONCETTO VECCHIO, INTERVISTA A ROSY BINDI PER L’ANNVERSARIO DELL’ASSASSINIO DI VITTORIO BACHELET IL 12 FEBBRAIO 1980 — REPUBBLICA DEL 9 FEBBRAIO 2020 –pag. 11

 

 

NEMO E LE SUE GROSSE PERLE…

 

 

 

REPUBBLICA DEL 9 FEBBRAIO 2020 –pag. 11

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Bindi :  “Il mio Bachelet ucciso da chi odiava le migliori intelligenze”

L’intervista a 40 anni dall’omicidio del giurista da parte delle Brigate rosse

 

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IL DELITTO BACHELET IL 12 FEBBRAIO 1980

 

 

di Concetto Vecchio

 

Il 12 febbraio 1980 i terroristi lo assassinarono alla fine di una lezione

L’ex ministra, sua assistente, era lì con lui

«Le ultime parole di Vittorio Bachelet furono: “Io quasi quasi andrei”. Cosa intendeva dire?

 

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VITTORIO BACHELET CON LA FAMIGLIA

 

Tornarsene al Consiglio superiore della magistratura o spostarsi nell’aula magna dove Stefano Rodotà e Luciano Violante stavano discutendo del terrorismo con gli studenti?

Me lo sono chiesta tante volte in questi quarant’anni. Non ebbi il tempo di chiederglielo: alle sue spalle arrivò una donna, Anna Laura Braghetti, gli puntò la pistola sulla schiena, lo spostò, quindi prese la mira. Vidi il volto del professore sbiancare. Pregai che gli sparassero soltanto alle gambe».

Martedì 12 febbraio 1980, Roma. Le Brigate Rosse uccidono il vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet, 53 anni, già presidente dell’Azione cattolica. È il delitto politico più grave degli anni di piombo dopo quello di Aldo Moro.

Rosy Bindi, che è la sua assistente all’università, è lì con lui, sulle scale della facoltà di scienze politiche.

«Bachelet è un martire», dice Bindi, poi più volte ministra nei governi di centrosinistra e presidente della Commissione antimafia.

Quanti anni aveva quel giorno?

«Ne compivo 29. Era il mio compleanno».

Qual è il flash che le è rimasto dentro?

«Il grido disumano di Bachelet.

L’odore di polvere da sparo che si spanse nell’aria. E il colpo di grazia alla nuca che sparò il secondo terrorista, Bruno Seghetti».

Che giornata era?

«Avevamo appena finito di fare lezione di diritto amministrativo nell’aula Aldo Moro. C’era stato un via vai di studenti insolito a cui lì per lì non diedi peso. Stavano spargendo la voce di un allarme bomba in facoltà. Probabilmente erano fiancheggiatori. Infatti, quando, con Bachelet a terra, corsi in cerca di aiuto trovai il deserto.

Perfino il custode era sparito».

Cosa ha pensato quando ha visto la terrorista arrivare?

«Le ho sorriso, pensavo fosse una studentessa. Bachelet invece cambiò espressione, lui capì subito. Era stato molto amico di Moro, sapeva di essere nel mirino, ma non volle mai la scorta, per evitare altre morti innocenti. Era un uomo di una mitezza assoluta».

Il suo nome venne trovato un anno prima nel covo dei br Faranda e Morucci. Com’è possibile che il vicepresidente del Csm non avesse una protezione?

«Lui la rifiutò, e comunque lo Stato non era all’altezza. Lo intuii subito da come si svolsero le indagini».

Ma erano già passati due anni dall’uccisione di Moro.

«Il che rafforza la mia convinzione che le Br furono, consapevolmente o no, uno strumento dei poteri occulti dell’epoca. Del resto la verità profonda su cosa accadde non ce l’hanno mai voluta dire. Hanno ucciso le migliori intelligenze degli anni Settanta, i riformisti più acuti.

E conoscendo la modestia del loro livello culturale – per capirlo basta leggere i loro farneticanti comunicati – mi riesce difficile pensare che fossero capaci di tanto spessore nell’individuazione degli obiettivi. La verità è che c’era un disegno per deviare la democrazia dal binario dell’alternanza, per dargli una connotazione autoritaria».

 

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Rosy Bindi, all’anagrafe Rosaria Bindi (Sinalunga, 12 febbraio 1951), è una politica italiana.

Ha ricoperto l’incarico di ministra della sanità dal 1996 al 2000 e quello di ministra per le politiche per la famiglia dal 2006 al 2008; è stata vicepresidente della Camera dei deputati dal 2008 al 2013, presidente del Partito Democratico dal 2009 al 2013 e presidente della Commissione parlamentare antimafia dal 2013 al 2018.

 

 

 

Qual è l’importanza di Bachelet nella storia del Paese?

«Era un giurista che cercò di adeguare le istituzioni, che erano ancora in larga parte quelle forgiate dal fascismo, ai principi della Costituzione. Uno studioso che aveva a cuore la realtà viva del Paese e attento alla sua crescita. Il suo nome non era noto al grande pubblico, ma nelle parrocchie lo conoscevano tutti: all’epoca l’Azione cattolica era fortissima».

Umanamente com’era?

«Molto ironico. “Scusami questa richiesta baronale”, premetteva, se mi chiedeva una gentilezza».

La famiglia perdonò subito i terroristi. E lei?

«Non li ho mai odiati. Qualche volta ho pregato per loro. Ma non sarei stata capace di leggere la preghiera che suo figlio Giovanni recitò al funerale».

Disse: “Vogliamo pregare oggi anche per quelli che hanno colpito il mio papà, perché sulle bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta”.

«Quelle parole fecero breccia nel cuore di molti terroristi. Ma dobbiamo farne tesoro tutti noi. Lo Stato non si vendica, fa giustizia. Fu Aldo Moro l’artefice della norma costituzionale sulla funzione rieducativa della pena. Un cattolico non ha mai nemici».

Ha mai incontrato Anna Laura Braghetti?

«Non ho mai avuto questo desiderio».

Padre Adolfo, il fratello gesuita di Bachelet, più volte invece.

«Lui instaurò un dialogo con lei e altri terroristi nelle carceri. I Bachelet sono una famiglia straordinaria. Consideri che l’altro fratello gesuita, padre Paolo, raccoglieva fondi per consentire ai terroristi di rifarsi una vita. Venne più volte anche da me. Ogni volta che gli davo un’offerta, aggiungevo “ma non voglio sapere a chi andrà”».

Non ha avuto timore che la uccidessero?

«Mi portarono in questura, mettendomi sotto il naso numerose foto. Non fui di nessun aiuto. Quella sera andai a messa, avevo la febbre a 40, ma non me ne rendevo conto.

Per due giorni non fui capace di piangere».

Come fece i conti con la paura?

«Ho avuto per anni paura di prendere le scale. Ho smesso di fumare perché il fumo mi ricordava l’odore della polvere da sparo. Agli inizi ero afflitta dagli incubi. Ma me la sono cavata da sola. Mai preso una pasticca. Mai stata da un medico».

Come conobbe Bachelet?

«Alla Luiss. Mi laureai con lui, nel 1974. Io avrei voluto fare Sociologia a Trento, ma era il 1969, gli anni cruciali della contestazione studentesca e mio padre, democristianissimo, temeva che diventassi comunista. Mi mandò all’università della Confindustria.

Con Bachelet c’incontrammo a una manifestazione dell’Azione cattolica in Toscana e dopo la laurea mi chiese di diventare sua assistente, prima alla Luiss e poi dal 1977 alla Sapienza».

Com’erano gli anni di piombo?

«Ricchi di contraddizioni: violenza politica e grandi riforme, come mai prima né dopo di allora».

Era precaria?

«Ma di lusso rispetto ai precari di oggi, perché mi venivano pagati i contributi previdenziali. Era uno stipendio modesto. Il primo cedolino, nel ‘75, fu di 149mila lire, un impiegato di banca guadagnava già un milione di lire».

Non si spara più per fortuna. Ma l’odio è una costante della società italiana. La ministra Lamorgese l’ha definita un’emergenza.

«È così. C’è una lacerazione che va sanata, frutto anche di un individualismo crescente. Ma più i tempi sono difficili, più bisognerebbe stringere i vincoli della solidarietà e dei beni comuni.

Più investimenti nella sanità e nella scuola pubblica, per cominciare».

Le sue idee oggi sono minoranza?

«Vedo una destra anticostituzionale, che urla, e poi vedo il mio campo, debole, poco coraggioso, afono. È tutto troppo grigio. Loro organizzano la paura, noi dobbiamo organizzare la speranza, ma certe trasformazioni vanno guidate con personalità.

Basterebbe ascoltare e seguire il Papa».

A cosa si riferisce nel concreto?

«Prenda l’immigrazione. Vogliamo dire che è un’opportunità e non una minaccia? Che non è un’emergenza ma un problema strutturale, che va gestito e che ci occuperà per i prossimi decenni?».

Pensa che il governo durerà?

«Sì, ma vedo una debolezza politica che mi preoccupa. Bisogna porsi obiettivi dal respiro lungo, non impantanarsi soltanto nella gestione del quotidiano. Manca del tutto una visione del futuro».

Cosa fa adesso?

«La conferenziera, ma gratis. Mi piace anche andare nelle scuole».

È vero che dopo la morte di Bachelet ha pensato di ritirarsi in un monastero?

«Sì, è vero. Ma poi ho capito che le mura del mio monastero erano il mondo. Ho cercato di onorare la memoria del mio maestro nell’impegno politico. Come ho potuto».

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1 risposta a NEMO, grazie a ! — CONCETTO VECCHIO, INTERVISTA A ROSY BINDI PER L’ANNVERSARIO DELL’ASSASSINIO DI VITTORIO BACHELET IL 12 FEBBRAIO 1980 — REPUBBLICA DEL 9 FEBBRAIO 2020 –pag. 11

  1. Donatella scrive:

    Condivido tutto di questa intervista. Grazie di averla messa in evidenza,

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