ANTONELLO GUERRERA, INVIATO :: Tra la gente di Dublino che teme il successo dei nazionalisti dello Sinn Féin: “Se vanno al potere, scappiamo dall’Irlanda” — REPUBBLICA DEL 6 FEBBRAIO 2020

 

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REPUBBLICA DEL 6 FEBBRAIO 2020

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Approfondimento

Irlanda

Tra la gente di Dublino che teme il successo dei nazionalisti dello Sinn Féin: “Se vanno al potere, scappiamo dall’Irlanda”

06 FEBBRAIO 2020

Le elezioni anticipate di sabato potrebbero cambiare il futuro del Paese: la riunificazione con Belfast oramai non è più un sogno. L’ex braccio politico dell’Ira a sorpresa è primo partito. Raccoglie consensi soprattutto tra i ragazzi anti-establishment che non hanno memoria degli anni dei Troubles.

DAL NOSTRO INVIATO

ANTONELLO GUERRERA

DUBLINO.

“Se quelli vanno al potere, scappo dall’Irlanda. Non sto scherzando. Persino Montecarlo, il posto più orrido del mondo, andrebbe bene”. “Quelli” sono i nazionalisti dello Sinn Féin, l’ex braccio politico dei terroristi repubblicani dell’Ira, e John Banville è terrorizzato.

Alla pronuncia di quelle due parole (in gaelico “Noi stessi”, che George Bernard Shaw nel 1917 definì “ridicole, vergognose e ignobilmente anti-cattoliche”), lo scrittore irlandese, oggi settantaquattrenne e da sempre in odore di Nobel, si rabbuia di paura: “Sono fascisti. Dicono di essere di sinistra. Ma sono fascisti!”.

E però Sinn Féin è clamorosamente in testa ai sondaggi in Irlanda con il 25%, secondo l’ultima rilevazione commissionata da Irish Times e Ipsos. Non era mai accaduto prima. Ma ora claudicano Fianna Fáil (23%) e Fine Gael (20%) del premier in carica Leo Varadkar, i due partiti “istituzionali”, che da sempre guadano tra centro e centro-destra e che qui hanno letteralmente dominato la politica dopo la nascita dell’Irlanda nel 1922 mozzata del “Nord”, l’unica parte ancora in mano britannica dopo una lunga dominazione dell’isola.

“È arrivato il nostro turno, è giunta l’ora del cambiamento”, strepita la leader di Sinn Féin Mary Lou McDonald, 50 anni, succeduta al controverso – oggi 71enne capellone messianico – Gerry Adams. Davanti al palazzo governativo del “Taiseoach”, come si chiama qui il premier, il partito ha appeso ai lampioni manifesti stile western: “Se davvero vuoi una Repubblica irlandese, vota Sinn Féin”. È l’Ok Corral dell’Irlanda. La sfida è lanciata.

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MARY LOU MCDONALD

 

McDonald, la leader dello Sinn Féin, e l’eredità dei “Troubles”

Per i suoi tanti critici, con quella retorica gestuale e il suo accento ultra-popolare, McDonald è un’inquietante Kathy Bates (“Misery”) della politica irlandese, il volto ripulito di un partito ancora sporco del sangue dei Troubles, i cosiddetti “Disordini”, ossia la guerra civile che ha provocato oltre 3.500 morti dalla fine degli anni Sessanta, scatenata dai repubblicani irlandesi contro la discriminazione subita dai cattolici al Nord e dall’imperitura voglia di un’Irlanda unita. Subito, nel 1969, seguì la dura repressione inglese. Di lì decenni di attacchi incrociati, il 56% per mano dei terroristi repubblicani dell’Ira, cioè la “Provisional” Irish Republican Army (che uccise circa 1000 militari e paramilitari britannici e 700 civili), il 39% organizzati da forze militari e paramilitari nordirlandesi e britanniche.

Autobombe, imboscate, esecuzioni, le stragi delle “Bloody Sunday”, le efferate vendette degli inglesi, i massacri dell’Ira a Regent’s Park di Londra e nei pub di Birmingham, i “martiri” Michael Collins prima e Bobby Sands poi.

“Sangue cattivo”, come direbbe Colm Toíbín che ha scritto un libro bellissimo, Bad Blood appunto, su questo conflitto ancora “in bilico” tra due Irlande, e sopitosi solo negli anni Novanta dopo l’ingresso di entrambi nel mercato unico europeo e poi con gli storici Accordi del Venerdì Santo nel 1998 mediati da Tony Blair.

Per i suoi attuali sostenitori però, soprattutto giovani e borghesi di mezz’età affamati di cambiamento, Mary Lou McDonald è un “volto nuovo”, slegato dal vischioso passato, ex parlamentare europea, anche se è stata vicepresidente di Sinn Féin e di Gerry Adams dal 2008, prima di succedergli due anni fa. Ma soprattutto Mary Lou è l’unica donna in gara e per tanti è l’unica speranza “anti-establishment”.

Chiedendo in giro, in pochi, come Martin, 19 anni, che studia storia alla Dublin City University, ammettono che voteranno l’ex partito fondato nel 1905 da Arthur Griffith, che negoziò il trattato di pace anglo-irlandese del 1921 con gli inglesi, mai accettato dagli oltranzisti repubblicani. Successivamente, negli anni Settanta, Sinn Féin strinse il patto col diavolo, cioè la paramilitare Ira. In molti, oggi, dicono di avere amici e familiari che invece voteranno Sinn Féin.

 

Il consenso dei giovani

Liam Cosgrove, 20 anni della contea di Cavan, al confine con l’Irlanda del Nord, studia Politica e sociologia alla Maynooth University ed è il leader dell’omonima associazione studenti dell’ateneo, “la più grande in Irlanda con oltre duemila studenti”. Liam racconta che come lui “tanti giovani voteranno Sinn Féin perché la politica convenzionale negli ultimi anni ci ha sempre escluso. Le elezioni anticipate, convocate da Varadkar questo sabato, sono state anche un ostacolo al voto dei neo-maggiorenni per le complicate leggi sulla registrazione degli elettori e i tempi strettissimi per farlo. Welfare, ambiente, prezzi delle case, disuguaglianze, le tasse più alte di tutta l’Ue per l’università pubblica: nessuno dei partiti tradizionali ha parlato seriamente di queste tematiche. Ora fanno finta di svegliarsi”, avverte Liam, “ma è troppo tardi”.

Se queste intenzioni di voto venissero confermate alle elezioni anticipate di sabato 8 febbraio, la politica irlandese verrebbe sconvolta. Non solo: le ripercussioni sarebbero sismiche anche in Irlanda del Nord. Una volta al potere, Sinn Féin chiede un referendum sulla questione irlandese nei prossimi cinque anni. Gli unionisti fedeli alla Corona britannica potrebbero reagire brutalmente. Anche perché una futura riunificazione dell’Irlanda è già sintomatica nel controverso accordo Brexit di Boris Johnson, che lascerà Belfast allineata alle leggi Ue almeno per diversi anni senza controlli alla frontiera, con l’obiettivo primario di non toccare il delicatissimo e oggi “invisibile” confine irlandese e con esso la sua fragile pace.

 

Le conseguenze della Brexit

La causa repubblicana irlandese potrebbe però godere di altre convergenze dopo l’addio di Londra all’Ue: una Brexit sconclusionata potrebbe a lungo termine causare danni economici a Belfast. E infine: i cattolici e i repubblicani in Irlanda del Nord fanno molti più figli dei protestanti. La demografia locale tra una decina d’anni potrebbe mutare profondamente, e di riflesso anche il Parlamentino locale Stormont, appena riaperto dopo circa tre anni di stallo per faide politiche tra Sinn Féin e gli unionisti britannici che dal 1998 condividono governo e potere. A quel punto, la riunificazione delle due Irlande, dopo oltre un secolo, non sarebbe più una fantasia alticcia. L’occasione, per i repubblicani, è ghiotta.

L’ascesa dello Sinn Féin

Ma come ha fatto negli ultimi mesi McDonald a diventare per i sondaggi il leader politico con maggior consenso (41%) e Sinn Féin a ingrossarsi così negli ultimi mesi, tanto da assurgere a potenziale primo partito dopo decenni di magri consensi, anche sotto il 5 per cento? Prima ragione: è “l’unico partito di sinistra o progressista sul mercato”, argomenta il politilogo e saggista Fintan O’Toole, autore dell’illuminante Brexit and the Politics of Pain: “Perché solo con loro è possibile un governo progressista. È una scomoda verità, lo so, ma va detta”. Parlando in strada e nei pub con i Dubliners celebrati da James Joyce, oggi Sinn Féin esala lo stesso fascino del primo “corbynismo”, quello che esplose alle elezioni britanniche del 2017 amputando per sempre la carriera politica di Theresa May: guerra alle disuguaglianze, tasse alle multinazionali e ai ricchi, estensione del welfare e della protezione sociale, istruzione gratuita, misure draconiane per calmierare gli affitti e costruzione di una valanga di nuove case popolari per alleviare la piaga di almeno 20mila senza tetto in Irlanda.

Mary Lou McDonald affonda ogni giorno la sua massiccia retorica in queste ferite della società irlandese contemporanea. Sono argomenti che conquistano tanti giovani, come in molte altre grandi metropoli occidentali spesso martoriati dai costi stellari per l’affitto o la compravendita di un appartamento. Mentre le multinazionali qui negli anni hanno proliferato grazie alla misera tassazione al 15% per attirarle.

Eppure il premier Varadkar è il più giovane della storia irlandese con i suoi 41 anni. Ha patrocinato i referendum contro il divorzio e per i matrimoni gay, modernizzando ancora di più la ex cattolicissima Irlanda. L’economia va bene dopo la pesantissima crisi del 2008 che aveva ridotto la “Tigre celtica” in un micio spaurito: dal 2014 Dublino cresce più di tutti in Ue. La disoccupazione è sotto il 5%. Insomma, non è mica quella “tremenda povertà, per giunta cattolica” delle Le Ceneri di Angela di Frank McCourt.

“Ma non basta”, spiega Liam, “noi irlandesi, ricchi e poveri, ci siamo sempre definiti tutti di “classe media”. Oggi non è più così. Il Pil può crescere quanto gli pare, ma la vita reale è ben diversa”.

 

Il crollo del premier Varadkar

Anche nella capitale, secondo i sondaggi, Sinn Féin è tornato a essere primo partito dopo molto tempo. Lungo Merrion Square, dietro la prestigiosa università Trinity College, decine di migliaia di persone hanno sfilato mercoledì. Bambini, madri e soprattutto educatori, furiosi per i tagli dei fondi agli asili nido. “Vogliamo più soldi, adesso!”, “Non ci arrenderemo!”, “Noi siamo il futuro!”. Si sono diretti verso il palazzo del governo e del premier Leo Varadkar, duramente criticato da questo agitato fiume di manifestanti. È uno dei punti deboli del “Taiseoach”, crollato negli ultimi sondaggi. La sua campagna elettorale si è concentrata soprattutto sulla stabilità dell’economia e sul suo ruolo “provvidenziale” nella Brexit. Due argomenti che però scaldano poco. La favola del primo premier irlandese figlio di immigrati e gay sembra già al capolinea. Sempre mercoledì l’Irish Independent apriva il giornale con un avvertimento: Michael Noonan, predecessore di Varadkar, ha pubblicamente espresso il suo “endorsement” a nuovo leader di Fine Gael nei confronti di Paschal Donohoe, l’attuale ministro delle Finanze. Insomma, si è aperta una faglia nel partito in cui il giovane e “cool” premier potrebbe essere risucchiato.

 

Martin, leader del secondo partito Fianna fail

Anche un altro protagonista di queste elezioni, ovvero Micheál Martin, 59 anni di Cork, leader del secondo partito “dominus” Fianna Fáil, sembra in netta difficoltà. Del resto è un dinosauro della politica irlandese, è stato tante volte ministro e ha stretto un patto di desistenza con Varadkar alle elezioni precedenti permettendogli un governo di minoranza. L’esperienza, in questo voto del “cambiamento”, può essere un problema. Martin tra l’altro è stato in diversi governi durante la crisi finanziaria e molti non hanno dimenticato la sua “complicità” sull’austerità. Mentre oggi a causa dell’offensiva di Sinn Féin “tutti i partiti sono “schiavi del ‘bonanza virus'”, ossia della sindrome di promettere ogni spesa possibile, sostiene il brillante economista irlandese David McWilliams.

Ma Leo e Martin potrebbero salvarsi, magari con un flop inatteso di Sinn Féin alle urne, magari con un risicato governo di coalizione insieme ai tanti partitini dello spezzatino politico irlandese. Perché l’odiato Sinn Féin, che nel migliore dei casi entrambi definiscono “un partito non normale”, ha presentato candidati solo in 42 distretti dopo le recenti batoste elettorali, tra cui alle ultime europee.Nonostante il complicato sistema elettorale proporzionale “a scelta multipla” che elegge nella stessa circoscrizione più candidati, per Sinn Féin sarà impossibile conquistare la maggioranza assoluta di 80 seggi in Parlamento, perché al massimo arriverà a circa la metà. Un numero sufficiente però per rivendicare un posto nel nuovo governo. Fine Gael e Fianna Fáil hanno però già escluso ogni collaborazione con l’ex volto politico dell’Ira, anche se dovesse avere voti decisivi per l’esecutivo che verrà.

Sinn Féin così, da paria potrebbe ritrovarsi presto a essere l’unica vera opposizione, accumulando ancora più consenso. Per il “liberal” Fintan O’Toole sarebbe un errore escludere a prescindere Sinn Féin, “anche perché la “scelta” tra Varadkar e Martin non è una vera scelta in quanto esclude per lo meno metà dell’elettorato”. Del resto, Sinn Féin non la esclude più neanche Rte, la tv pubblica irlandese, che martedì sera, dopo il sondaggio che dava l’ex partito dell’Ira in testa, è stata costretta per la prima volta nella storia recente a invitare anche la leader McDonald all’ultimo dibattito tv prima delle elezioni di sabato. Varadkar e Martin l’hanno messa all’angolo, accerchiandola di accuse: “Volete anticipare l’età pensionsabile, ma che ne sarà dei giovani che vi sostengono?”, “I vostri piani di spesa sono folli”, “Avete pronte 14 tasse in più, distruggerete l’economia!”, “Siete contro i tribunali speciali per terroristi!”, eccetera. Ma la riabilitazione, persino sulla tv pubblica, era inevitabile. Anche perché, ricorda sempre O’Toole, “Sinn Féin è già nel governo a Belfast insieme agli unionisti del Dup. Perché qui in Irlanda ciò sarebbe illegittimo?”. Come la stessa McDonald sottolinea, “siamo stati protagonisti del processo di pace in Irlanda del Nord”, quando la “Provisional” Ira (la più importante delle tante sigle di un gruppo maledetto dalle scissioni) depose le armi, nel 1997.

 

I ragazzi anti-establishment

I ragazzi del Trinity College raramente tengono per Sinn Féin. Ma anche i partiti tradizionali hanno un seguito modesto. C’è chi, come Mary, che studia letteratura inglese, voterà per un candidato indipendente, Julian invece per i verdi, come da spilla attaccata al colletto del suo giaccone di velluto: “Non potrei mai dare il mio voto a Sinn Féin, anche se si sono spesi molto per l’ambiente ultimamente”. Anche qui, però, quasi tutti ammettono di avere “diversi amici che voteranno per il partito nazionalista di sinistra, e molti non lo avevano mai fatto prima”. Forse perché i ragazzi ignorano la sanguinosa storia dell’Irlanda, essendo tutti nati a guerra civile finita? Anche per questo il partito nazionalista è osteggiato soprattutto dai più anziani: tra gli over 55 Sinn Féin ha percentuali residuali, tuttavia resta primo partito nella fascia tra 35 e 54 anni. Ad ogni modo, Liam respinge le accuse. La Memoria, secondo lui, non sta svanendo nelle nuove generazioni. “È vero che siamo nati dopo, ma non ignoriamo il passato. Parlavo con un mio amico in Irlanda del Nord l’altro giorno, e mi ha detto che se Sinn Féin andasse al governo, là potrebbe succedere un casino. So bene che io e miei amici stiamo votando un partito controverso e populista. Ma, ripeto, è l’unico che parla dei temi cui teniamo di più: disuguaglianze, l’ambiente, i prezzi indecenti per vivere in un bugigattolo. Varadkar e Martin sono soggiogati a un neoliberalismo acritico, sono sempre stati conservatori, mentre i Verdi e il Labour sono stati complici dello sfacelo di oggi nei governi precedenti”. Quindi la storica connivenza di Sinn Féin con l’Ira non conta per voi? “Non credo che Sinn Féin abbia intenzione di ricatapultarci al passato. E comunque”, sospira Liam, “ora ci sono altre priorità”.

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