ansa.it — 8 febbraio 2020
La parola della settimana è fiducia (di Massimo Sebastiani)
IMMAGINE DELLA FIDUCIA…
ansa.it — 8 febbraio 2020
Massimo Sebastiani 08 febbraio 2020
In Will Hunting-Genio ribelle, un film del 1997 di Gus Van Sant, Robin Williams, in un ruolo non molto distante da quello che l’ha consegnato per sempre alla storia del cinema, il professor Keating di L’attimo fuggente, si complimenta con uno studente per una sua frase che definisce ‘profonda’: ‘La fiducia è vita’. Esagerato? Mica tanto: vent’anni dopo, un insigne (si dice ancora così?) storico israeliano, Yuval Noah Harari, saggista di grande successo, ha spiegato che la fiducia è alla base del nostro stesso progresso a cominciare dall’affermazione dei Sapiens sui Neanderthal, avvenuta per quanto ne sappiamo, circa 40mila anni fa
.E’ la fiducia, oltre all’immaginazione e al gossip (vedrete che ci torneremo, magari con una ‘parola’ dedicata), ad aver permesso la prima grande rivoluzione fondamentale della storia dell’umanità: senza la fiducia, quindi per esempio senza credere alle possibilità offerte dall’ignoto, da ciò che non conosciamo e senza pensare che possiamo essere in grado di penetrare quell’ignoto, non sarebbero esistiti il commercio e l’esplorazione di altre terre, spiega Harari, che sono uno dei tratti distintivi dei Sapiens, cioè ancora la nostra specie, rispetto a quelle che ci hanno preceduti. ‘Non può esistere commercio senza fiducia’ scrive Harari in Sapiens-Da animali a dei (un libro che ha venduto nel mondo 4 milioni di copie), e ancora oggi ‘la rete commerciale si basa su entità fittizie il dollaro, la Federal Reserve e i marchi totemici delle multinazionali’. In altri termini dobbiamo credere, tutti insieme, in qualcosa per poter dirci umani.
Nel pieno della tempesta Coronavirus, e delle polemiche anche politiche che essa ha generato, la parola fiducia è stata richiamata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Rispondendo ai quei governatori delle regioni del Nord che avevano chiesto di non far entrare in classe i bambini tornati dalla Cina dopo le vacanze natalizie, Conte, richiamando ‘obiettivi comuni’, proprio come avrebbe fatto un Sapiens di 40mila anni fa, dice: ‘Dobbiamo fidarci delle autorità scolastiche e sanitarie. Invito i governatori del Nord a fidarsi di chi ha specifiche competenze’. Conte si appella alla fiducia anche per contenere l’allarme e la disgregazione sociale.
Ma cos’è esattamente la fiducia? Si può misurare, come fanno tanti indici, di tipo economico e non, primo fra tutti il rapporto annuale Edelman Trust Barometer da poco presentato a Davos? Ormai sappiamo, e ne abbiamo parlato anche in questa rubrica a proposito della parola ‘inizio’, che l’etimolgia non è la scienza sacra delle origini assolute di una parola. E che l’identità di una parola (e di una specie, di una persona e perfino di un piatto di pasta, come ha spiegato in un libretto stupefacente lo storico dell’alimentazione Massimo Montanari) sta nella sua storia quindi nella sua evoluzione ed eventuale contaminazione.
Ma certo l’etimologia indica almeno l’inizio del percorso e a sua volta ci dà spunti e prospettive interessanti e spiazzanti rispetto all’uso che di quella parola si fa nel presente. Prima citando Harari abbiamo detto che per avere fiducia bisogna credere in qualcosa: ovvio, ma non troppo. Il latino fides infatti può essere considerato il sostantivo del verbo credo. Le radici sono molto diverse e quindi sembra strano ma questo è il modo, anzi i modi, in cui sono state tradotte due parole greche, pistis (fede) e pisteuo (credere). Qui c’è lo zampino del cristianesimo perché istintivamente sappiamo che avere fede e avere fiducia sono due cose molto diverse. George Simmel, sociologo tedesco, all’inizio del Novecento diceva: ‘chi sa tutto non ha bisogno di fidarsi, chi non sa nulla non può fidarsi’. Per fortuna siamo umani e quindi ci troviamo in una splendida condizione intermedia: non sappiamo tutto ma non siamo neanche a zero. Per questo possiamo fidarci.
La fiducia di cui in genere parlano gli uomini è quella derivata dal linguaggio giuridico dove fides è l’impegno solenne, il giuramento fino alla garanzia e al patto da rispettare. In pratica, sono proprio i nostri limiti che ci impongono di creare un oggetto astratto come la fiducia che ci fa aprire agli altri: è il momento in cui ammettiamo di avere bisogno degli altri, di chi garantisce un atto, di uno scienziato, di una madre, come ha spiegato Freud. Il primo grido del bambino alla nascita è la prova acustica che siamo insufficienti a noi stessi, è una domanda: il bambino attende che la madre lo protegga e lo allatti, il suo pianto è una richiesta di fiducia. Abbiamo bisogno degli altri anche per avere fiducia in noi stessi, espressione che viene usata in modo martellante e che è una specie di mantra ossessivo della società dei manuali dell’auto-aiuto. Ma, appunto, schiere di psicologi sono lì a ricordarci che la fiducia non ha senso senza l’altro. E’, per definizione, una parola (e un concetto) sospeso tra un uno e un altro.E siccome c’è sempre una citazione di Dante per qualunque cosa, eccola qua: ‘Così m’ha dilatata mia fidanza come il sol fa la rosa quando aperta tanto divien quant’ella ha di possanza’. C’è sempre un rapporto, una relazione, in questo caso tra rosa e sole, quando si parla di fiducia. E non c’è nemmeno bisogno di sottolineare quell’espressione medievale, fidanza, che diventerà ovviamente fidanzata. Da Dante a Jovanotti e al suo Mi fido di te, allora, è un attimo.
Forse senza fiducia, almeno un po’, non potremmo sopravvivere.