Gigi L. Filice – Scala dei Turchi Agrigento Sicilia
La marna bianca della Scala dei Turchi–Gigi L. Filice
Gigi L. Filice – Scala dei Turchi Agrigento Sicilia
PHOTO DI FREDERIC PACTAT–FLICKR
ANSA.IT — 2 DICEMBRE 2019
La Scala dei Turchi si sta sbriciolando
L’allarme dell’associazione MareAmico per il suggestivo litorale
(ANSA) – REALMONTE (AGRIGENTO), 2 DIC – La Scala dei Turchi, uno dei tratti di costa più suggestivi della Sicilia sul litorale agrigentino, si sta sbriciolando: centinaia di massi sono venuti giù, nei giorni scorsi a causa del maltempo. “L’eccessiva cementificazione tutto intorno ha modificato il normale deflusso delle acque meteoriche e poi l’esagerata frequentazione dei luoghi ha fatto il resto – spiega l’associazione ambientalista MareAmico – Ormai sono anni che documentiamo l’abbandono di questo luogo candidato a patrimonio dell’Unesco. Occorre un’operazione di responsabilità: va interdetto il versante ovest che si affaccia su lido Rossello – e urge una programmazione e una seria gestione del sito con il contingentamento delle presenze”. La Scala dei Turchi richiama ogni anno centinaia di migliaia di visitatori, con un importante ricaduta sull’aspetto turistico e di conseguenza economico del territorio.
La Scala dei Turchi è una parete rocciosa (falesia) che si erge a picco sul mare lungo la costa di Realmonte, in provincia di Agrigento. È diventata nel tempo un’attrazione turistica sia per la singolarità della scogliera, di colore bianco e dalle peculiari forme, sia a seguito della popolarità acquisita dai romanzi con protagonista il commissario Montalbano scritti dallo scrittore empedoclino Andrea Camilleri.
La Scala è costituita di marna, una roccia sedimentaria di natura argillosa e calcarea, con un caratteristico colore bianco puro. Tale scogliera dal singolare aspetto si erge tra due spiagge di sabbia fine, per accedervi bisogna procedere lungo il litorale e inerpicarsi in una salita somigliante a una grande scalinata naturale di pietra calcarea. Una volta raggiunta la sommità della scogliera, il paesaggio visibile abbraccia la costa agrigentina fino a Capo Rossello.
Il nome le viene dalle passate incursioni di pirateria da parte dei saraceni, genti arabe e, per convenzione, turche; i pirati turchi, infatti, trovavano riparo in questa zona meno battuta dai venti e rappresentante un più sicuro approdo.
WIKIPEDIA
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IL FATTO QUOTIDIANO DEL 13 SETTEMBRE 2019
Sergio Lima
Movimento #CentoPassi – Claudio Fava
Sicilia, Scala dei turchi a pagamento? Qui la bellezza non è un bene comune, ma un valore privato
Il rapporto tra la Sicilia e le sue risorse paesaggistiche, turistiche e culturali è perfettamente rappresentato nell’articolo di Accursio Sabella che racconta di come un autentico angolo di paradiso, la Scala dei turchi, possa diventare risorse a uso privato e non bene comune per l’isola.
Una vicenda così non poteva che capitare nella terra di Luigi Pirandello, dove il pubblico interviene per le opere – costose – di messa in sicurezza e di valorizzazione e un privato può, senza sforzo, intascare oltre i 2/3 dei proventi economici. Con tanto di entusiastico apprezzamento da parte del comune.
Ma la Scala dei turchi è, soprattutto, il perfetto esempio di una terra incapace di far sistema e di tutelare le proprie meraviglie. Un territorio spremuto e assaltato: è di questi giorni la proposta di eliminare il vincolo di distanza dalla spiaggia per nuove costruzioni, da usare per ricavare qualche spicciolo a tutto interesse di soggetti privati. Una visione del territorio, e delle bellezze comuni, antidiluviana che da decenni produce solo disastri. E nel caso dell’abusivismo, più o meno tollerato, lutti e tragedie.
Quello che manca alla politica siciliana è un salto di qualità innanzitutto culturale. Una capacità moderna di mettere in rete le proprie bellezze e di concepire l’enorme patrimonio culturale, paesaggistico e naturale come un bene comune da valorizzare e su cui costruire una porzione di futuro per l’isola e per i suoi abitanti. Invece, nonostante governi regionali di vario colore, non sembra mai cambiare la visione.
Le spiagge vengono date in concessione per pochi euro; i boschi – lasciati senza manutenzione ordinaria e straordinaria- pronti per essere divorati dagli incendi che qualcuno continua a definire “emergenza”, come se fosse un fenomeno imprevedibile ed inatteso; i siti archeologici – raggiungibili spesso solo dopo autentici viaggi della speranza – con manutenzione spesso precaria e senza i servizi che oggi sono indispensabili per attrarre un turismo culturale capace di fare sistema. E si potrebbe continuare.
In questa terra, che ha la fortuna di ospitare un patrimonio culturale dalla straordinaria varietà, la bellezza è un bene privato. Che produce ricchezza che resta nelle tasche di qualcuno.
Alle spalle c’è la stessa idea, quasi predatoria, che ha consentito negli anni di far saltare i villini liberty palermitani con la dinamite per realizzare casermoni in cemento armato.
Il bello non è cultura comune, non è opportunità per offrire prospettive alle migliaia di siciliani che sono costretti all’emigrazione. Il territorio viene piegato ad esigenze specifiche di questo o quel soggetto privato, quando non consapevolmente devastato, e da bene collettivo diventa proprietà. Da sfruttare, vendere o trasformare in personale parco giochi. Se poi le spese sono coperte dal pubblico è ancora meglio. Tanto per unire al danno pure la beffa
L’unica speranza è la cultura diffusa, il sentire dentro di noi questa bellezza di cui siamo fruitori senza meriti.