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La vera storia dei Monuments Men
Di Mara Marantonio
in Arte e Cultura, Cinema, marzo 2014
Sono passati alla Storia con il nome di Monuments Men. Trecentocinquanta valorosi (uomini e donne, appartenenti a ben tredici Paesi diversi) che, tra il 1943 e il 1951, prestarono servizio presso la Mfaa (Monuments, Fine Arts and Archives); un gruppo di persone colte ed appassionate -per lo più senza esperienza militare, poiché erano restauratori, archivisti, direttori di musei, esperti di arti figurative, archeologi- in servizio presso gli eserciti alleati durante il secondo conflitto mondiale ed inviate in Europa, divenuta campo di battaglia, con una precisa missione: recuperare i capolavori dell’arte.
350 valorosi per salvare la nostra civiltà
“ James: ‘Non sei un tantino…vecchio?’ Frank: ‘Sì!!!’ ”
“Puoi sterminare un’intera generazione…bruciare le loro case…..e troveranno una via di ritorno. Ma se distruggi la loro cultura è come se non fossero mai esistiti. E’questo che vuole Hitler ed è esattamente questo che noi combattiamo”
“Sul retro del Cézanne c’è scritto Rothschild…”
Il generale americano Eisenhower ispeziona un deposito di opere d’arte ritrovate
Com’è noto, le armate tedesche, mentre invadevano un Paese dopo l’altro, razziavano in modo sistematico dipinti, sculture e altri capolavori.
Al fine di impedire questo furto senza precedenti, a fine 1943 americani ed inglesi, con l’approvazione del Presidente Roosevelt, si accordarono per la costituzione della Mfaa.
Quasi una sorta di simbolica rifusione per l’assurdo bombardamento alleato dell’agosto 1943, che rischiò di mandare il frantumi il Cenacolo di Leonardo da Vinci.
Nella primavera successiva (1944) i membri della nuova unità si riunirono in Gran Bretagna, a Shrivenham, per l’addestramento in vista dell’operazione di salvataggio.
Dopo essere sbarcati in Normandia insieme con le altre truppe a inizio giugno, i Monuments Men raggiunsero chiese, castelli, conventi, apponendovi il famoso cartello, rivolto ai colleghi impegnati nelle operazioni militari: “Off limits. A tutto il personale militare: Edificio storico!”.
Indi compulsarono parroci, autorità civili, direttori e funzionari di musei per avere notizie sulla sorte di singole opere di pregio e di intere collezioni, scomparse in concomitanza con l’arrivo degli eserciti hitleriani, prima, e con la ritirata di questi ultimi, poi.
Walker Hancock, Lamont-Moore, George Stout insieme a due soldati a Marburg, in Germania, nel 1945
Ricordiamoci quanto aveva affermato, nel 1942, il Maresciallo del Reich Hermann Göring, il principale razziatore nazista dopo Adolf Hitler: “Una volta lo si chiamava saccheggio. Ma oggi le cose devono avere un aspetto più umano. Ad onta di ciò, io intendo saccheggiare e intendo farlo in maniera totale”
I Monuments Men si suddivisero i diversi Paesi europei.
Il Castello di Neuschwanstein
Francia.
A Parigi trovarono due alleati nel direttore del Louvre, Jacques Jaujard, e nella collaboratrice volontaria dello Jeu de Paume, Museo legato al Louvre, Rose Valland –un’eroina suo malgrado, stupidamente accusata, dopo la liberazione della città dai tedeschi, di collaborazionismo con gl’invasori-, la quale sapeva bene, tra l’altro, dove i nazisti avevano occultato le opere rubate alle grandi famiglie ebraiche francesi.
Una parte notevole di tali capolavori (insieme ad un’infinità di oggetti da collezione) era stata ammassata in Baviera, nel castello in stile medievale di Neuschwanstein, una costruzione innalzata meno di cent’anni prima, frutto del “pazzo” sogno del Re Ludwig II, amante della musica e delle arti, protettore dell’ingrato Richard Wagner.
Il luogo era talmente pieno di opere d’arte che i Monuments Men impiegarono ben sei settimane per svuotarlo: poiché ovviamente era privo di ascensori, tutto dovette essere trasportato a piedi lungo le scale (da una visita effettuata circa un decennio fa, le ricordo interminabili…).
Germania.
C’era non solo da recuperare le opere d’arte rubate ai proprietari privati, ma pure da salvaguardare il patrimonio che i nazisti avevano sottratto al popolo tedesco. Nei piani di Hitler ciò che, in modo o nell’altro, era stato requisito avrebbe dovuto costituire, terminata la guerra con la vittoria del Terzo Reich, il nerbo del cosiddetto Führermuseum, da innalzarsi a Linz, città austriaca da lui amata.
Stephen Kovalyak, George Stout e Thomas Carr Howe mettono in salvo la Madonna con Bambino di Michelangelo
E’ noto che, poche settimane prima di suicidarsi, il dittatore era solito estraniarsi dalla dura realtà della disfatta militare e dell’imminente caduta rifugiandosi in un mondo fantastico, incarnato dal modellino in scala di Linz ricostruita e del suddetto Museum. Ad Aachen poi era scomparso il tesoro di Carlo Magno, ritrovato in seguito a Siegen, la patria di Pieter Paul Rubens, in Renania Settentrionale Westfalia.
Fu poi il caso a condurre i nostri valorosi a Merkers, in Turingia, dove rinvennero nientemeno che l’intera riserva aurea della Germania nazista, ma pure una notevole numero di opere.
Nella vicina Bernterode essi si trovarono di fronte alle bare dei Re di Prussia tra cui quella di Federico II il Grande (del quale Adolf Hitler si riteneva il continuatore); e nella miniera di Heilbronn, nel Baden Württemberg, ecco i tesori del Museo di Karlsruhe.
Ma il clou di tutta la vicenda fu in Austria, nella miniera di salgemma di Altaussee, in Stiria, alle spalle di Salisburgo e Linz. I nazisti vi avevano raccolto ben 6500 quadri, statue, mobili, libri, monete oggetti preziosi diversi.
I Monuments Men aiutati dai cittadini, metto al sicuro la preziosa Madonna di La Gleize, in Belgio
Quando le casse furono aperte, i Monuments Men (siamo nel maggio 1945) quasi non credevano ai loro occhi: finalmente erano arrivati
— alla Madonna con Bambino, scolpita da Michelangelo nel 1503/1504 su incarico di un gruppo di ricchi mercanti locali, sottratta alla Chiesa di Nostra Signora di Bruges (la Vrouwekerk);
— all’Astronomo di Jan Veemeer (1668), proveniente dal Louvre;
— al Polittico dell’Agnello Mistico, un olio su tavola, dipinto da Jan van Eick nel 1432 (cattedrale di Sint Baafs di Gand).
Ma la sorpresa non era finita.
Poco dopo, davanti alla miniera, abbandonate su un prato, c’erano otto casse con una scritta in tedesco:
“Attenzione, marmi, maneggiare con cura”. Ma, apertele, si accorsero che, anziché “marmi”, le casse contenevano otto grandi bombe inesplose.
Tutto fu subito chiaro.
In caso di disfatta, l’ordine di Hitler era di far saltare in aria i capolavori:
la trucemente famosa “Operazione Nerone”.
Nel caso del tesoro di Altaussee il responsabile era il Gauleiter ( capo regione )della zona: August Eigruber.
Ma l’ordine da eseguire, che egli aveva ricevuto da Berlino, non venne attuato: furono il nervosismo di quei momenti, o la rapidità dell’arrivo dei “salvatori” o, più semplicemente, il caso -difficile stabilirlo-, a impedire che le cariche fossero innescate.
Quelle opere, insieme a tutte le altre ritrovate, vennero portate alla centrale istituita dagli Alleati a Monaco e da qui iniziò una difficile opera di individuazione dei proprietari -tanti di loro erano stati uccisi nei campi di sterminio- e di restituzione.
Una lunga storia che continua ancora oggi, se pensiamo, ad esempio, che la sola Francia conserva nei propri musei ben duemila opere i cui proprietari restano tuttora ignoti.
Un libro/verità davvero fuori del comune
Un libro imperdibile sia per la vicenda narrata che per la qualità espositiva, che per la messe di dati forniti, è “Monuments Men. Eroi alleati, ladri nazisti e la più grande caccia al tesoro” della storia dello storico americano Robert Edsel (con Bret Witter), pubblicato nel 2009 negli U.S.A. ed edito in Italia nel gennaio 20014 da Sperling & Kupfer: 431 pagine, da leggere con cura e passione, costo €. 16,90 -ben spesi-.
Un’opera a mezza strada tra il testo di storia contemporanea, il manuale di critica d’arte, il diario di vita vissuta; arricchita da emozionanti immagini fotografiche. Una notizia di rilevo: sono in corso di pubblicazione, sempre presso Sperling & Kupfer, alcuni volumi del medesimo Autore che raccontano non solo la storia dei Monuments Men, ma pure la resa segreta dei nazisti che mise a rischio molti tesori dell’arte italiana.
PER CHI SA L’INGLESE, IL FILM COMPLETO::
TRAILER UFFICIALE ITALIANO::2,36
Il film di George Clooney
Comprensibile quindi che il bravo attore, nonché produttore e regista, statunitense, George Clooney sia rimasto affascinato dal volume di Edsel, lui che, tra l’altro, ha una speciale predilezione per i film sulla Seconda Guerra Mondiale.
Dopo due anni di serie ricerche sul tema dei saccheggi nazisti, in poco tempo ha diretto e interpretato un film interessante e ricco di spunti, di cui può andare fiero, tratto proprio dal libro. Una pellicola di intrattenimento, ma di un certo livello, con una colonna sonora all’altezza, in grado di far sorridere, con dialoghi svelti e scene cariche di ironia, dove non mancano tuttavia i risvolti drammatici e tragici e dove si nota, in modo direi evidente, che la cosiddetta “Guerra Fredda” coi sovietici era già cominciata.
La pellicola è stata accolta un po’ freddamente dalla critica, ma ha suscitato largo entusiasmo nel pubblico, spesso all’oscuro di vicende all’apparenza secondarie.
Per il suo Monuments Men Clooney ha ingaggiato un cast di tutto rispetto, dando ad ogni interprete per lo più un nome sì di fantasia, ma ispirato ad un personaggio reale, ritrovabile nel libro.
George Clooney è George Stout
A se stesso ha riservato la parte del protagonista, responsabile del piccolo gruppo sul quale si concentra la vicenda. George è Frank Stokes, figura ispirata a George Stout, lo storico dell’arte, specialista nella conservazione del patrimonio artistico che, dal 1943 al 1945, lavorò alacremente al recupero delle opere d’arte.
Matt Damon, per il suo James Granger, ha studiato James Rorimer, divenuto in seguito direttore del Metropolitan Museum of Art di New York.
Rich Campbell, cioè Bill Murray, nella realtà è l’architetto Robert Posey: a lui si deve la ricollocazione al suo posto del Polittico dell’Agnello Mistico di Jan van Eick.
Walter Hancock, vale a dire Walter Garfield, è l’impagabile John Goodman, al quale la robusta stazza da Fred Flinstone non impedisce di vantare una discreta agilità di movimento e una notevole dote di coraggio, di cui darà prova, in Francia, col suo compagno d’avventura, l’entusiasta ebreo francese Jean Claude Clermont (figura di fantasia), impersonato da Jean Dujardin, il protagonista di The Artist, film rivelazione di due anni fa, nonché premio Oscar quale miglior attore di quell’anno.
Si può essere nonno affettuoso e, nello stesso tempo, intrepido cercatore di opere d’arte perdute in un mondo sconvolto dalla guerra, in grado di distinguere un capolavoro autentico da una copia, sia pure perfetta: lo dimostra Preston Savitz , un po’ invecchiato rispetto all’originale Lincoln Kirstein, Bob Balaban .
Vale la pena morire per una Madonna con Bambino scolpita da Michelangelo?
Non c’è alcun dubbio, risponde il britannico Lt. Donald Jeffries, cioè Ronald Edmund Balfour, cui dà corpo e anima Hugh Bonneville.
Ci sono infine due personaggi, all’apparenza un po’ defilati, ma fondamentali in tutta la vicenda.
Un giovane ebreo tedesco, poco più che diciottenne (classe 1926), originario di Karlsruhe, emigrato negli USA con la famiglia nel 1938, ritorna in Europa con le truppe ed entra a far parte del gruppo dei Monuments Men. Si chiama Harry Ettlinger (nome originario: Heinz Ludwig Haim), tuttora vivente. Anzi Harry ha seguito di persona le riprese del film ed era, di recente, anche a Milano dove, con la troupe e Edsel ha visitato il Cenacolo leonardesco.
Nella pellicola è Sam Epstein, Dimitri Leonidas.
Cate Blanchett e Matt Damon sono Rose Valland e James Morimer
L’unica figura femminile è la grandissima, ancora una volta, Cate Blanchett, Claire Simone nel film, Rose Valland nella realtà. Efficiente, coraggiosissima -corse gravi rischi durante l’occupazione, per amore della cultura-, ironica quanto basta (“…dovremmo aiutarvi a rubare le nostre opere d’arte…rubate?”, chiede a James Granger), Cate è fantastica nel trasformarsi, se occorre, da un’anonima funzionaria occhialuta in un’affascinante donna francese.
Nella pellicola si alternano i momenti allegri, da scampagnata goliardica. Il faticoso allenamento, in vista dell’impresa, che peraltro non fa desistere nessuno, ad esempio; o le immagini in cui il gruppo di improbabili soldati -per lo più non giovanissimi, né avvezzi ai campi di battaglia, con qualche chilo in più, i capelli grigi, fumatori…- si trova di fronte alla chiara diffidenza dei militari veri, appena sbarcati in Normandia, che non hanno tempo da perdere con quadri e sculture.
Una scena per tutte:
l’incontro di Campbell e Savitz con un membro delle SS, fuggito da Parigi all’arrivo alleato, ora divenuto un pacifico agricoltore. Ma nel salotto della sua modesta, pur linda, casa fanno bella mostra alle pareti capolavori di Impressionisti francesi, come il ritratto della piccola Irène Cahen d’Anvers, opera (1879/’80) di Pierre August Renoir.
Da dove vengono simili tesori, autentici senza dubbio, e non copie come si vorrebbe lì per lì far credere?
Imbarazzo dell’uomo e della moglie, sorrisetti, sguardi che si volgono altrove, tentativi di improbabili spiegazioni, silenzio. E l’inevitabile conseguenza. Una prima “resa dei conti”.
CHI LO HA SCRITTO
Mara Marantonio
Vivo e lavoro a Bologna, dove sono nata. Appassionata di letteratura e cultura ebraica ed israeliana -ma non solo!-, nel tempo libero dalla professione curo::
L’ANGOLO DI MARA
un mio sito web personale in materia www.angolodimara.com; collaboro con diverse realtà culturali per commentare saggi, romanzi, film ed eventi diversi.