DARIO FABBRI, Gli Usa si sono presi un rischio enorme, ora sperano nella razionalità dell’Iran —LIMES ONLINE DEL 03- GENNAIO – 2020

 

 

LIMES ONLINE DEL 03- GENNAIO – 2020

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Gli Usa si sono presi un rischio enorme, ora sperano nella razionalità dell’Iran

Carta di Laura Canali - 2018

Carta di Laura Canali – 2018.

 3/01/2020

L’uccisione del generale Soleimani è un guizzo emozionale. Per evitare di impantanarsi in un teatro secondario, Washington confida che la Repubblica Islamica contenga la propria reazione.

 

di Dario Fabbri

ARTICOLI, SCONTRO USA-IRAN, IRAN, USA, MEDIO ORIENTE

Dopo aver agito con guizzo emozionale, ora gli Stati Uniti confidano nella razionalità dell’Iran.

L’uccisione del generale Soleimani certamente elimina un elemento dotato di capacità eccezionali, responsabile negli anni di azioni surrettizie contrarie agli interessi della superpotenza. Ma le abilità delle guardie rivoluzionarie, affinate nel tempo, non dipendevano soltanto da Soleimani e resteranno tali anche senza il mediatico generale.

Così la sua dipartita riveste un eccezionale valore scenografico – specie in patria, dove vantava status di semidio. Ma difficilmente l’opinione pubblica statunitense riconoscerà straordinaria importanza a un tale evento e per Trump sarà assai difficile tramutarlo in rendita elettorale. Sul piano strettamente grammaticale, l’assassinio di Soleimani comporta più rischi che benefici.

Da quasi un decennio in Medio Oriente gli Stati Uniti perseguono l’equilibrio di potenza, con il fine di impedire a una singola nazione, locale o esterna, di assurgere a egemone della regione, puntellando l’attore considerato più debole (Arabia Saudita), colpendo quello ritenuto più forte (Iran). Premurandosi di non scivolare in un conflitto di grandi dimensioni, dilettandosi a guardare gli altri scannarsi tra loro. Con notevole successo, come testimoniato dall’incomprensione degli osservatori internazionali, dato che certifica il valore della tattica.

A fronte di enormi sacrifici, negli ultimi anni l’Iran è riuscito a puntellare il proprio cliente damasceno e a custodire una buona sfera di influenza in Iraq.

Ma deve condividere lo spazio siriano con russi (temporaneamente) e turchi (definitivamente), mentre la popolazione persiana percepisce distintamente la fatica di tale sforzo, drammaticamente soffocata dalle sanzioni statunitensi.

In sintesi: la Repubblica Islamica rimane assai lontana dal dominare il Medio Oriente. Condizione che dovrebbe saziare Washington, soddisfatta di centrare i propri obiettivi da remoto. L’uccisione di Soleimani potrebbe notevolmente complicare la situazione.

Se gli iraniani reagissero massicciamente, gli americani sarebbero costretti a realizzare un’ulteriore rappresaglia che potrebbe condurre alla guerra aperta, con il rischio di impantanarsi nuovamente in un teatro secondario. Quanto la superpotenza non vorrebbe mai, quanto Trump ha promesso di scongiurare. Probabilmente la Casa Bianca e il Pentagono hanno deciso di colpire il generale persiano mossi da un risentimento di natura sentimentale, (legittimamente) eccitati dall’idea di eliminare un soggetto che nel tempo ha provocato la morte di numerosi cittadini statunitensi. Ma per evitare di essere trascinati laddove non vorrebbero finire, adesso devono sperare che la Repubblica Islamica contenga la propria reazione.

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