LUCIO CARACCIOLO, Libia, il Paese che non c’è– REPUBBLICA DEL 14 DICEMBRE 2019 –pag. 34

 

 

REPUBBLICA DEL 14 DICEMBRE 2019  –pag. 34

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Libia, il Paese che non c’è

di Lucio Caracciolo

 Carta di Laura Canali, 2019

carta di laura canali, 2019–da limes, 14-12- 2019

Se la Libia esistesse, la notizia che il generale Khalifa Haftar, capo dell’Esercito nazionale libico, starebbe per prendere Tripoli, segnerebbe una rivoluzione geopolitica. Ovvero l’affermazione di un “nuovo” — in realtà abbastanza anziano — Gheddafi, padre padrone della nostra ex colonia. In tal caso, molti di coloro che oggi in Europa lo avversano, saluterebbero in privato la rinascita di un potere unico e responsabile per tutto lo spazio libico, dalla Tripolitania alla Cirenaica e al Fezzan.

Poiché però la Libia non esiste né probabilmente risorgerà nel tempo visibile, il successo militare di Haftar non avrebbe, in ogni caso, conseguenze definitive. Semmai aprirebbe una più sanguinosa guerra fra le sue truppe e le milizie che lo avversano, imperniate su Misurata.

Di qui la preoccupazione crescente fra gli europei. Specie in Italia, che si troverebbe con un incontrollabile, acuto conflitto appena oltre il Canale di Sicilia. Il vertice di ieri fra Macron, Conte e Merkel non ha potuto partorire nulla di definitivo, salvo la condivisa necessità di essere pronti all’emergenza, possibilmente individuando di concerto il successore dell’attuale “presidente” libico, Fayez al Serraj — riconosciuto dalla “comunità internazionale” ma sovrano, forse, su sé stesso.

Certo, sono otto mesi che Haftar bussa alle porte di quella che fu la capitale della Libia, annunciando con tronfia fanfara la prossima caduta del bastione nemico. Ma stavolta fonti militari e di intelligence occidentali assicurano che la possibilità della vittoria di Haftar è piuttosto concreta. Grazie soprattutto al sostegno militare russo, sotto forma di armamenti di punta e di milizie di mercenari, afferenti alla famigerata organizzazione Wagner, oltre che di forze speciali e di intelligence opportunamente mimetizzate.

Sono mesi che i paramilitari russi si muovono nell’ex Libia, come già in Siria e in Ucraina, a segnalare la volontà di Mosca di riaffermarsi potenza mediorientale e mediterranea. Con il retropensiero di installarsi in quella terra di nessuno, possibilmente in modo permanente (basi). A completare una collana di perle che parte dai porti siriani e via Egitto potrebbe estendersi a ridosso delle coste italiane.

Qui sta il vero significato dello scontro in atto. Non conta tanto se prevalgano i cirenaici o i misuratini o chissà quale altra milizia, ma chi si copre alle loro spalle, usandoli come propri agenti. Ed essendone usato. Mentre fino a un anno fa la partita della guerra indiretta sembrava essenzialmente di matrice araba del Golfo (qatarioti in appoggio di al Serraj, emiratini ed egiziani di Haftar), da qualche tempo sono in campo i pesi mediomassimi — i massimi, gli americani, stanno un passo indietro, a godersi lo spettacolo, salvo intervenire in caso di estrema necessità (improbabile). Lo scontro indiretto vede in campo turchi contro russi. Se Putin scommette sul volubile generale a capo del fronte cirenaico, Erdogan punta su al Serraj, o meglio sulle milizie di Misurata, senza le quali Tripoli sarebbe già caduta. Con il quale ha stipulato un improbabile accordo di cooperazione marittima, che permetterebbe fra l’altro ad Ankara di esibirsi in perforazioni sulla piattaforma continentale di Tripoli. Oltre a destabilizzare l’intera fascia mediterranea orientale e meridionale, dall’Egeo al Canale di Sicilia, minacciando i progetti energetici relativi, tra cui il gasdotto EastMed.

Il singolare riavvicinamento fra Ankara e Mosca rischia di incrinarsi nella partita di Tripoli, come già in Siria. A meno che, una volta spazzato via al Serraj (che alcuni vogliono già rifugiato a Tunisi), Erdogan e Putin non raggiungano un accordo per la spartizione di ciò che resterà della Libia. Comunque vada, pessime notizie per l’Italia. Dopo aver sostenuto per decenni Gheddafi, garante della relativa stabilità del suo Paese e quindi del controllo dei flussi migratori, il caos alle nostre frontiere marittime rischierebbe di sfociare nel radicamento russo-turco (o di uno dei due attori) nel nostro cortile di casa. Forse a quel punto scopriremo che nell’ex Libia Washington non ha ancora tirato i remi in barca. O forse no.

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1 risposta a LUCIO CARACCIOLO, Libia, il Paese che non c’è– REPUBBLICA DEL 14 DICEMBRE 2019 –pag. 34

  1. Donatella scrive:

    La Libia è la testimonianza della vergogna dei paesi europei. La mattanza contro Gheddafi è qualcosa di insostenibile non solo dal punto di vista politico ma anche e soprattutto morale. L’Italia della politica l’ha osannato fino a pochi mesi dalla mattanza.

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