repubblica del 8 dicembre 2019
Piero Terracina mostra il braccio ai giovani nella sala ad Auschwitz dove i deportati, spogliati, venivano tatuati
Approfondimento Storie Italiane
Addio a Piero, A-5506. La memoria di Auschwitz
08 DICEMBRE 2019
Morto a 91 anni Terracina. Sopravvissuto al lager, firmava col numero tatuato sul braccio. Deportato a 15 anni. A lungo in silenzio dopo il 1945, poi l’impegno instancabile per ricordare
DI UMBERTO GENTILONI
Era sfuggito alla grande razzia del 16 ottobre 1943 trovando un nascondiglio sicuro in uno scantinato a pochi passi da casa. Ma pochi mesi dopo l’inizio della fine. Viene arrestato da due SS che avevano ricevuto informazioni sicure sulla sua persona: Piero Terracina era ebreo, cacciato da scuola a dieci anni nell’ottobre 1938, rimane a Roma come gran parte della sua famiglia. Il 7 aprile 1944 l’irruzione in casa in un giorno di festa, la pasqua ebraica. La famiglia riunita in preghiera negli ultimi istanti di una vita interrotta e spezzata dalla tragedia della violenza nazista. Un intero nucleo famigliare venduto per poche lire, gli tremava la voce quando pensava “agli italiani, ai fascisti che avevano condannato a morte i suoi cari per un ritorno economico”.
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La deportazione
Vengono fatti salire su un’ambulanza e condotti al carcere di Regina Coeli, imprigionati nel terzo braccio prima del trasferimento a Fossoli. Il 16 maggio 1944 la partenza senza ritorno, destinazione Auschwitz Birkenau. Piero viene selezionato per entrare nel sistema. Un ragazzo robusto inviato al lavoro sulla rampa interna e poi assegnato a diverse squadre: al recupero delle carcasse degli aerei o alla realizzazione di canali interni scavati nel terreno. Il prigioniero ce la fa, esausto e indebolito arriva fino alla liquidazione del campo, “mesi indicibili” li chiama spesso nelle sue tante occasioni di testimonianza: “la rappresentazione dell’inferno, non quello dantesco ma quello realmente accaduto”. È solo, ha perso tutti: i genitori, i fratelli, lo zio, il nonno.
L’incontro con l’Armata rossa
Al momento della liberazione riesce a svicolare dalla colonna di prigionieri diretta all’interno del Reich incontrando così le prime avanguardie dell’Armata rossa, il 27 gennaio 1945. Ricorda quel giorno contro ogni retorica di facili celebrazioni da lieto fine: “Eravamo distrutti, inconsapevoli malati e affamati”. Neppure un sorriso da quei volti scavati e traumatizzati. Finisce in un gruppo di prigionieri diretto in Caucaso tra le truppe sovietiche, curato e rigenerato può cominciare a pensare a un possibile ritorno.Terracina a Roma spiega ai ragazzi le “pietre d’inciampo”
Gli anni del silenzio
Giunge a Roma nel dicembre 1945. Il suo numero impresso sull’avambraccio A-5506 diventa un nome, lo accompagnerà fino a ieri mattina, spesso compare con orgoglio a fianco della sua firma in bella calligrafia. E così ha inizio la vita del dopo. Per lungo tempo rimane in silenzio, curioso osservatore della realtà che lo circonda. Rivelerà di aver provato soggezione e ammirazione ascoltando Primo Levi nelle prime apparizioni pubbliche: “Ci rappresentava tutti”.
Poi una nuova svolta: le svastiche sui muri di Roma sul finire degli anni Ottanta del ‘900. Piero Terracina diventa così un instancabile testimone: studia, chiede letture e approfondimenti ai propri amici, non si accontenta dell’ufficialità delle ricorrenze. Torna ad Auschwitz più volte, nei viaggi della memoria o accompagnando studiosi che chiedono conferme, riscontri, verifica di ipotesi e situazioni. Un testimone consapevole, preoccupato di ogni cedimento alle logiche di vecchie o nuove discriminazioni.
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L’ostinazione della Memoria
Negli ultimi anni della sua vita, quando l’udito non funzionava più a dovere, si era concentrato sulla navigazione in rete: leggeva e commentava di tutto chiedendo pareri, consigli e non di rado sollevando denunce su “posizioni e giudizi che ritengo inaccettabili”. Voleva incontrare i più giovani, anche quando camminare era diventata una fatica. Prima di un viaggio fissava nella sua fitta agenda d’impegni una mattina per incontrare i partecipanti. Ho conservato le sue parole in occasione della partenza di una copiosa delegazione della Regione Lazio (aprile 2019). Nella mail la conferma dei numeri, del programma delle giornate e delle previsioni del tempo a Cracovia. Con discrezione chiedeva un parere sul testo che avrebbe letto, “so che lo hai già ascoltato ma ogni volta aggiungo dettagli e chiarisco alcuni passaggi”.
Ragione e cuore
La sua testimonianza ha una cifra rara, tiene insieme la ragione e il cuore, la conoscenza e la partecipazione: “Cari ragazzi, non posso accompagnarvi, i medici me lo sconsigliano. Ma è come se fossi con voi nei giorni che vi attendono. Fate tesoro di ciò che vedrete, siete tanti vi farete forza. Non sarà semplice ma ne varrà la pena”.
PIERO TERRACINA E SAMI MODIANO
Non si è mai piegato alla rassegnazione, “non si può chiedere a noi di perdonare i nostri carnefici”, confortato dalla grande amicizia con Sami Modiano, conosciuto ad Auschwitz: “Siamo fratelli, l’amicizia è la cosa più importante. Se il nostro esempio non è stato vano mi piacerebbe pensare che il valore della vita sia diventato per tutti un punto fermo. In ogni angolo del mondo, sulla terra e in mare”.
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