repubblica.it — 8 dicembre 2019
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Approfondimento Ilva.
Lo Stato dentro l’Ilva, ecco il piano di Palazzo Chigi
08 DICEMBRE 2019
Allo studio una complessa operazione che porterebbe Cassa depositi e prestiti, Snam e Arvedi a gestire l’impianto con Mittal. Confermato l’obiettivo di produrre 8 milioni di tonnellate di acciaio l’anno con un minore impatto ambientale e 1.800 esuberi
DI TOMMASO CIRIACO E ANNALISA CUZZOCREA
ROMA – Il piano del governo per salvare le acciaierie di Taranto e le migliaia di posti di lavoro che dipendono dalle sorti dell’ex-Ilva passa per un’operazione molto complessa con dentro un partner pubblico come Cassa depositi e prestiti, un’azienda controllata dallo Stato come Snam, il gruppo Arvedi di Cremona e Trieste e infine, ancora, ArcelorMittal.
Nessuna fuga degli indiani, nessuna lettera con l’offerta di un miliardo di euro pur di andar via, giurano al ministero dello Sviluppo. Dove invece si continua a trattare, nonostante l’annuncio della scorsa settimana dei 4700 esuberi non sia piaciuto affatto al governo, che imputa alla società franco-indiana il tentativo di alzare il prezzo per ottenere – ancora – il più possibile dalla trattativa.
L’obiettivo di Giuseppe Conte e Stefano Patuanelli è quello dichiarato fin dal primo giorno: ridurre al massimo i licenziamenti, certo. Ma soprattutto, cominciare una riconversione che parta proprio dalla produzione dell’acciaio con una tecnologia più pulita: il preridotto come materiale ferroso di base, sempre più gas al posto del carbone, un forno elettrico che sostituisca il pericoloso, e non ancora a norma, Altoforno 2.
Con l’obiettivo di produrre 8 milioni di tonnellate di acciaio all’anno, ma a un costo ambientale molto ridotto rispetto a quello attuale, che porta con sé un’altissima incidenza di tumori e malformazioni neonatali, quartieri assediati dalle polveri inquinanti e la disperazione di chi si trova da quarant’anni dentro un continuo ricatto: salute o lavoro.
Il progetto cui sta lavorando il ministro Patuanelli non è semplice perché prevede prima di tutto che ArcelorMittal ci stia, che accetti le immissioni di capitale che arriveranno attraverso Cdp e Snam e riduca gli esuberi drasticamente: a regime, il governo vorrebbe limitarli ai 1800 che sono rimasti nella vecchia amministrazione straordinaria e sono ora in cassa integrazione. Per loro, il Cantiere Taranto prevede anche un fondo straordinario da 50 milioni che consentirebbe di dare sgravi contributivi fino al 100% per tre anni a chi assume lavoratori provenienti dal polo siderurgico.
Tutti gli altri lavoratori dovrebbero essere mantenuti grazie a Snam (che è chiaramente cruciale per l’approvvigionamento del gas, risorsa più pregiata e costosa del carbone) e soprattutto a Cdp (si sta cercando un modo per evitare che l’intervento della Cassa si configuri come aiuto di Stato e incorra in sanzioni da parte della Commissione europea).
C’è poi il gruppo Arvedi, che il triestino Patuanelli conosce bene e che faceva parte della vecchia cordata interessata all’ex-Ilva, quell’Acciai Italia sconfitta da ArcelorMittal nella gara svolta quando al governo c’erano Paolo Gentiloni premier e Carlo Calenda ministro: l’ingresso della società che gestisce le acciaierie di Cremona e Trieste sarebbe fondamentale per la tecnologia necessaria alla riconversione. Sia per la creazione del forno elettrico che per l’uso del gas, un know how che Mittal non ha e che ha finora considerato troppo costoso.Il progetto è ambizioso e per niente semplice.
Servono 3,2 miliardi di investimenti complessivi in un arco temporale di 4-5 anni. Di questi, la parte che riguarderebbe lo Stato potrebbe essere di oltre mezzo miliardo. Se però andasse in porto, se la trattativa arrivasse davvero a un esito positivo, si potrebbe perfino tornare a parlare di una sorta di scudo penale che consenta di mantenere in funzione gli impianti mentre si procede al loro adeguamento: una forma di protezione più ampia che non riguarderebbe solo Taranto, come ha spiegato a Repubblica il vice di Patuanelli, Stefano Buffagni, convinto che a quel punto il Movimento 5 stelle non avrebbe problemi a farlo passare.
C’è però una parte del governo che non si fida di Mittal e teme che su Ilva possa accadere quanto già accaduto con Alitalia: che uno dei soci impegnati nel salvataggio si sfili all’ultimo momento, mettendo a rischio il destino delle ventimila famiglie interessate (considerando anche l’indotto). E a non fidarsi sono anche i lavoratori: alle 23 di stasera cominceranno le 32 ore di sciopero indette da Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm.
La protesta culminerà domani con la manifestazione nazionale di Roma, dove da Taranto sono pronti ad arrivare 15 pullman. Oggi al Mise si incontreranno i commissari di Ilva in amministrazione straordinaria e il negoziatore incaricato dal governo, Francesco Caio, presidente Saipem ed ex ad Poste Italiane. Domani, è invece previsto un nuovo importante incontro con l’ad di ArcelorMittal Italia Lucia Morselli.
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Questo piano mi sembra ragionevole, per quanto poco ne possa capire.