REPUBBLICA DEL 31 OTTOBRE 2019 –pag. 34-35
Favolosi quei palchi della Scala
A Milano una mostra al Museo Teatrale celebra una storia che intreccia musica, politica, costume. E che racconta le stagioni dell’Italia attraverso le vicende degli spettatori, più o meno celebri, avvicendatisi per due secoli tra i velluti del tempio dell’opera
di Natalia Aspesi
ARTHUR RUBINSTEIN ALLA SCALA –FARABOLA FOTO
MILANO
Con le spalle al sipario, la scenografia dei palchi è di solenne splendore: quattro ordini più una galleria e il loggione, rosso acceso di broccati e velluti, oro a bassorilievi con draghi e volute ed arpe e stemmi, sfolgorio di luci; e quel senso di mistero inquietante che viene dal vuoto, dal silenzio, di un luogo bellissimo destinato alla folla, alla musica, alla storia, a ogni passione. Le fotografie geniali di Giovanni Hänninen nelle ore dei fantasmi (dell’opera) esaltano il racconto immaginario delle sue notti di fasto, vitalità, chiacchiere ed emozioni della mostra Nei palchi della Scala. Storie milanesi al Museo Teatrale (dall’8 novembre al 20 maggio 2020) diretto da Donatella Brunazzi: dall’inaugurazione del 1778 all’esproprio da parte del Comune negli anni 1920, protagonisti non il mondo della musica e dei suoi divi, ma quello degli spettatori, i palchi che si fanno teatro più del palcoscenico. La mostra curata da Pier Luigi Pizzi, assistente Mattia Palma più una quantità di specialisti, è completata da una mappa digitale in rete dal 7 dicembre (ricerca degli allievi del Conservatorio curata da Franco Pulcini).
Guardarsi, farsi guardare, nel gioco delle pareti di specchio, esibire bellezza, ricchezza, potere ma non solo: il teatro è il regno delle signore, il salotto quotidiano dove ricevere gli amici di casta ma anche gli intellettuali, gli illuministi, i patrioti. Nello sfolgorio di migliaia di candele, si affaccia la storia di una nazione che ancora non c’è, il dominio austriaco su Milano, Napoleone che si fa re d’Italia in Duomo, travolto dalla Restaurazione asburgica, il Risorgimento, le Cinque giornate di Milano, e dopo l’Unità, la sanguinosa repressione del 1898 perpetrata dal generale Bava Beccaris; la guerra mondiale senza luci e con i primi raid aerei, gli anni del socialismo e i fasci in azione.
Le signore della Scala, dette appunto salonnière, quasi sempre aristocratiche ma anche ballerine, cantanti, caffettiere, diventate mogli di aristocratici, di banchieri e industriali tessili, infine di commercianti arricchiti, hanno per la loro bellezza e intelligenza vite tumultuose, un marito dietro l’altro, vedovanze, annullamenti, celebri amanti, figli fuori dal matrimonio, sono al centro di scontri letterari e artistici, di trame politiche, di sostegno ai rivoluzionari (alcune poi al giovanotto Mussolini); ma riparano i loro eccessi di vivacità e spreco con la beneficenza in vita e lasciando in eredità palazzi, tenute, talvolta tutte le loro vaste ricchezze alle tante istituzioni caritatevoli di Milano: e per esempio la contessa Teresa Giorgi Oppizzoni Paceco, palchettista dal 1844 al 1857, ritratta da Giuseppe Landriani, lascia i suoi averi ai Luoghi Pii Elemosinieri (dall’archivio meraviglioso della storia di Milano oggi di proprietà Golgi- Redaelli). I sensi di colpa delle opulente signore soccorrono l’Ospedale Fatebenefratelli e Sorelle, la Società Edificatrice di Case Operaie, gli Istituti delle Figlie di Carità e dei Bambini Rachitici, la Società per lo Spurgo dei Pozzi Neri, quella dei Sacerdoti Malati per Imbecillità e Demenza, i tanti Rifugi Notturni per i senzatetto, ecc.; un immenso mondo di povertà e abbandono che non ha confini.
INAUGURAZIONE DELLA STAGIONE LIRICA 1957-58 ::
Bastianini, Di Stefano, Maria Callas ed Eugenia Ratti applauditi al termine di “Un ballo in maschera” di Verdi–FOTO TIGITOURING
La mostra alterna i ritratti delle signore che privilegiano Hayez, come la patriota Cristina di Barbiano Belgiojoso Trivulzio o Felicina Caglio Perego di Cremnago, (le signore hanno una quantità di nomi) a quelli dei loro ospiti famosi, spesso amanti come Ugo Foscolo invitato da Antonietta Fagnani Arese. E poi Stendhal, Parini, Verri, Vincenzo Monti. C’è il biglietto di Verdi a Giulio Ricordi, «Casomai un individuo senza guanti si decidesse a venire stasera ci sarebbe un posto nel suo palco?». Il primo ospite del grande palco reale è nel 1778 l’arciduca Ferdinando, figlio dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria e governatore della Lombardia, e da allora chi c’è c’è.
TOTI DEL MONTE- FARABOLA FOTO
Nelle gigantografie si affacciano in gran pompa il presidente francese Charles De Gaulle con l’italiano Giovanni Gronchi, la cancelliera Angela Merkel con il premier Romano Prodi e la sindaca Letizia Moratti, Juan Carlos di Spagna solo, la regina Elisabetta II e consorte, e in altra occasione il principe Carlo che applaude accanto a Diana giovanissima con diadema. Manca la storica quanto unica apparizione in un luogo musicale di Berlusconi premier, circondato da suoi pari albanesi o croati (con l’allora consorte Veronica, bellissima e ingioiellata). In compenso, in prima fila in platea, circondato da cardinali musoni, c’è papa Benedetto XVI dai ricciolini bianchi e di bianco vestito. C’è pure il documento fotografico della vocazione all’intrigo passionale dell’opera, cioè una meravigliosa, gioiosa Maria Callas, il corpo sottile fasciato di rasi nel Poliuto di Donizetti (1960), affacciata al palcoscenico a un metro dal palco di proscenio dove Aristotele Onassis si nasconde dietro Grace Kelly e il principe Ranieri.
MARIA CALLAS E MARIO DEL MONACO, FARABOLA FOTO
Ritratti, documenti, incisioni, fotografie, giochi da tavolo usati nel foyer, dove anche Alessandro Manzoni giocava d’azzardo, video, persino le tappezzerie di Fornasetti che riproducono i palchi, i disegni di Novello e Brunetta, qualche toilette d’epoca indossate da grandi dame. Il percorso si conclude con un montaggio fotografico a grandezza naturale, lungo una intera parete, ultimo omaggio al potere decorativo delle protagoniste della mondanità spregiudicata e lussuosa del socialismo craxiano, composta da 25 star dei 7 dicembre, abiti lunghi con strascico, pettinature barocche, gioielli, volpi e visoni bianchi: la Begum e Grace Kelly, Elizabeth Taylor e Valentina Cortese, Silvana Pampanini e Evelina Shapira e quella che era da ragazza,
LINA SOTIS
tra bellissime, la più bella di Milano, Lina Sotis.
UNA DELLE SALE DELL’ATTIGUO MUSEO TEATRALE DELLA SCALA–Opera propria
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C’è molto seduttiva Anna Casati Stampa di Soncino, che nel 1970 sarà uccisa assieme al giovane amante dal marito suicida. E c’è pure Giovanna Borletti Bergonzoni, che nell’inaugurazione dei 1967, tra le prime rivolte studentesche arrivò alla Scala in pagliaccetto, praticamente mutande, stivali alla coscia, il tutto di pizzo bianco, facendo svenire le maschere: non si sa se fu la sua audacia spiritosa o l’anno dopo le uova marce di Mario Capanna, a decretare la fine delle cappe di zibellino e dei diamanti anche tra i capelli nello sfarzo della sera dell’inaugurazione.
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Ricordo una canzone molto carina, cantata dal Quartetto Cetra:” In un vecchio palco della Scala, nel gennaio del ’93, spettacolo di gala, signore in decolté…”. E’ vero che la Scala era il posto dove si doveva sfoggiare, in occasione delle prime, il potere,il denaro, la bellezza ma, tipico di Milano, c’erano poi anche i biglietti che venivano venduti a prezzi speciali a impiegati e operai.