Nei codici Leicester e Arundel il genio immagina, con fredda razionalità, due scenari opposti per l’Apocalisse. “Il primo risente della concezione aristotelica del mondo fatto da sfere concentriche stratificate a seconda della pesantezza degli elementi: una sfera più interna, quella della terra, circondata dalle sfere dell’acqua, dell’aria e del fuoco” spiega Galluzzi. “Se in futuro l’acqua dovesse cessare il costante movimento che la fa mischiare con la terra nelle sue profondità, allora si riverserebbe su tutta la superficie del pianeta, lasciando in vita solo i pesci”. Oppure, teorizza Leonardo, sempre ragionando per estremi, l’acqua potrebbe filtrare tutta sotto la crosta terrestre. “In questo caso, per ragioni puramente meccaniche, per far posto alla massa d’acqua al centro del pianeta, la terra dovrebbe salire verso l’alto, sollevandosi fino a toccare la sfera del fuoco. L’esito, per Leonardo, è che “agli omini, dopo molti ripari, converrà abbandonare la lor vita e mancherà la generazione umana””.
Due visioni opposte, ma accomunate da un’idea: “La convinzione che la Terra non sia stata creata per l’uomo, visto che tali accadimenti ne cancellerebbero l’esistenza” spiega Galluzzi. “Leonardo non appartiene al coro antropocentrico dei suoi contemporanei. Per lui l’uomo è una creatura come le altre, e la natura è del tutto insensibile alle sue speranze e aspettative”. Una posizione eretica per l’epoca, che però non attirerà su Leonardo gli strali della Chiesa. “Lo ha protetto il fatto di aver consegnato quelle idee a scritti concepiti per uso esclusivamente personale e di difficilissima lettura, sia per la scrittura da destra verso sinistra che per il carattere frammentario delle sue osservazioni. “Erano pensieri segreti, come quelli che si confidano a un diario non aspettandosi che qualcun altro li legga”.
Soprattutto negli scritti del codice Leicester (il manoscritto di proprietà di Bill Gates che sarà esposto agli Uffizi dal 30 ottobre, insieme a ricostruzioni e animazioni in 3D delle idee di Leonardo) si vedono le ardite intuizioni geologiche di Leonardo, anche queste in aperta – e spesso pungente – contrapposizione sia con la pseudoscienza del suo tempo che con la religione. L’esempio più interessante è l’indagine scientifica con cui affronta un grande mistero: la presenza di fossili marini su colli molto lontani dal mare. Leonardo non accetta la soluzione biblica del mistero, ovvero il Diluvio universale.
“Nel codice Leicester irride l’affermazione della Genesi secondo cui le piogge si protrassero per 40 giorni, aggiungendo ironico “Come disse chi tenne conto d’esso tempo”. Altrettanto sferzante il suo commento al passo dove si precisa che le acque superarono le cime delle montagne più alte di 2,30 metri: “Come scrisse chi li misurò”” dice Galluzzi. “E Leonardo si fa beffe anche delle curiose spiegazioni alternative del suo tempo. Ad esempio la teoria che la natura, piena di esuberanti forze plastiche, si divertirebbe, come un’entità dotata di arbitrio, a modellare forme di creature marine in luoghi diversi dal loro habitat naturale, solo così, per divertimento”.
Mentre per Leonardo la natura non scherza mai: “Non può creare ex novo un fossile marino in terre asciutte perché ciò è contrario alle sue leggi, che applica sempre in modo rigoroso e senza eccezioni”. Leonardo rifiuta con sarcasmo sferzante (“Questa tal opinione non sta in cervelli di troppo discorso”) anche l’ipotesi degli influssi astrologici, secondo cui le costellazioni, ad esempio quella del Granchio, potevano imprimere la loro immagine sulla materia terrestre, generando quei fossili così singolarmente fuori posto. “Fossili in cui Leonardo si imbatteva, con ogni probabilità, già da ragazzino passeggiando per i colli delle sue terre, circondati dalla catena del Montalbano, dove basta scavare appena in superficie per far emergere conchiglie che Leonardo chiama “nicchi”” spiega Galluzzi. “L’interrogativo sulla loro provenienza gli è rimasto in mente quando ha iniziato a fissare il suo sguardo sull’elemento che lo affascinava di più: l’acqua. Forza cosmica che si muove in continuazione, che erode la roccia e provoca crolli e disastri”.
Per capire come il mare abbia portato le conchiglie sui monti toscani, inizia la sua indagine sulle mappe: “Ricorre alla cartografia di Tolomeo. Cosa non banale, perché mentre la cartografia serviva soprattutto a misurare le distanze, Leonardo la usa per studiare la morfologia dei territori, dall’Europa fino al Mar Rosso, e per capire fino a dove potessero diffondersi le acque al salire del livello del mare” spiega Galluzzi. “Mettendo insieme fossili e orografia, deduce che nell’antichità le pianure dell’intera Europa erano coperte dalle acque. Una visione straordinaria: in parte onirica, perché non si basa su nessuna osservazione o misurazione diretta, ma anche lucidamente razionale perché vede la Terra come un contenitore dotato di diversi livelli, con l’acqua che riempie gli avvallamenti e si ferma di fronte allo sbarramento dei rilievi”.
È così che Leonardo risolve il mistero dei “nicchi” sulle colline della sua gioventù. “Visto che i fossili erano presenti solo a valle del macigno della Golfolina, dove l’Arno ha una strettoia, capì che in tempi remotissimi le acque del Tirreno dovevano arrivare sin lì, ricoprendo buona parte della Toscana. Quello stesso enorme macigno, e le colline del Montalbano circostanti, impedivano anche all’Arno di sfociare liberamente, oltrepassandolo. Col tempo il fiume si aprì un varco erodendo e assottigliando il masso, e tutti i sedimenti fangosi che l’Arno trasportò giù dai monti invasero la pianura occupata dal mare e fecero retrocedere via via il Tirreno, fino a disegnare la linea costiera attuale. Lasciando le conchiglie”. Un’acutissima investigazione due secoli prima che nascesse la geologia.
Sul Venerdì del 28 settembre 2018