+++ LORENZO TROMBETTA, LIMESONLINE – 24 OTTOBRE 2019 :: È esplosa la periferia del Libano + CARTINE DI LAURA CANALI + IMMAGINI DEI POLITICI ++ ARTICOLI COLLEGATI ( APRIBILI )

 

 

LIMESONLINE – 24 OTTOBRE 2019

http://www.limesonline.com/libano-proteste-hezbollah-nasrallah/114909

 

 

È esplosa la periferia del Libano

Dettaglio di una carta di Laura Canali

Dettaglio di una carta di Laura Canali.

 

 

Le proteste scoppiate in molte regioni del paese dei Cedri seguono logiche transconfessionali e slegate dallo scontro regionale Iran-Arabia Saudita. Anche Hezbollah è nel mirino.

 

di Lorenzo Trombetta

La rivolta popolare in corso da giorni in diverse regioni del Libano è il risultato di decenni di malgoverno a livello centrale e locale. A differenza di altre ondate di proteste socio-economiche e politiche che periodicamente si sono verificate negli ultimi quindici anni, questo “autunno caldo” sarà ricordato per l’ampiezza geografica della mobilitazione e la sua trasversalità comunitaria e ideologica.


A rivoltarsi non è stato e non è solo il centro politico e istituzionale, incarnato dalle due piazze simbolo di Beirut (Piazza Riyad as-Solh e Piazza dei Martiri), ma soprattutto la periferia: quella di cittadine minori da un punto di vista amministrativo ma cruciali crocevia dei traffici, come Bint Jbeil, Juniye, Aley, Hermel, Baaqline, Kfar Rumman, Jiyye, delle città medio-grandi e dei capoluoghi amministrativi di distretto e di regione come Batrun, Nabatiye, Jbayl (Byblos), Jezzine, Baalbek, Tiro, Sidone, Tripoli.


Esasperata da anni e provocata dalla presunta malagestione governativa della crisi degli incendi boschivi di metà ottobre, la periferia geografica, politica e socio-economica del Libano è esplosa. È successo la sera di giovedì 17 ottobre, quando il governo ha annunciato la volontà di introdurre una nuova tassa sull’uso di WhatsApp e di altre piattaforme di messaggistica.


Come ricorda Sara Fregonese, docente di geografia politica all’università di Birmingham e studiosa di conflitti urbani (autrice del recentissimo War and the City. Urban Geopolitcs in Lebanon), “la tassa su WhatsApp è stata solo la punta dell’iceberg in un paese in cui l’infrastruttura e il sistema ecologico si stanno letteralmente sgretolando”. Questo crollo, spiega Fregonese a Limesonline, avviene “sotto il peso di politiche inadeguate o del tutto assenti, fatte di corruzione, abusi edilizi e ambientali.

Politiche accompagnate da una logica di mercato vorace portata avanti, ad esempio, con la privatizzazione di gran parte della costa libanese e con l’apertura – specialmente dopo la fine della guerra civile e l’inizio del boom edilizio della ricostruzione – di cave (anche illegali) in varie zone montuose, aumentando notevolmente il rischio di alluvioni e valanghe”. In questo quadro, la crisi dei rifiuti del 2015, con le conseguenti violente proteste di allora, va letta nello stesso contesto del profondo disagio sociale riemerso con rabbia in questi giorni.


Guardando la foga con la quale la periferia libanese scende in piazza e la determinazione con cui tenta di appropriarsi degli spazi pubblici e delle congestionate strade del paese, non possono non tornare in mente alcune dinamiche soggiacenti ad altre rivolte popolari verificatesi negli ultimi anni in tutta la regione del Mediterraneo meridionale e orientale.


Il patto sociale tra governo centrale, autorità locali, élite imprenditoriali, notabilato e gente comune si è prima incrinato e poi spezzato. Per diverse ragioni, con responsabilità differenti e in contesti solo in apparenza simili tra loro, le élites locali non hanno più saputo e potuto svolgere il cruciale ruolo di congiunzione tra i diversi gruppi sociali e il centro del potere, rappresentato da politici, vertici degli apparati di sicurezza, affaristi, banchieri, intermediari di potenze regionali e internazionali.

 

 

GUERRA CIVILE IN LIBANO — 1975 – 90

 

Questo meccanismo si era manifestato anche in Libano già prima dello scoppio della guerra civile del 1975-90, ma è stato durante gli anni del conflitto e dopo la sua fine che si è accentuato: con un crescendo di esclusione delle periferie dal processo di rappresentanza politica e di ridistribuzione delle ricchezze, fino ad arrivare a una sempre più evidente e scabrosa latitanza dello Stato nel fornire i servizi essenziali. La crisi economica mondiale e la guerra nella vicina Siria, con le sue ripercussioni dirette in termini di pressione sociale, hanno aggiunto benzina sul fuoco.


Il ricorso alla retorica identitaria (“via i siriani”, visti come unica grande causa dei mali del Libano),a quella del nemico esterno (“attenzione al terrorismo dell’Isis”; “pericolo dal nemico sionista!”) e a quella confessionalista (“i cristiani del Medio Oriente nel mirino”; “gli sciiti vittime dell’ingiustizia”, “i sunniti abbandonati dai loro leader”) non ha più funzionato. Non è un caso che il politico su cui in questi giorni più si sono riversati gli insulti dei libanesi in rivolta sia il ministro degli Esteri Gibran Basil, genero del presidente Michel Aoun. Basil da anni fa della retorica identitaria, confessionalista e razzista il suo cavallo di battaglia. Come molti altri, ha sbagliato nel pensare che ragliare contro i profughi siriani e i palestinesi potesse nascondere l’incapacità di governare dell’intera classe politica. Certamente, Basil è un obiettivo fin troppo facile delle proteste. Le sue responsabilità oggettive sono minime rispetto a quelle accumulate da alcuni dinosauri del sistema politico-confessionale libanese, come il presidente del parlamento, lo sciita Nabih Berri, e il leader druso Walid Jumblat.

 

 

IMMAGINI DEI PRINCIPALI POLITICI:

 

 

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Gebran Bassil ( Batrun, Libano, 1970 ), Presidente del Movimento Patriottico Libero, attualmente e’ Ministro degli Esteri

 

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NABIH BERRIFreetown28 gennaio 1938) è un politico libanese, di fede musulmana sciita.

Dal 1990 è Presidente del Parlamento libanese e dal 1980 è capo politico del movimento libanese a predominanza sciita Amal.

 

 

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Walid Jumblatt Beirut7 agosto 1949) è un politico libanese, nonché uno dei massimi leader della comunità drusa.

 

 

Hassan Nasrallah (Bourj Hammoud30 agosto 1960), è un politico libanese, segretario del partito e gruppo militare sciita Hezbollah.

 

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Michel Aoun Haret Hreik19 febbraio 1935) è un generale e politico libanese.

È Presidente del Libano dal 31 ottobre 2016; aveva ricoperto questa carica ad interim dal 22 settembre 1988 al 13 ottobre 1990.

 

 

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Saʿd al-Dīn Ḥarīrī (Riyad18 aprile 1970) è un politico libanesePrimo ministro del Libano dal 18 dicembre 2016; aveva già ricoperto questo incarico dal giugno 2009 al gennaio 2011. Secondo figlio di Rafīq al-Ḥarīrī, ex primo ministro assassinato nel 2005, dalla morte del padre è capo della coalizione politica Movimento il Futuro, movimento sunnita creato e guidato dal padre.

 


Uno degli slogan più popolari tra i manifestanti recita: “Tutti! E con ‘tutti’ intendiamo davvero tutti!” (Kellon! W kellon yaani kellon!), in riferimento al fatto che non bisogna distinguere tra leader corrotti e leader non corrotti. Sono tutti sul banco degli imputati. Anche il leader degli Hezbollah Hasan Nasrallah, il capo di Stato Michel Aoun (suo alleato) e il premier Saad Hariri. Sono sotto accusa tutti i deputati, i ministri e gli ex ministri, i funzionari di alto livello. “Tutti! Kellon!”.


Così per la prima volta sono stati presi di mira gli uffici di deputati di Hezbollah nella periferia meridionale di Beirut, roccaforte del movimento sciita che da anni partecipa con i suoi ministri al governo libanese. È stata attaccata una delle proprietà della moglie di Berri, Randa: il ben noto stabilimento balneare Rest House, meta favorita dell’alta borghesia del sud del paese, degli espatriati occidentali e russi, dei militari del contingente Onu Unifil e dei loro familiari in visita. In alcune città del sud del paese sono state prese di mira le sedi del partito Amal, guidato da Berri. Il presidente Aoun, che dal 1990 al 2005 aveva costruito la sua legittimità dall’esilio francese puntando sulla sua estraneità alla corruzione che aveva caratterizzato la fase post-guerra civile, è ora definito a gran voce “uno dei ladri”.


Questi segnali hanno spinto gli osservatori a definire “senza precedenti” le proteste. Come sottolinea ancora Sara Fregonese, gli eventi in corso dimostrano al tempo stesso delle continuità ma anche delle differenze con altri episodi di disordine civile in Libano. “Spesso quando scoppiano tumulti, diversi cosiddetti esperti di relazioni internazionali si affrettano a collegare eventi di disordine urbano, o comunque locale, alla mappa geopolitica più ampia”, afferma Fregonese. “Gli scontri armati del maggio del 2008 (anch’essi preceduti da proteste) sono stati subito associati alla scacchiera geopolitica mediorientale, in particolare la rivalità tra Arabia Saudita e Iran”. “Così Beirut è descritta soltanto come un campo di battaglia di prossimità della presunta ‘vera’ guerra che sarebbe combattuta sulla più ampia scala regionale. In realtà – prosegue la studiosa basata a Birmingham – nel 2008 sono state anche controversie molto locali, radicate sul territorio e collegate alle infrastrutture e all’uso della tecnologia, a scatenare i disordini tra parti politiche contrapposte. Oggi invece è sempre più difficile mappare la geografia della protesta in Libano secondo le linee delle rivalità geopolitiche regionali”.

 


Quest’analisi rafforza la lettura avanzata da un’altra studiosa italiana di Libano contemporaneo, Chiara Calabrese. Basata a Parigi, dove lavora all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales (Ehess), Calabrese si dedica da anni allo studio delle dinamiche della militanza di base degli Hezbollah e tre anni fa ha pubblicato il volume Militer au Hezbollah. Ethnographie d’un engagement dans la banlieue sud de Beyrouth. Parlando con Limesonline, Calabrese evidenzia come sia ormai emersa pubblicamente una frattura tra i deputati del Partito di Dio nel parlamento libanese e la base del movimento. Quest’ultima è formata non dai simpatizzanti e seguagi di Hezbollah ma “dai combattenti, moltissimi dei quali – ricorda Calabrese – impegnati da anni nella guerra in Siria, e da tutta una serie di funzionari organici al partito, che hanno seguito corsi di formazione e hanno diverse responsabilità in seno all’organizzazione”. Questa frattura, prosegue Calabrese, si registra non in tutta la base di Hezbollah ma in alcune sue componenti ed era già visibile dopo la guerra del 2006 contro Israele. Sin da allora i deputati del partito sono stati sempre più percepiti come “arricchiti” e lontani dalle classi popolari. “La novità rispetto al passato è che alcuni membri della base hanno preso coscienza di questa frattura e che la si può esprimere pubblicamente, scendendo in piazza. Prima era invece un discorso privato”. È però importante sottolineare che finora Nasrallah rimane fuori dalle critiche espresse pubblicamente dalla base del partito. Anzi, afferma Calabrese, la sua figura di uomo pio e retto non è messa in discussione. Inoltre, aggiunge la studiosa italiana, nessuno mette in dubbio le basi ideologiche del partito.

 


Carta di Laura Canali, 2006.

Carta di Laura Canali, 2006.


Il passaggio dalla dimensione privata a quella pubblica dell’espressione del dissenso è uno dei fenomeni che caratterizzano altre comunità politiche e confessionali libanesi. In questo senso, come afferma Fregonese, “quello che sta cambiando è che la protesta di questi giorni si sta spostando da un asse confessionale (sostenitori e militanti armati affiliati a partiti che combattono gli uni contro gli altri) a uno più popolare e transconfessionale.


Ecco perché, aggiunge Fregonese, “le narrazioni confessionali o comunque tradizionali, come quelle di partito, non servono a molto per interpretare gli eventi di questi giorni. Dobbiamo invece fare attenzione agli elementi dell’ecologia come l’acqua (mare e inondazioni), la sabbia (cave), il fuoco (incendi), l’elettricità (razionata, mancante), le telecomunicazioni (care e tassate) e all’uso che la politica fa di questi elementi: li lottizza, li privatizza, li usa indiscriminatamente per fini di mercato”. Per interpretare i disordini odierni in Libano, conclude Fregonese, “bisogna guardare non tanto alle divisioni comunitarie, quanto alla politica ecologica e all’impatto che su di essa hanno avuto – e hanno – le pratiche neoliberali”.


Questo disastro accomuna tutte le periferie libanesi. A proposito di Hezbollah, non sono solo il profondo sud del Jabal Amil sciita o la periferia meridionale di Beirut ad aver partecipato alla proteste ma anche la valle orientale della Biqaa, altra roccaforte militare e politica del movimento affacciata sulla Siria centrale e sulla valle di Homs. ( GUARDA LA CARTINA SOPRA )


Lungo le fonti del fiume Oronte, tra Baalbeck e Hermel, le comunità locali sono scese in piazza sin da giovedì 17 ottobre e hanno partecipato in maniera coesa alle prime 48 ore di mobilitazione. Il 19 ottobre il leader di Hezbollah Nasrallah ha tenuto un discorso in diretta tv in cui non ha soltanto escluso ogni sostegno del movimento alla richiesta di dimissioni del governo ma ha anche detto chiaramente che il partito non gradisce questo tipo di proteste di piazza. A Baalbeck e in altre zone della Biqaa il malcontento cova da tempo, come in altre regioni dominate dagli Hezbollah. Ma il discorso di Nasrallah ha comunque segnato uno spartiacque tra chi ha continuato a manifestare e chi invece ha preferito seguire l’ordine di scuderia. Questa spaccatura ha indebolito la mobilitazione impedendogli di consolidarsi negli spazi pubblici di Baalbeck e Hermel, gradualmente sparite dalla mappa geografica delle proteste. Mentre si scrive però (24 ottobre) a Baalbeck si è tornato a manifestare.


Un’altra periferia che si è sollevata in maniera sorprendente è Tripoli, da anni periodicamente descritta come una roccaforte dell’integralismo sunnita, capitale di quel nord e nord-est libanese percepito come conservatore, retrogrado, periferico, vicino – forse troppo – ai centri della rivolta popolare siriana. È la Tripoli dei sanguinosi scontri di Dinniye (1999-2000), della guerra interna contro gli estremisti di Nahr al-Bared (2007), degli attentati terroristici, luogo di origine dei presunti attentatori contro la roccaforte di Hezbollah a Beirut.


“La stessa Tripoli descritta come Baghdad negli anni più bui della guerra, da giorni canta ininterrottamente invocando tutte le località del Libano”, afferma Estella Carpi, studiosa di Libano all’University College di Londra. Carpi – che di recente ha vissuto a lungo tra Beirut, Tripoli e il nord del paese e che l’anno scorso ha pubblicato in italiano il volume Specchi Scomodi. Etnografia delle migrazioni forzate nel Libano contemporaneo racconta come la mobilitazione nella piazza an-Nur di Tripoli, con al centro la scritta gigante “Iddio” (Allah), abbia il senso di un “momento di coesione nazionale” dal contenuto simbolico molto significativo. “Da Tripoli cantano anche per la periferia sud di Beirut e questo la dice lunga sulla forza di questa mobilitazione”. Certamente, afferma Carpi, “bisogna essere oggi molto cauti nel giudicare questi primi giorni di proteste”. Perché ogni individuo e gruppo sociale scesi in piazza, pur parlando a nome del ‘popolo libanese’, vede comunque in queste manifestazioni quel che ha interesse a vedere. Diversi osservatori a Beirut e all’estero sottolineano, come già successo in occasione delle rivolte arabe del 2010 e del 2011, quanto queste masse di manifestanti non esprimano una chiara e articolata visione politica che segua l’eventuale “caduta del regime” (ash-Shaab yurid isqat an-nizam!).


In apparenza queste proteste non hanno leader, le richieste “del popolo” sono tanto ambiziose quanto vaghe e per certi aspetti irrealizzabili nel breve e medio termine. Persino intellettuali e attivisti libanesi di esperienza sembrano per ora trascinati dall’euforia della thawra(“rivoluzione” ma anche “rivolta”) e non appaiono capaci di articolare delle concrete proposte per guidare un processo di radicale cambiamento dello statu quo.


Si parla di “governo di tecnocrati”, “di esecutivo di salvezza nazionale”, di “elezioni anticipate” con “nuove regole”, di “dimissioni del capo dello Stato”. Ma in pochi si rifanno, per esempio, all’attuale Costituzione e provano ad analizzare questo testo cercandovi appigli per modificare le regole del gioco senza far necessariamente far saltare tutto il paese. In pochi mettono in ordine quelli che potrebbero essere i passi necessari per evitare di dissipare, di fronte alla naturale resistenza dell’attuale sistema di potere, il capitale umano, sociale e comunitario che si sta accumulando in questi pochi giorni di mobilitazione.


Carta di Laura Canali, 2018

Carta di Laura Canali, 2018

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