GIULIA VILLORESI, REPUBBLICA.IT / IL VENERDI’ DEL 17 GENNAIO 2018::: Il geniale segreto del cervello, il neurobiologo olandese DICK SWAAB

 

 

Noi siamo il nostro cervello. Come pensiamo, soffriamo e amiamo

Dick Swaab

Articolo acquistabile con 18App Carta del Docente
Traduttore:David Santoro
Editore:Elliot
Collana:Antidoti
Anno edizione: 2011
In commercio dal: 14 giugno 2011
Pagine: 455 p., ill. , Brossura
25 EURO PREZZO PIENO
Come è fatto un cervello innamorato? Si può ridere senza emozioni? Perché amiamo (oppure odiamo) lo sport? Esiste davvero il libero arbitrio? A queste e a moltissime altre domande sulla natura umana risponde Dick Swaab, uno dei più importanti neurologi europei contemporanei, secondo il quale conoscere il cervello significa affrontare un viaggio alla ricerca di se stessi. Il nostro carattere, i nostri limiti e il nostro orientamento sessuale sono in gran parte già stabiliti durante la gestazione, ma innumerevoli sono le trasformazioni neurologiche che influenzano la nostra personalità fino alle ultime fasi della vita adulta. L’autore traccia così un quadro ampio e articolato degli influssi del cervello anche su territori inediti o insospettabili quali la moralità, la religiosità, il senso della giustizia e molti altri ancora, presentando per la prima volta in un volume unico i risultati delle sue quarantennali ricerche.

 

 

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Dick ‘Ferdinand’ Swaab (born 17 December 1944)  è un medico neurobiologo olandese (ricerca sul cervello ), professore all’università di Amsterdam

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NEL 1980–FOTO Fernando Pereira (ANEFO)

 

https://en.wikipedia.org/wiki/Dick_Swaab

 

REPUBBLICA.IT / IL VENERDI’ DEL 17 GENNAIO 2018

https://rep.repubblica.it/pwa/venerdi/2018/01/17/news/il_geniale_segreto_del_cervello-186665635/

 

 

 

il venerdì  Scienza

Il geniale segreto del cervello

Dick Swaab, neurobiologo olandese nemico del politically correct, ora parla di creatività: frutto anzitutto del corredo genetico e dello sviluppo nell’utero, dice. Poi, si può fare poco

 

 

Noi siamo la mera manifestazione del nostro cervello. È la posizione di Dick Swaab, professore emerito di Neurobiologia all’Università di Amsterdam e al Max-Planck-Institut di Monaco e fondatore della Banca olandese del cervello, che dal 1985 raccoglie tessuti cerebrali per la ricerca clinica e neuropatologica. Lavoratore infaticabile, e per quasi trent’anni direttore dell’Istituto olandese di ricerca sul cervello, il neurobiologo è anche un inveterato polemista e un nemico del politically correct.

Nel suo bestseller Noi siamo il nostro cervello – tradotto in quindici Paesi, tra cui l’Italia (dove è uscito per Elliot nel 2011) – affermava che la depressione e l’impulsività possono essere determinate dalla vita che ha condotto nostra madre quando eravamo nell’utero, e che molte differenze di genere non dipendono dalla cultura ma da un cervello sessualmente differenziato, il che gli ha procurato la critica di “neurosessismo”. E non solo quella. Swaab, infatti, è solito trattare temi delicati come questi senza giri di parole, ma anche – e questo ha suscitato scalpore – senza citare gli studi di riferimento. Per qualcuno un azzardo. Per altri una scelta divulgativa del tutto legittima per chi ha alle spalle cinquant’anni di onorata carriera.

 

 

Il cervello creativo. Come l’uomo e il mondo si plasmano a vecenda

Dick Swaab

Articolo acquistabile con 18App Carta del Docente
Traduttore: David Santoro
Editore: Castelvecchi
Anno edizione: 2017
In commercio dal: 27 novembre 2017
Pagine: 608 p., ill. , Rilegato
35 EURO PREZZO PIENO

 

Non c’è niente di speciale nell’essere unici, lo siamo tutti. Uno dei massimi neurobiologi contemporanei (autore di “Noi siamo il nostro cervello”) ci guida in un nuovo viaggio attraverso le più recenti scoperte scientifiche sul funzionamento del cervello. In che modo un cervello si differenzia dall’altro? Cos’è la creatività? Come possiamo stimolarla? Come influiscono le malattie nervose sull’opera degli artisti? Perché alcuni trovano bella la musica atonale? Come fa l’ambiente a funzionare come una medicina? Si può davvero ritardare l’insorgere dell’Alzheimer? Con uno stile divulgativo, ricco di aneddoti e capace di chiarire con semplicità i più segreti meccanismi dell’attività cerebrale, Dick Swaab ci spiega in che modo la nostra creatività – e l’ambiente in cui la coltiviamo – può decidere la nostra salute e la nostra malattia, le nostre frustrazioni e le nostre felicità, i nostri fallimenti e i nostri successi.

 

 

 

Il tempo di far calmare le acque e Swaab è tornato a colpire con un nuovo libro, Il cervello creativo (Castelvecchi), titolo con cui si riferisce non solo al cervello degli individui di talento, ma al cervello tout court, che dà agli esseri umani un’eccezionale capacità di plasmare l’ambiente, di adattarlo ai propri bisogni, di renderlo stimolante per sé e i propri simili. “Quante volte mi sono sentito dire: deve esserci qualcosa di più del cervello” racconta Swaab riferendosi alle polemiche sul suo libro precedente. “Ma se con questo si intende l’ambiente, ogni neuroscienziato sa che le funzioni cerebrali sono in costante interazione con l’ambiente, per cui questa critica non ha senso. L’uomo è esposto a due flussi di informazioni: uno proviene dal mondo esterno e l’altro dal cervello. Creare nuove combinazioni con il materiale fornito da questi due flussi è l’essenza della creatività. Ed è proprio questo immenso potere creativo del nostro cervello ad aver forgiato l’ambiente culturale in cui viviamo. Per cui è vero che l’ambiente influenza il cervello, ma è comunque il cervello il punto di partenza”.

Scopo del libro è chiarire meglio questa interazione, tenendo conto di una prima, fondamentale precisazione: l’ambiente non è solo quello sociale, ma anche e prima di tutto quello “chimico” che incontriamo nell’utero. Qui, attraverso lo scambio tra il cervello in formazione e sostanze di varia natura (nutritive, ormonali, chimiche) verrebbero fissati tratti determinanti della persona. Il livello di aggressività, lo schema corporeo (l’immagine che abbiamo del nostro corpo e della sua posizione nello spazio), persino l’identità di genere (la sensazione di essere uomo o donna). “Anche l’orientamento sessuale” sostiene Swaab “viene fissato in modo permanente nelle strutture cerebrali prima della nascita. Durante questo periodo, oltre ai geni, possono svolgere un ruolo anche fattori ambientali, come un forte stress della donna durante la gravidanza, e le sostanze chimiche, come il fumo”. L’ambiente sociale, invece, non avrebbe alcun peso (l’insistenza su questo punto ha reso Swaab una sorta di icona dei diritti gay).

Rispetto ad altre caratteristiche dell’individuo Swaab attribuisce invece un ruolo centrale ai geni. Il quoziente intellettivo di un adulto, per esempio, sarebbe determinato geneticamente per oltre l’80 per cento e questa percentuale risulterebbe più evidente con l’età, probabilmente perché all’inizio della vita risulta più  forte il peso delle esperienze cognitive stimolanti esterne, ma poi queste vengono selezionate dall’individuo stesso, lasciando emergere il suo retroterra genetico nelle abilità d’apprendimento.

E la creatività, quella vera? Sul suo proverbiale rapporto con la vulnerabilità psichiatrica secondo Swaab c’è ancora molto da indagare. “Se si studiano le persone creative come gruppo a parte” dice “quelle più dotate corrono in effetti maggiori rischi di sviluppare una malattia psichiatrica. Se però si osserva l’intera popolazione, i creativi godono di una salute mentale migliore rispetto agli altri”. Dagli studi emergerebbe inoltre che gli scienziati geniali sono quelli che presentano meno psicopatologie, i filosofi quelli che ne hanno di più, mentre i compositori si collocano tra i due gruppi. La creatività artistica si associa più spesso a disturbi dell’umore di tipo maniacale ed euforico, quella scientifica al tipo depressivo.

Quanto alla relazione con l’intelligenza, secondo Swaab gli studi dicono che  la creatività, pur non esaurendosi con il QI, richiede comunque un quoziente intellettivo elevato, pari a circa 120. L’esercizio invece non servirebbe a granché: Swaab cita in proposito una recente meta-analisi effettuata su un campione di undicimila persone da cui è risultato che, nelle prestazioni professionali, l’esercizio spiegava meno dell’uno per cento delle differenze tra i soggetti. Il talento, quindi, dipenderebbe soprattutto dalla dotazione genetica e dallo sviluppo cerebrale iniziale; la pratica poi farebbe sì che la struttura del cervello si adatti all’attività esercitata. Per alcune professioni, come quella del matematico, sembrerebbe valere quasi esclusivamente il talento. In altre, come il medico e l’architetto, l’esperienza avrebbe molta più importanza. La conclusione che si può trarre dalle ricerche sulla creatività, dice il neurobiologo, “è che si può esercitare con piacere la propria professione solo se si è scelto un campo che si accorda al modo in cui si è sviluppato il nostro cervello e in seguito lo si adatta ulteriormente al proprio lavoro”. Insomma se si segue la vocazione del proprio cervello creativo.

 

 

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