ALESSANDRO BARBERO, BARBARI- IMMIGRATI, PROFUGHI, DEPORTATI NELL’IMPERO ROMANO–LATERZA, CON UNA RECENSIONE DI CORRADO E DI SILVIA RONCHEY PER LA STAMPA :. l’antichità e oggi…

 

 

 

 

 

Barbari. Immigrati, profughi, deportati nell’impero romano

Alessandro Barbero

Editore:Laterza
Edizione: 9
Anno edizione: 2010
Formato: Tascabile
In commercio dal: 15 aprile 2010
Pagine: XVIII-337 p., Brossura
13 euro, prezzo pieno
“Un mondo che si considera prospero e civile, segnato da disuguaglianze e squilibri al suo interno, ma forte di un’amministrazione stabile e di un’economia integrata; all’esterno, popoli costretti a sopravvivere con risorse insufficienti, minacciati dalla fame e dalla guerra, e che sempre più spesso chiedono di entrare; una frontiera militarizzata per filtrare profughi e immigrati; e autorità di governo che debbono decidere volta per volta il comportamento da tenere verso queste emergenze, con una gamma di opzioni che va dall’allontanamento forzato all’accoglienza in massa, dalla fissazione di quote d’ingresso all’offerta di aiuti umanitari e posti di lavoro. Potrebbe sembrare una descrizione del nostro mondo, e invece è la situazione in cui si trovò per secoli l’impero romano di fronte ai barbari.” Per molto tempo la gestione di questo flusso di popoli attraverso i confini dell’Impero produce un equilibrio instabile ma funzionale, che garantisce ai Romani l’approvvigionamento di nuove leve per l’esercito e per la coltivazione dei campi, in cambio dell’assimilazione nei più grande “Stato” del pianeta.

In questo libro ho apprezzato forse più della attenta analisi storica l’interessante lavoro svolto dal prof. Barbero per evidenziare le analogie tra le attuali emergenze migratorie e l’epoca delle invasioni subite dall ‘impero romano. Ringrazio il prof. Barbero per questo lavoro che mi ha aiutato a vedere con uno sguardo più ampio ciò che i telegiornali propongono come normale notizia di cronaca.

 

 

Libri di Alessandro Barbero
Scrittore e storico italiano. Laureato in Storia Medioevale con Giovanni Tabacco, nel 1981, ha poi perfezionato i suoi studi alla Scuola Normale di Pisa sino al 1984. Ricercatore universitario dal 1984, diventa professore associato all’Università del Piemonte Orientale a Vercelli nel 1998, dove insegna Storia Medievale. Ha pubblicato romanzi e molti saggi di storia non solo medievale. Con il romanzo d’esordio, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle gentiluomo, ha vinto il Premio Strega nel 1996.
Collabora con La Stampa e Tuttolibri, con la rivista “Medioevo”, e con i programmi televisivi (“Superquark”) e radiofonici (“Alle otto della sera”) della RAI. Tra i suoi impegni si conta anche la direzione della “Storia d’Europa e del Mediterraneo” della Salerno Editrice. Tra i suoi titoli più recenti ricordiamo: Lepanto. La battaglia dei tre imperi(Laterza 2010), Il divano di Istanbul (Sellerio 2011), I prigionieri dei Savoia (Laterza 2012), Le ateniesi (Mondadori 2015), Costantino il vincitore (Salerno 2016).

 

 

SILVIA RONCHEY.IT / RECENSIONI

http://www.silviaronchey.it/recensioni/8/257/Barbari-immigrati-profughi-deportati-dellimpero-romano/

 

 

Recensioni

Barbari, immigrati, profughi, deportati dell’impero romano di Alessandro Barbero, Laterza

 

E’ noto che, come diceva Croce, si fa storia sempre del presente, e ogni storia del passato si attualizza in base a quella contemporanea a chi la fa. E’ meno risaputo che l’impulso a studiare epoche considerate decadenti, come la tarda antichità o il medioevo occidentale o il millennio bizantino, non è – nel profondo almeno – mera eccentricità, né ripiegamento erudito di esteti in lutto per il proprio secolo: è invece percezione – all’inizio confusa, su frequenze quasi inudibili, poi sempre più netta – di un’affinità tra quelle epoche e la nostra; e convinzione di poter trovare, interrogando quel passato, risposte alle domande del presente.
Di questo buon uso del passato Alessandro Barbero è da sempre un campione sempre pronto allo scatto. Il suo ultimo libro, “Barbari”, parte da un assunto tanto affascinante quanto apparentemente paradossale: la caduta dell’impero romano come “esaurimento, con conseguenze catastrofiche, della sua capacità di gestire in modo controllato la sfida dell’immigrazione”.
L’attualità di questo punto di vista è evidente. Ma ciò che forse il grande pubblico non sa, e Barbero giustamente ritiene sia ora di fargli sapere, è che già da tempo la storiografia scientifica usa il termine “immigrati” in luogo di quello, per più versi desueto, di “barbari”. E che le “invasioni barbariche”, tornate nel nostro lessico comune in accezioni tanto varie quanto spesso vaghe, segnarono una discontinuità dovuta meno ai mutamenti etnici che a quelli della politica di assimilazione e integrazione perseguita fin dalla nascita di quell’impero romano che si trasformò poi in impero “romèo” o bizantino. In altre parole, i “barbari” ci furono sempre, nella nostra civiltà: anzi, ne furono parte integrante.
La letteratura della tarda antichità è piena, come ricorda Barbero, di riferimenti all’accoglienza istituzionale di immigrati sul territorio dell’impero, entusiastici o indignati a secondo dell’ideologia dell’autore. Dell’accoglienza fanno ad esempio un manifesto i primi leader del cristianesimo di stato: i disegni della Provvidenza vogliono che “tutti i barbari divengano Romani”, e dunque cristiani, e che “la mescolanza del sangue intessa un’unica discendenza da popoli disparati”, scrive Prudenzio. L’elogio del métissage, del melting pot etnico, corrispondeva a una priorità politica per la giovane chiesa cristiana, che aveva la sua massa di manovra negli strati svantaggiati della popolazione. E gli immigrati, che premevano alle frontiere per ottenere col permesso d’entrata l’assegnazione automatica di casa e lavoro, erano un investimento tanto più utile in quanto destinati al reclutamento nel lavoro agricolo e nell’esercito, entrambi da sempre fondamentali nella diffusione di ogni culto religioso. E’ un’attrazione fatale, quella dei politici cristiani per i “barbari”, che ha in fondo ancora oggi una sua continuità nelle attenzioni della chiesa cattolica verso gli immigrati extracomunitari. A quel tempo la “comunità” di appartenenza o non appartenenza era incontestabilmente l’impero romano, l’integrazione nel quale, e Barbero lo spiega bene, è diversamente declinata e progressivamente ampliata nel corso dei secoli che separano i due estremi cronologici entro cui si estende il libro: da Augusto a Teodosio, passando per Marco Aurelio e poi per quella che Barbero chiama “la sanatoria del 212”, e cioè la Constitutio Antoniniana.

D’altra parte, le più aggiornate ricostruzioni degli atti di governo configurano “una regolamentazione, se non addirittura una politica, dell’immigrazione”; tanto che, come ha scritto Claudia Moatti, “l’idea di immigrazione illegale applicata alle società pre-contemporanee non è affatto anacronistica”. La differenza principale fra l’immigrazione antica e quella odierna finisce per consistere, come scrive Barbero, “in questo: che in epoca romana il fenomeno si attuava normalmente in forma collettiva e assistita anziché attraverso una somma di percorsi individuali”, e ciò consentiva di non far affluire subito i nuovi immigrati nelle città, ma di integrarli progressivamente, insediandoli dapprima nelle campagne e seguendo una pianificazione che teneva conto della congiuntura demografica, oltreché delle esigenze dei grandi proprietari terrieri e dell’esercito.
In quella che deve dunque vedersi non tanto come un’analisi dei movimenti dei “barbari” nel mondo romano ma come un’anamnesi della capacità di quest’ultimo di integrare e assimilare giuridicamente, politicamente e socialmente le popolazioni così chiamate, allo scopo di diagnosticare le cause della cosiddetta caduta dell’impero d’Occidente, Barbero identifica il punto di svolta con la battaglia di Adrianopoli del 378: la celebre sconfitta dell’esercito imperiale da parte dei goti slittati nell’estremo oriente balcanico, in cui perse la vita lo stesso imperatore Valente e che Barbero finalmente porta il lettore a guardare sotto una giusta luce nel capitolo “Ideali umanitari e sfruttamento degli immigrati sotto Valentiniano e Valente”. Quella che l’autore definisce “una brutta storia di profughi prima respinti e poi accettati, di abusi e malversazioni nella gestione dei campi di accoglienza” finì per aprire la strada “ai grandi stanziamenti malcontrollati di barbari che fra IV e V secolo liquidano la nozione stessa di un territorio romano contrapposto al barbaricum e prefigurano la dissoluzione dell’impero d’Occidente”.
Già, d’Occidente. Ma nel V secolo, quando si ritiene tout court che l’impero romano sia caduto, a causa appunto dei “barbari”, né la sua capitale né il suo baricentro economico, politico, sociale erano più nella pars occidentalis. Si trovavano invece nella sua ipòstasi orientale, nell’impero per cui Costantino aveva fondato una Seconda Roma, Costantinopoli, e che noi oggi chiamiamo bizantino ma si autodefiniva, e per tutto il medioevo sarebbe stato considerato, impero romano. E qui la politica di assimilazione etnica, contrariamente a quanto accade in un Occidente ormai quasi del tutto disertato dagli investimenti delle élites, non fallisce di certo, anzi, inaugura un nuovo, politicamente creativo millennio “romano” di integrazione: il millennio di Bisanzio. Che nasce – e sono proprio le parole conclusive dell’esemplare libro di Barbero – con quella “che siamo soliti definire la caduta dell’impero romano, dimenticandoci di aggiungere «d’Occidente»”.

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1 risposta a ALESSANDRO BARBERO, BARBARI- IMMIGRATI, PROFUGHI, DEPORTATI NELL’IMPERO ROMANO–LATERZA, CON UNA RECENSIONE DI CORRADO E DI SILVIA RONCHEY PER LA STAMPA :. l’antichità e oggi…

  1. Donatella scrive:

    Bella la storia che ci aiuta a comprendere il presente.

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