UN BELLISSIMO GIOVANE CHE E’ STATO UN GRANDE SCRITTORE:: ANTON CECHOV, MORTO GIOVANISSIMO, A 44 ANNI…qualcosa della sua infanzia dalle Lettere +++ CORRADO STAJANO, ANTON CECHOV CRONISTA DELL’ORRORE, CORRIERE DEL 23 AGOSTO 2017 + consiglio di Donatella

 

 

Taganrog sul Mar d’Azov : dove nasce

 

 

 

 

 

 

 

 

Taganrog
le foto sopra di Taganrog sono tutte
di  Expedia

 

Tourists and War-Graves in Taganrog, South Russia - MikePole

Taganrog ( in russo Таганрог?[təgʌn’rɔk]; in ucraino ТаганрігTahanrih ) è una città portuale della Russia meridionale, nella regione di Rostov. Si affaccia sul golfo omonimo del Mare d’Azov a ponente del delta del Don. Taganrog è situata a 75 km ad ovest del capoluogo regionale Rosto.

La città moderna fu fondata ufficialmente il 12 settembre 1698 dallo zar Pietro il Grande, diventando la prima base della Marina imperiale russa.

Durante la seconda guerra mondiale, nell’ottobre 1941, fu occupata da due divisioni di SS nell’ambito dell’operazione Barbarossa. Durante i primi giorni dell’occupazione nazista, la maggior parte della popolazione ebraica cittadina fu massacrata dalle SS Einsatzgruppen. Si stima che dal 1941 al 1943 circa 7.000 abitanti di Taganrog siano stati prelevati e uccisi nei dintorni dai tedeschi e dai loro collaborazionisti locali. Fu liberata dall’Armata Rossa il 30 agosto 1943. Al termine dell’occupazione la città era stata completamente devastata

altro : https://it.wikipedia.org/wiki/Taganrog

 

dove si trova  Tangarog

Carta di Laura Canali - 2022

cartina di Laura Canali — Limes online– Il confine con l’Ucraina  è vicino :  per Maiupol — oltre il confine- ci sono 100 km ca.

 

 

 

 

Anton Cechov — bellissimo adolscente 

Anton Pavlovič Čechov (Taganrog, 29 gennaio 1860 – Badenweiler15 luglio 1904)

 

 

 

dove muore Anton Cechov : nel sud della Germania, nella Foresta Nera a Badenweiler

Badenweiler – Veduta

BADENWEILER NELLA FORESTA NERA –  dista 10 km dal confine francese e 20 km dalla città di Mulhouse; dista 28 km da Basilea in Svizzera tedesca; la città tedesca a cui è più vicina è Friburgo che si trova a circa 30 km.

 

 

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Cartina della Foresta Nera- Sotto Freiburg im Breisgau ( = Friburgo ), all’altezza di Mulheim trovate Badenweiler

 

 

 

IL CENTRO

 

Badenweiler è un comune tedesco di 3 926 abitanti, situato nel land del Baden-Württemberg.

 

 

Risultati immagini per HOTEL SOMMER BADENWEILER

ANTON CECHOV MORI’ IN QUESTO ALBERGO, HOTEL SOMMER, A BADENWEILER ASSISTITO AMOREVOLMENTE DALLA MOGLIE.

 

 

Immagine correlata

FORSE QUESTA FU LA SUA STANZA

 

 

 

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un ritratto di Anton Cechov- dipinto da suo fratello Nicolay, 1889

Terzo di sei figli, Anton nacque in una famiglia di umili origini: il nonno, Egor Michailovič Čech, servo della gleba e amministratore di uno zuccherificio del conte Čertkov, era riuscito a riscattare se stesso e la propria famiglia nel 1841 grazie al versamento al proprio padrone di una grossa somma di denaro, 3500 rubli. Il padre, Pavel Egorovič, fervente religioso ma violento, picchiava spesso i figli: «Mio padre cominciò a educarmi, o più semplicemente a picchiarmi, quando non avevo ancora cinque anni. Ogni mattina, al risveglio, il primo pensiero era: oggi sarò picchiato?». I figli erano costretti a rimanere per ore al freddo della drogheria del padre, e inoltre a seguirlo nelle attività religiose, tra cui il coro da lui diretto.

La casa natale di Čechov a Taganrog—-Alexandre Mirgorodskiy

Più tardi Čechov scriverà ad un amico: «Sono stato allevato nella religione, ho cantato nel coro, ho letto gli Apostoli e i salmi in chiesa, ho assistito regolarmente ai mattutini, ho persino aiutato a servir messa e ho suonato le campane. E qual è il risultato di tutto ciò? Non ho avuto infanzia. E non ho più alcun sentimento religioso. L’infanzia per i miei fratelli e per me è stata un’autentica sofferenza». La madre, Evgenija Jakovlevna Morozova, proveniva da una famiglia di commercianti, anch’essi già servi della gleba. Donna gentile e affettuosa con i figli, veniva maltrattata anche lei dal marito: «Nostro padre faceva una scenata durante la cena per una minestra troppo salata, o dava dell’imbecille a nostra madre. Il dispotismo è tre volte criminale». Anton amava questa donna mite e silenziosa: «Per me non esiste nulla di più caro di mia madre in questo mondo pieno di cattiveria».

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 I Čechov nel 1874: Anton è il secondo in piedi a sinistra. A destra, uno zio con la moglie e il figlio- Autore sconosciuto

 

Del resto, quella era l’unica educazione che Pavel Egorovič conoscesse e probabilmente la riteneva la migliore possibile: «Nostro nonno era stato picchiato dai signori, e l’ultimo dei funzionari poteva fare lo stesso. Nostro padre è stato picchiato da nostro nonno, noi da nostro padre. Che animo, che sangue abbiamo ereditato? […] Il dispotismo e la menzogna hanno guastato a tal punto la nostra infanzia che non posso ripensarvi senza terrore e disgusto».

Nemmeno di Taganrog, sua città natale, e dei suoi abitanti Anton ebbe mai un’opinione favorevole: «Si mangiava male, si beveva acqua inquinata […] In tutta la città non conoscevo un solo uomo onesto» – scrisse nei suoi ricordi – «Sessantamila abitanti si preoccupano soltanto di mangiare, di bere, di riprodursi e non hanno alcun interesse nella vita […] non ci sono né patrioti, né uomini d’affari, né poeti», e la città è «sporca, insignificante, pigra, ignorante e noiosa. Non vi è neppure un’insegna che sia priva di errori d’ortografia. Le vie sono deserte […] la pigrizia è generale».

Questa città aveva goduto di tempi migliori prima che il porto affacciato sul mar d’Azov, fatto costruire da Pietro il Grande, a metà dell’Ottocento si insabbiasse e che gli scali dei trasporti fossero dirottati a Rostov sul Don. A Taganrog si era da tempo stabilita una numerosa colonia di emigrati greci, che si erano dedicati al commercio fino a controllare tutta l’esportazione dei prodotti agricoli.

Il padre era proprietario di una modesta drogheria dove si vendeva di tutto e si mesceva vino e vodka ad avventori che s’intrattenevano nel locale fino a notte inoltrata. Nel 1867 mandò i figli Anton e Nikolaj a studiare proprio nella scuola greca, contando di introdurli un giorno, grazie alla conoscenza di quella lingua e di quegli agiati mercanti, nel facoltoso ambiente del commercio cittadino.

I risultati si rivelarono tuttavia disastrosi per i due ragazzi–

 

segue :: https://it.wikipedia.org/wiki/Anton_%C4%8Cechov

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Il ginnasio di Taganrog in una cartolina d’epoca
http://www.taganrogcity.com

 

(WIKIPEDIA– Queste notizie personali sono prese dalle Lettere dello scrittore )

 

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Osip BrazRitratto di Čechov, 1898

 

 

 

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Isaac LevitanVladimirka, strada della steppa russa,  1892

 

 

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Čechov nella sua casa a Melichovo con in braccio
il suo bassotto tedesco Khina nel 1897

 

 

 

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la sua casa di campagna a Melichovo

 

 

La veranda di Čechov a MelichovoLa veranda

 

 

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La casa

immagini sopra di :: SiefkinDR – Opera propria

 

Melichovo (in russo Ме́лихово?) è una casa museo del drammaturgo e scrittore russo Anton Čechov, in un’antica tenuta di campagna. Čechov visse nella tenuta dal marzo 1892 fino all’agosto 1899, ed è lì che scrisse alcune delle sue opere più famose, tra cui Il gabbiano e Zio Vanja. La tenuta si trova circa quaranta miglia a sud di Mosca.

 

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Dopo il suo ritorno dall’isola di Sachalin nel 1891, Čechov scrisse in una lettera: “Se sono un dottore, allora ho bisogno di malati e di un ospedale; se sono uno scrittore, allora devo vivere tra le persone e non a Malaja Dmitrovka [una strada a Mosca]. Ho bisogno di un pezzo di vita sociale e politica.” Oltre al suo desiderio di diventare un medico più attivo, Čechov voleva trasferirsi nel paese per migliorare la sua salute, peggiorata dopo il suo viaggio a Sachalin. Vi si trasferì con tutta la famiglia ( padre madre e sorelle ).

Nei suoi primi anni a Melichovo, il suo studio è stato anche il suo studio medico, dove visitava i pazienti. I malati della regione iniziarono a radunarsi fuori casa dalle cinque alle sei del mattino. Fu particolarmente impegnato durante l’epidemia di colera che colpì la Russia nel 1892 e nel 1893; era responsabile dell’assistenza medica per 26 villaggi, sette fabbriche e un monastero nella regione.

Čechov aveva anche un forte interesse per l’istruzione. Visitando le scuole del villaggio locale constatò come deplorevoli fossero le condizioni degli insegnanti, sottopagati e poco ispirati. Un insegnante che incontrò, nel villaggio di Talež, un giovane con una moglie e quattro figli con un reddito di 23 rubli al mese, fu probabilmente l’ispirazione per il personaggio di Medvedenko ne Il gabbiano. Nel 1896 costruì una nuova scuola per i bambini di Talež, un’altra a Novoselka l’anno successivo e nel 1899 costruì un’altra scuola a Meliсhovo. Ha anche donato mobili e libri di testo per le scuole.

 

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Ol’ga Knipper impersona Masha nelle ” Tre sorelle “, 1901
Al Teatro dell’Arte di Mosca

 

 

 

undefinedManifesto delle ” Tre sorelle ” pubblicato nel 1901 a Pietroburgo da  Adolf Marks.

 

 

 

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Pietroburgo, Il teatro AleksandrinskijNevsky Avenue
Horvat – Opera propria

 

 

 

Nel 1898, al suo ritorno da Nizza, in Francia, vi scrisse una trilogia di tre storie famose: L’uomo nell’astuccioDell’amore e L’uva spina . Nel maggio del 1899, dopo il successo del Gabbiano al Teatro d’arte di Mosca, invitò a fargli visita l’attrice protagonista dello spettacolo, Ol’ga Knipper, che rimase nel cottage degli ospiti per tre giorni a metà maggio 1899. Ol’ga Knipper avrebbe poi sposato Čechov nel maggio del 1901.

Man mano che la sua tubercolosi peggiorava, Čechov fu costretto ad abbandonare la sua proprietà e trasferirsi a sud, in una casa a Jalta.

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Čechov con la moglie Ol’ga Knipper nel 1891
foto sconosciuto

 

 

 

 

FAMIGLIARI E AMICI DI CECHOV–DA WIKIPEDIA

Anton Cechov con parenti e amici nel cortile della sua casa in via Sadovaya-Kudrinskaya, Mosca, primavera 1890– collez. privata
Ultima fila da sinistra : Ivan, Alexander, Padre; (seconda fila) Mariya Korniyeeva, Lika Mizinova, Masha, Madre, Seryozha Kiselev;
(fila davanti) Misha, Anton.

ANTON E SUO FRATELLO NICOLAJ, 1882
R. J. Thiele, Moscow –

CECHOV LEGGE IL GABBIANO AGLI ATTORI DE TEATRO DI MOSCA

foto di Petr Pavlov (1860-1925)
On Chekhov’s right, Konstantin Stanislavski is sat, and next to him, Olga Knipper. Stanislavski’s wife, Maria Liliana, is seated to Chekhov’s left. On the far right side of the photograph, Vsevolod Meyerhold is sat. Vladimir Nemirovich-Danchenko stands in the far left side of the photograph.

Alla destra di Checov è seduto Konstantin Stanislavski  e vicino a lui, Olga Knipper, sua moglie, Maria Liliana è seduta alla sinistra di Chechov. All’estrema destra della foto, è seduto Vsevolod Meyerhold , mentre all’estrema sinistra in piedi  Vladimir Nemirovich-Danchenko

 

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Čechov e Tolstoj a Yalta
Sergenko, Petr Alekseevič – Image Zeno.org.

 

 

 

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Cechov e  Gor’kij a Yalta – 1900

 

 

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La villa di Cechov a Jalta, 1899

 

 

UNA FOTOGRAFIA DEL 1903
Anton Tschechow|.

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Ol’ga e Anton Čechov, 1901- sconosciuto

 

 

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La morte

Il 15 febbraio 1904 lo scrittore lasciò Mosca per Jalta. Le disfatte subite dalla Russia nella guerra contro il Giappone si succedevano e Čechov, preso da patriottismo, seguiva le notizie con profonda amarezza. Il suo unico impegno, intervallato dalle frequenti crisi provocate dalla tisi, consisteva nella consulenza editoriale a favore della rivista Il pensiero russo; scrisse anche a Stanislavskij di un vago progetto di una nuova opera teatrale, ma la sua capacità creativa sembrava in quel periodo esaurita.

Deciso a rivedere la moglie, giunse a Mosca il 3 maggio, ma dovette mettersi subito a letto. La tubercolosi si estendeva, oltre i polmoni era colpita la regione addominale, il cuore era affaticato e i medici lo sostenevano con iniezioni di morfina. Gli fu consigliato di consultare uno specialista in Germania, il professor Karl Ewald, una celebrità dell’epoca.

Quando si sentì meglio, con l’autorizzazione dei suoi medici, il 3 giugno Čechov partì con la moglie per Berlino. Vi giunsero il 5 e scesero all’elegante albergo Savoy. Come spesso gli accadeva nei primi giorni di un viaggio, appariva allegro e interessato alla città.
Il professore tedesco doveva però togliergli ogni ottimismo: dopo averlo visitato, gli disse senza mezzi termini che per lui non c’era alcuna speranza.

L’ultima residenza a Badenweiler

 

Tre giorni dopo, i Čechov lasciarono Berlino per Badenweiler, una stazione termale della Foresta Nera, alloggiando nella confortevole Villa Friederike. Seguito da un medico, osservava una dieta a base di burro di cacao e di farinata d’avena, prendeva molto sole e ammirava le montagne. La salute sembrò migliorare in breve tempo ma Čechov cominciò ad annoiarsi, e con la noia prese a inquietarsi. Così si trasferirono semplicemente all’Hotel Sommer, nella stessa cittadina: dal balcone della stanza Čechov passava il tempo osservando turisti e residenti passeggiare nella strada sottostante.

Alla fine di giugno a Badenweiler la temperatura e l’umidità salirono considerevolmente, aumentando le difficoltà di respirazione di Čechov: il 29 giugno ebbe un collasso, dal quale si riprese ma il giorno dopo ne seguì un altro. Si riprese ancora ma non riusciva ad abbandonare il letto, vegliato da Ol’ga. Il 1º luglio improvvisò per Ol’ga un racconto allegro, di quelli suoi di gioventù, poi si addormentò.

Si risvegliò di colpo verso mezzanotte: ansimando chiese un medico. Delirava, ma riprese lucidità quando Ol’ga gli applicò la borsa del ghiaccio sul petto: «Non si mette il ghiaccio su un cuore spento». Alle due venne il medico: «Ich sterbe» – gli disse piano Čechov – io muoio. Il dottore gli fece un’iniezione e volle procurarsi dell’ossigeno, ma lo scrittore lo fermò: «È inutile». Allora fu ordinato champagne. «È tanto che non bevo champagne»: bevve e si distese sul fianco. Poi fu silenzio. Erano le tre del mattino, una falena batteva le ali nere sul vetro della lampada accesa.[60]

Il 9 luglio le spoglie di Čechov giungevano alla stazione Nikolaj di Mosca. Il vagone che le trasportava recava sul fianco un grosso cartello: «Trasporto di ostriche». L’associazione suscitò indignazione, ma il giovane Čechov avrebbe certamente trasformato la volgarità di quell’involontario effetto in uno spunto per un suo racconto comico. Si formò il corteo diretto al monastero Novodevičij, che s’ingrossò via via che si conobbe il nome del defunto.

Il giorno dopo pochi intimi accompagnarono la madre, Marija e Ol’ga per il servizio religioso di fronte alla tomba colma di fiori.

La madre Evgenija morì nel 1919, Marija visse sempre a Jalta nel culto del fratello, nella villa trasformata in museo da lei diretto, morendovi novantenne nel 1957. Ol’ga Knipper proseguì la sua brillante carriera: fu insignita delle più prestigiose onorificenze sovietiche e si spense a 89 anni nel 1959.

«… Le nostre sofferenze si trasformeranno in gioia per quelli che vivranno dopo di noi: la felicità e la pace scenderanno sulla terra e gli uomini ricorderanno con gratitudine e benedizione coloro che vivono adesso…» ( sono le parole di Ol’ga nelle Tre sorelle )

 

Sulla vita di Cechov Donatella ci ha consigliato il libro:

Irène NémirovskyLa vita di Čechov, Castelvecchi, Roma 2012

La vita di Cechov - Irène Némirovsky - copertina

 

 

IL CORRIERE DEL 23 AGOSTO 2017

https://www.corriere.it/cultura/17_agosto_23/anton-cechov-libro-nuova-edizione-isola-di-sachalin-zar-235f89d6-8810-11e7-a960-ee4515521d95.shtml

5a edizione, 2017
pp. 457

Il molo della miniera della società Sachalin.
Foto di I.I. Pavlovskij (1890).
Museo statale della Letteratura, Mosca.

 

 

Anton Cechov cronista dell’orrore

Il viaggio in Siberia e il resoconto delle atroci condizioni dei prigionieri sotto lo zar
La sfida dell’autore alla censura nella nuova edizione de «L’isola di Sachalin» (Adelphi)

 

 

Una famiglia di indigeni di etnia Ainu dell’isola di Sachalin in una fotografia scattata intorno al 1900 dall’antropologo polacco Bronisław Piotr Piłsudski (1866-1918)

Una famiglia di indigeni di etnia Ainu dell’isola di Sachalin in una fotografia scattata intorno al 1900 dall’antropologo polacco Bronisław Piotr Piłsudski (1866-1918)

Come mai Anton Cechov decise nel 1890 di partire per l’isola di Sachalin, in Siberia, dove gli zar avevano istituito la mortale colonia penale, la Katorga? Vi rimase nove mesi, dall’aprile al dicembre, vide tutto quanto poté vedere con una minuzia, spesso ossessiva, testimone di un altro mondo, il mondo colto e civile. Nato trent’anni prima, laureato in Medicina, fu forse spinto al viaggio dalla polemica sull’indifferenza degli intellettuali nei confronti dei problemi sociali che inquietavano la Russia. O il suo fu un tentativo di scrivere un saggio utile per tentar di entrare come docente nella facoltà di Medicina dell’università?

 

Era già noto come autore di raccontini umoristici che piacevano molto e di operine teatrali. La medicina, diceva, era la sua moglie legittima, la letteratura l’amante. Per fortuna ebbe partita vinta l’amante, i suoi racconti, le sue commedie sono classici i cui temi, la vita, la morte, la delusione, la malinconia, la speranza di un’età migliore, il dolore, la guerra, l’angoscia, il taedium vitae appartengono anche al nostro tempo.

Cechov non urla moralisticamente il suo sdegno, vuol solo rendersi conto delle sopraffazioni e delle nequizie di una falsa giustizia, racconta e il suo giudizio nasce solo dai fatti. Stringono il cuore le sue pagine, anche le più fredde e controllate. Non trascura nulla, il libro è una mescolanza di generi — narrazione soprattutto, inchiesta, diario — nutrito di fonti inusuali, cronache giudiziarie, referti medici, statistiche, ordinanze governative, bollettini meteorologici.

È ben cosciente, Cechov, di quel che vede. In una lettera al suo editore Aleksej Suvorin, riportata da Valentina Parisi, scrive: «Sachalin è il luogo delle più intollerabili sofferenze che possa sopportare l’uomo, libero o prigioniero che sia (…). Abbiamo fatto marcire in prigione milioni di uomini, li abbiamo fatti marcire invano, senza criterio, barbaramente; abbiamo obbligato la gente a percorrere migliaia di verste al freddo, in catene, l’abbiamo corrotta, abbiamo moltiplicato i delinquenti».

(E pensare che il grande scrittore spesso non ebbe consapevolezza dell’essenza e dei significati delle sue opere. Quando — raccontò il suo regista, Konstantin Stanislavskij — alla fine della lettura delle Tre sorelle (1900) gli attori, turbati, inquieti, piansero commossi, Cechov si arrabbiò moltissimo: pensava di aver scritto un vaudeville e gli attori lo prendevano per un dramma).

Nei mesi prima della partenza per Sachalin studiò come un dannato non soltanto la questione carceraria e le pratiche dell’amministrazione, ma raccolse dati sulla geografia, le scienze naturali, il suolo, il mare, i venti, e sulle condizioni igienico-sanitarie in cui vivevano i deportati. Un’attrice dei teatri imperiali, Kleopatra Karatygina, che conosceva bene la Siberia dove si era a lungo esibita, gli diede molte informazioni sugli usi e costumi dell’isola e sui suoi non comuni abitanti, gli consigliò anche un itinerario.

Lo scrittore ne scelse un altro: da Mosca a Nikolaevsk passando per Kazan, Ekaterinburg, Tomsk, Irkutsk e Chabarovsk, imbarcandosi al ritorno sul piroscafo «Bajkal» che da Vladivostok arriverà a Odessa.
Non era gradito alle autorità, non gli furono concessi permessi scritti, i funzionari della Direzione penitenziaria avevano l’ordine di impedirgli ogni contatto con i prigionieri politici confinati sull’isola. Non si sa se sia accaduto. Ma i suoi occhi acuti e la sua intelligenza riuscirono a sopperire a intralci e divieti.

Le stazioni di posta, il paesaggio e la sua grandiosità, la foresta — la taiga —, i fiumi, gli animali, gli orsi, i lupi, gli zibellini, i cervi, le capre selvatiche popolano le pagine del viaggio che è anche un racconto, un romanzo d’avventura.

Gli uomini, poi. Cechov parla con tutti, i vetturini, i cosacchi, i servi della gleba, i coloni, i contadini, gli ex esiliati, i medici, i galeotti: «Sotto le finestre aperte affacciate sulla strada sfilavano a passo cadenzato e senza fretta i deportati con i ceppi ai piedi; nella caserma di fronte la banda militare provava e riprovava le sue marce in previsione della visita del governatore generale».

Gira di villaggio in villaggio, tra curiosità e dovere della ricerca, entra nelle izbe, rozzi parallelepipedi di legno col tetto di paglia: una stanza sola, una stufa alla russa, un tavolo, un letto o un semplice bivacco per terra. Manca ogni traccia del passato, manca l’angolo delle icone. I detenuti della prigione di Aleksandrovsk non sono incatenati ai ceppi, di giorno possono stare fuori dal carcere, vestono come vogliono. Ma poi c’è la «baracca degli incatenati», laceri, sporchi, con i ceppi ai piedi, le manette ai polsi. La terribile povertà è difficile da nascondere. La miseria fa fiorire ogni nefandezza, l’usura, il ricatto, la violenza, il gioco d’azzardo, la corruzione. Cechov consulta i registri locali e parrocchiali, fa indigestione di numeri, il suo libro è una summa di varia umanità: «Per la strada s’incontrano contadine che per ripararsi dalla pioggia si sono legate intorno al capo grosse foglie di bardana e sembrano scarabei verdi».

Qualche volta non si trattiene, si indigna, nella prigione di Voevodsk, per esempio, scandalosa, esterrefatto nel vedere i detenuti legati mani e piedi a carriole da catene che impediscono ogni movimento. Le frustate e la carriola salvano qualche volta i derelitti dalla pena di morte.

«Al colpevole si infliggono quasi sempre trenta o cento bastonate. Il numero non dipende dal reato, bensì da chi ha disposto la punizione, se il capo circondario o il direttore della prigione: il primo ha il potere di affibbiare cento colpi, il secondo può arrivare solo a trenta». La giustizia degli zar.

Gli ultimi capitoli del libro, vietati dalla censura dell’epoca, sono neri come la pece. Cechov descrive una fustigazione, tra le grida del compiaciuto direttore del carcere: «Quarantadue! Quarantatré! A novanta manca un bel po’ (…). La parte colpita dalle frustate è blu e scarlatta per le ecchimosi e sanguina».

Cechov racconta anche come avviene la cerimonia dell’impiccagione, il lenzuolo funebre fatto indossare al condannato, la preghiera dei moribondi. Qualcuno, teatralmente, viene graziato all’ultimo minuto lasciando scontento il boia.

Cechov non si risparmia nulla. E per contrasto, leggendo questo libro senza tempo, vengono in mente — la morte e la vita, la ferocia e la dolcezza — le Tre sorelle, con Olga che nell’ultima scena abbraccia Irina e Maša. «Oh, sorelle care, non è finita, la nostra vita! Vivremo! La banda suona allegra, festosa e sembra che da un momento all’altro sapremo perché viviamo, perché soffriamo… Poterlo sapere, poterlo sapere!».

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  1. Donatella scrive:

    Ho sempre amato questo grandissimo scrittore che descrive la tragedia umana senza rinunciare ad un sorriso.

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