GIULIANO ALUFFI, SCIENZE, IL VENERDI’ DI REPUBBLICA- 5 MARZO 2018 :::L’incontro esplosivo all’Hotel Copenaghen — un libro di Gabriella Greison–vedi sotto ++ varie

 

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Niels Henrik David Bohr (AFI[ˈnels ˈboɐ̯ˀ]Copenaghen,  1885 – Copenaghen,  1962) è stato un fisicodanese.

 Diede contributi fondamentali nella comprensione della struttura atomica e nella meccanica quantistica, per i quali ricevette il premio Nobel per la Fisica nel 1922.
Dopo aver vinto il Nobel, nel 1922 la Carlsberg gli regalò una casa adiacente ad una delle fabbriche in cui produceva la sua birra. La casa era dotata di una tubatura che permetteva a Bohr di servirsi di birra fresca qualora lo volesse e completamente gratis.

 

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Il viaggio segreto di Niels Bohr a Palermo

Santo Piazzese

Il viaggio segreto di Niels Bohr a Palermo

Lo straniero e il Mediterraneo, e al centro la Sicilia. Santo Piazzese ricorda un verosimile viaggio segreto nella «luccicante oscurità», forse per espiare forse per seduzione, del fisico danese Niels Bohr a Palermo. Dall’antologia Il sogno e l’approdo. Racconti di stranieri in Sicilia, pubblicata nella collana «Il contesto» nel 2009, il racconto Il viaggio segreto di Niels Bohr a Palermo in versione ebook.

Cosa ci fa per le strade di Palermo un fisico di fama mondiale, precoce vincitore, a soli trentasette anni, del premio Nobel? Nell’immaginazione scanzonata e poetica di Santo Piazzese il suo è un soggiorno verosimile, una fuga da qualcosa, forse da se stesso, e Palermo è la meta più adeguata per scomparire e lasciarsi andare, al pensiero e alla memoria. La più adatta per un esilio da tutto.
«“Sai perché nei film western sono sempre i buoni a vincere nei duelli alla pistola contro i cattivi?” mi chiese una volta Niels Bohr». Il narratore, un apprendista avvocato che ha lasciato la Fisica per gli studi giuridici, torna nel passato a quella strana apparizione, un maturo signore scandinavo che aveva polemizzato con Albert Einstein, sostenendo che Dio non solo gioca a dadi ma che persino bara. Uno scienziato di genio, un grande appassionato di western, che ora è lì, seduto a mangiare un pezzo duro della gelateria Ilardo, oppure a bere una birra ghiacciata. E la sua sola presenza crea un enigma che va oltre la materia e la fabbrica della realtà, oltre i quanti o gli elettroni, e scruta nelle ragioni del dolore e del rimpianto, nel mistero delle emozioni, nella ragione ineffabile delle cose umane.

Autore

Santo Piazzese, biologo, è nato a Palermo, dove vive e lavora. Con questa casa editrice ha pubblicato I delitti di via Medina-Sidonia (1996), La doppia vita di M. Laurent (1998) e Il soffio della valanga (2002), tutti raccolti anche nel volume della collana «Galleria» Trilogia di Palermo (2009), e Blues di mezz’autunno (2013).

Premio Lama e Trama 2011 alla Carriera.

 

 

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Werner Karl Heisenberg (Würzburg1901 – Monaco di Baviera1976) è stato un fisico tedesco.

Premio Nobel per la fisica nel 1932, fu uno dei fondatori della meccanica quantistica.

 

 

 

 

 

 

Hotel Copenaghen

Hotel Copenaghen

Gabriella Greison

  • Salani
  • Data di Pubblicazione:marzo 2018
  • EAN:9788893812467
  • ISBN:8893812460
  • Pagine:298
  • 15,90

 

 

REPUBBLICA.IL VENERDI’ — 5 MARZO 2018

https://rep.repubblica.it/pwa/venerdi/2018/03/05/news/l_incontro_esplosivo_all_hotel_copenaghen-190513279/

 

 

L’aula dell’Istituto di fisica a Copenaghen dove negli anni Venti e Trenta si assisteva all’esposizione delle nuove teorie (Getty Images)

 

Il venerdì  Scienza

L’incontro esplosivo all’Hotel Copenaghen

La casa di Niels Bohr nella capitale danese era “l’albergo” dove i grandi fisici discutevano in un’atmosfera informale e allegra. Finché, un giorno del ‘41, Heisenberg parlò dell’atomica

 

 

La spia della Gestapo impreca quando sente, dopo un fitto parlottio, la porta della Residenza Onoraria Carlsberg chiudersi di colpo: non riuscirà a registrare ciò che si diranno, all’aperto, il padrone di casa, il fisico danese Niels Bohr – che nel 1913 aveva descritto un nuovo modello atomico – e il suo ospite inatteso, il collega tedesco Werner Heisenberg, padre del principio di indeterminazione. I due passeggiano fino al bosco, per sottrarsi alle orecchie indiscrete: nella Copenaghen occupata dai nazisti Bohr è sotto sorveglianza. Che cosa si dicono?

Quel dialogo del 17 settembre 1941 è tutt’oggi un mistero. Soprattutto per via delle interpretazioni discordanti che ne fornirono più avanti gli stessi protagonisti, i due scienziati che, a partire dalle teorie di Planck e di Einstein, elaborarono la rivoluzionaria meccanica quantistica, ovvero la più efficiente descrizione della natura mai formulata dall’uomo. Una visione spiazzante per il senso comune: mentre nella visione classica il valore di una grandezza fisica esiste in sé e resta univoco – che venga misurato o meno – nella fisica quantistica una grandezza, per esempio la posizione di un elettrone, se non viene effettivamente misurata può assumere qualunque valore sia consentito dalla sua definizione: non è più un numero preciso, ma una “nuvoletta” di probabilità. Andando a curiosare nell’infinitamente piccolo, la fisica quantistica era arrivata a una conclusione sconcertante: l’osservazione cambia la realtà. «Se non ti ha scioccato profondamente, non l’hai ancora capita»: così lo stesso Bohr rimarcò la natura eversiva della nuova fisica, grazie alla quale sono nati il laser, il Gps, la risonanza magnetica, il dvd.

L’incontro enigmatico tra i due fisici è il cuore di Hotel Copenaghen (Salani), ricostruzione romanzata della vita di Bohr e della moglie Margrethe Nørlund scritta dalla fisica e drammaturga Gabriella Greison, che si è documentata spulciando archivi storici  e andando sul posto.

«Quando Bohr e Heisenberg si videro, i loro stati d’animo erano diversissimi. Bisogna capire anzitutto questo per immaginare cosa si possano essere detti e perché Bohr rimase turbato da quell’episodio per anni» dice Greison, già autrice di L’incredibile cena dei fisici quantistici (sempre Salani).

«Bohr era la persona più importante di Copenaghen, e si sentiva in dovere di aiutare il suo popolo. Heisenberg invece stava diventando sempre più autorevole in una Germania che fino a poco prima era stata il cuore della scienza europea, ma dove i centri di ricerca crollavano uno dopo l’altro perché tanti grandi scienziati erano fuggiti dal nazismo».

Heisenberg amava la Germania ma non era un nazista. «Non sapendo cosa fare aveva chiesto consiglio al più anziano Max Planck, il fisico che aveva scoperto i quanti, che gli aveva suggerito: “Rimaniamo qui e contrastiamo il regime da dentro”» ricostruisce Greison. «Ma poi, mentre Planck tentò perfino di far ragionare Hitler, invano, Heisenberg brigò con Himmler per continuare le sue ricerche nei centri più prestigiosi».

Quel giorno del ’41 si trovano quindi faccia a faccia un Heisenberg giunto a Copenaghen con la scusa di partecipare a un convegno e un Bohr addolorato dal tallone di ferro nazista che schiaccia il suo Paese. «Bohr è pietrificato, Heisenberg, tedesco e quindi in quel frangente “vincitore”, pretende di parlargli come se niente fosse: è ovvio che si crei una situazione di disagio» nota Greison. «I due non si capirono dalla prima all’ultima parola».

Ma, ancora, che cosa si dissero? Secondo il fisico Klaus Gottstein, del Max-Planck-Institut, Heisenberg andò a chiedere a Bohr aiuto per trovare un accordo tra i maggiori fisici ed evitare la ricerca sulla bomba atomica. Secondo Gottstein, Heisenberg si era reso conto che avrebbero potuto costruirla soltanto gli Stati Uniti, per concentrazione di cervelli e risorse. E temeva quindi che venisse usata contro la sua Germania. Probabilmente Bohr non capì se Heisenberg fosse sincero o volesse solo carpire informazioni sulla ricerca militare nucleare negli Stati Uniti, dove gli amici di Bohr che si erano rifugiati lì (Einstein e Fermi) avevano un ruolo chiave (poi lo stesso Bohr, quando riuscì a fuggire dalla Danimarca nel ’43, fu cooptato nel Progetto Manhattan).

 

Heisenberg, nel dopoguerra, avrebbe detto invece di essere andato a comunicare a Bohr che stava rallentando di proposito la corsa tedesca all’arma atomica. Versione contraddetta da Bohr in una lettera mai spedita a Heisenberg, ma divulgata nel 2002 dalla sua famiglia: «Dicesti che non c’era bisogno di parlare dei dettagli (della bomba) perché li conoscevi bene ed era da due anni che lavoravi solo su questo».

Ancora più radicale lo storico Paul Rose, autore di Heisenberg and the Nazi Atomic Bomb Project (University of California Press): per lui Heisenberg voleva reclutare Bohr nel progetto dell’atomica nazista. «In realtà Albert Speer, ministro degli armamenti del Reich, in un’intervista del ’67 allo Spiegel disse che Heisenberg lo aveva convinto del fatto che la costruzione della bomba era proibitiva per la Germania, ponendo fine a quel piano» commenta Greison.

Quel giorno del ’41, comunque, qualcosa si ruppe. E pensare che Heisenberg era stato il pupillo di Bohr, fin da quando, nel 1922 a Gottinga, l’allievo ventenne aveva interrotto una lezione del già affermato padre del nuovo atomo con un’obiezione che lo aveva messo in difficoltà. Bohr aveva invitato il giorno stesso il brillante giovanotto ad approfondire la discussione con una passeggiata e lo aveva ospitato a Copenaghen dal settembre del 1924 all’aprile 1925.

«Bohr adorava discutere. Più stanava gli errori, anche i suoi, più era felice. Diceva: “È meraviglioso che abbiamo incontrato un paradosso: ora abbiamo qualche speranza di fare progressi”. O anche:“Un esperto è un uomo che ha commesso tutti gli errori che si possono commettere in un settore ristretto”» dice Greison. «È per questo che casa Bohr era diventata l’Hotel Copenaghen. Tutti la frequentavano, da Albert Einstein a Enrico Fermi, da Ettore Majorana a Lise Meitner, la madre della fissione nucleare. E quando un ragazzo aveva un’idea forte e voleva portarla avanti, andava da Bohr, che gli offriva vitto, alloggio e discussioni stimolanti. Così, nel 1921, è nato l’Istituto Niels Bohr, centro di ricerca all’avanguardia che l’anno scorso ha contribuito a scoprire le onde gravitazionali».

L’atmosfera dell’Hotel Copenaghen era allegra e informale. «Nella Residenza Carlsberg, donata dagli industriali della birra, c’era ancora un rubinetto di birra a muro, che Bohr usava per dare più brio alle discussioni» ricorda l’autrice. Ma anche all’Istituto prevaleva la leggerezza. «Quando le nuove leve presentavano le loro teorie, sulla prima fila dei banchi Bohr piazzava una trombetta e un cannoncino: la prima per premiare le esposizioni brillanti, il secondo per bocciare quelle lacunose». Il tratto istrionico di Bohr non si fermava qui. «Nel 1932, per il centenario della morte di Goethe, organizzò una rappresentazione del Faust dove lui interpretava Dio, e altri due fisici, Wolfgang Pauli e Paul Ehrenfest, erano Mefistofele e Faust. Un pretesto per parlare delle loro idee in modo creativo» dice Greison.

Dalla Danimarca la teoria dei quanti conquistò il mondo, ma l’incanto dell’Hotel Copenaghen si spezzò con la guerra, quando la fisica, a Hiroshima, perse la sua innocenza. Ma forse la rottura c’era già stata quel giorno del ‘41, con un dialogo che – proprio come nelle osservazioni della fisica quantistica – si trasforma a seconda di chi lo rievoca.

 

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