Più che la dialettica oggi domina l’omologazione. Non è per niente di moda parlare di conflitto, di dialettica tra le classi che esistono nel mondo digitalizzato, benché molti le considerino superate.
Non esiste un teoria politica antagonista al dominio neoliberista, per cui dominano incontratati i vari populismi in Italia, nell’Ue e in tutto il pianeta. Da decenni ci alimentiamo del pensiero unico, del capitalismo come sistema naturale ed immodificabile.
Il modello Europa è fallito perché ha posto al centro l’interesse dei pochi e non i bisogni dei molti. Non ci sono partiti,movimenti,forze che sappiano concretamente porsi come dialettici, alternativi all’ideologia della globalizzazione che moltiplica le diseguaglianze, mette a dura prova la salute del pianeta, diffonde la cultura e la pratica della guerra, esalta l’individualismo sfrenato, il consumismo come unica vera forma di autorealizzazione.
La dialettica non è più nella coscienza di classe delle moltitudini, come nel secolo passato, quando esisteva in concreto la prospettiva del cambiamento, è divenuta esercizio retorico di ristrette élite, chiuse a coltivare il proprio orticello….
In questa fase storica la dialettica nell’accezione evidenziata nell’articolo, fatica a trovare spazio; è reticente, afasica.
La pervasività del linguaggio liberista/mercatista/consumista la dice lunga sulla crisi della dialettica. E’ raro sentire termini come socialistata, comunista, egalitario e simili.
Per non parlare del dialetto, da tempo in crisi irreversibile di fronte all’invadenza del linguaggio dei media, del colonialismo dell’Inglese, delle nuove tecnologie….
A me fa pena lo scomparire delle lingue, in primis i dialetti, perché hanno, come tutti i linguaggi, una loro specificità, dovuta alla storia, alle varie contaminazioni che hanno subito nel corso della loro esistenza. Spesso alcune espressioni le penso in dialetto, perché in realtà quella è stata la mia lingua madre, insieme all’italiano.