ALESSIA DELISI, NORA COMUNICAZIONI, 16 MAGGIO 2019 ::: EDWARD BURTYNSKY, PROGETTO ANTROPOCENE, MOSTRA FOTYOGRAFICA AL MAST DI BOLOGNA DAL 16 MAGGIO AL 22 SETTEMBRE 2019 +++ TRAILER DOCUMENTARIO

 

TRAILER :: PARLATO IN INGLESE (POCO)-MA LE IMMAGINI PARLANO ANCHE TROPPO !

 

Anthropocene: The Human Epoch Trailer #1 (2019) | Movieclips Indie

 

 

 

 

L’Anthropocene di Burtynsky al MAST di Bologna

 

 

Edward Burtynsky, Dandora Landfill #3, Plastics Recycling, Nairobi, Kenya 2016

 

 

di Alessia Delisi – Maggio 16, 2019

 

Dal 16 maggio al 22 settembre il fotografo Edward Burtynsky porta al MAST di Bologna il progetto Anthropocene: fotografie, murales, proiezioni e videoinstallazioni che mostrano l’impatto indelebile dell’uomo sul pianeta.

«Abbiamo sempre attinto dalla natura. È un fatto normale, connaturato alla condizione umana e, oltretutto, un dato comune a tutte le forme di vita. La differenza oggi sta nella velocità e nelle dimensioni di questa appropriazione della terra da parte dell’uomo, un impatto talmente massiccio e globale da non avere precedenti nella storia del pianeta». A dirlo è il fotografo Edward Burtynsky, protagonista della mostra Anthropocene, dal 16 maggio al 22 settembre – e per la prima volta in Italia – negli spazi del MAST di Bologna.

Coniato già nel 2000 dal premio Nobel per la chimica atmosferica Paul Crutzen e divulgato da un gruppo internazionale di studiosi facenti parte dell’Anthropocene Working Group, il termine Anthropocene sancisce la fine dell’Olocene (iniziato circa 11.700 anni fa) e l’inizio di un’epoca geologica in cui sono gli esseri umani a condizionare con le loro azioni le caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche dell’ambiente terrestre, diventando in questo modo la singola forza più determinante del pianeta.

 Edward Burtynsky, Uralkali Potash Mine #4, Berezniki, Russia 2017

«Le mie immagini possono sembrare a volte surreali, ma in realtà illustrano il mondo sfruttato esattamente così com’è», continua Burtynsky che con questo progetto documenta l’indelebile impronta umana sulla terra. Per molto tempo infatti lo sfruttamento delle risorse e l’inquinamento del pianeta hanno avuto luogo in maniera graduale, ma dopo la Seconda guerra mondiale l’aumento della popolazione, lo sviluppo delle megalopoli, la globalizzazione e la diffusione di un modello di consumo eccessivo nelle nazioni industrializzate dell’Occidente hanno fatto esplodere la situazione. Combinando arte, cinema, realtà aumentata e ricerca scientifica, l’esposizione rivela come abbiamo alterato il clima, inquinato vaste aree di terra e acqua, innescato l’estinzione di massa della biodiversità, trasformato gli ecosistemi su cui facciamo affidamento per la vita, riproducendoci a un tasso di crescita demografica che richiede sempre maggiori quantità di risorse che vanno tuttavia esaurendosi.

 Edward Burtynsky, Carrara Marble Quarries, Cava di Canalgrande #2, Carrara, Italy 2016

Come fronteggiare allora queste minacce incombenti? E soprattutto, come reagisce un artista a questo fenomeno? Se i media fotografano lo scempio ambientale a distanza ravvicinata per amplificare l’effetto shock sugli osservatori, Burtynsky – che per questo progetto si vale anche della collaborazione dei registi Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier con cui realizza il docufilm Anthropocene: The Human Epoch – compie il percorso contrario: mettendo a fuoco categorie come estrazione, terraformazione, tecnofossili, antroturbazione, cambiamento climatico ed estinzione, registra senza giudicare; se inverte scala e dettaglio è per mappare la situazione e mostrare i fatti in un contesto più ampio, rendendoli accessibili su un piano razionale, oltre che emotivo. Allo stesso tempo, lo sguardo dell’artista, focalizzato su simmetrie, figure circolari, griglie e linee geometriche pure, si sofferma su paesaggi naturali ancora incontaminati, come la foresta Cathedral Grove nella Columbia Britannica, l’abete Douglas “Big Lonely Doug” o la barriera corallina del Parco Nazionale di Komodo, in Indonesia, esempi positivi capaci di infondere speranza, ricordandoci che forse non tutto è perduto.

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