pp. 164 — 1a edizione 2017–prezzo :: 19 euro
Presentazione del volume ::
“Michela Mercuri appartiene al gruppo degli storici italiani che meglio conoscono la storia libica dalla guerra italo-turca del 1911 alle sue fasi più recenti. Ma è probabilmente la studiosa che più attentamente ha seguito le vicende libiche e italo-libiche dalla guerra civile del 2011 ai nostri giorni. I risultati delle sue analisi sono spesso sorprendenti”
(dalla Prefazione di Sergio Romano)
Un Paese sospeso tra un passato fragile e un futuro incerto: questa è oggi la Libia. Il presente non c’è. Manca dal 2011, quando gli attori internazionali, con il consenso delle Nazioni unite, decidono di intervenire nelle rivolte in corso nel Paese per mettere le mani sulle sue risorse. Oggi quelle stesse mani che volevano giocare con le pedine del nuovo risiko libico si ritrovano “con un pugno di mosche”. Uno Stato controllato dalle milizie, in piena crisi economica, terreno fertile per gli jihadisti e per i gruppi criminali che lucrano sul traffico dei migranti diretti verso l’Italia.
Le rivolte del 2011 hanno decretato la fine del regime di Gheddafi chiudendo un capitolo durato più di quarant’anni. Qualcuno, allora, si era illuso che il Paese potesse incamminarsi verso un sistema democratico. Non è stato così e oggi stiamo pagando il conto dei nostri “calcoli errati”. Che ne sarà, dunque, della Libia? Come siamo arrivati a questo punto? Ripercorrendo le fasi salienti della storia del Paese fino ai fatti più recenti, l’Autrice spiega incognite e contraddizioni di una realtà tanto vicina quanto difficile da comprendere.
Michela Mercuri insegna Storia contemporanea dei Paesi mediterranei all’Università di Macerata ed è docente presso la Società italiana per le organizzazioni internazionali (Sioi) di Roma. Esperta di Nord Africa e Medio Oriente, è editorialista per diversi quotidiani nazionali e analista per radio e televisioni.
IL FATTO QUOTIDIANO DEL 25 APRILE 2019
Libia, Misurata è l’ago della bilancia che sogna indipendenza. ‘Attori internazionali devono dialogare o non si avrà la pace’
Durante la conferenza stampa congiunta con l’inviato speciale dell’Onu, Ghassan Salamé, il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi ha ribadito che la strategia italiana è quella di “parlare con tutti”. Michela Mercuri, docente dell’Università di Macerata, spiega che solo un compromesso può portare alla fine del conflitto, ma che devono essere coinvolti gli attori regionali e internazionali dietro le diverse fazioni, veri motori delle ostilità
“L’Italia si è mossa su una linea, quella di continuare a parlare con tutti“, ha detto il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, durante la conferenza stampa congiunta con l’inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia, Ghassan Salamé. Ma è proprio questa la principale difficoltà per Roma: riunire intorno a un tavolo fazioni e attori internazionali che non hanno obiettivi comuni, tenendo conto dei difficili equilibri politici, economici, tribali e anche religiosi che influenzano le fluide alleanze nel Paese nordafricano. Se lo scontro militare tra le forze del generale Khalifa Haftar e quelle del capo del governo di accordo nazionale sostenuto dalle Nazioni Unite, Fayez al-Sarraj, si mantiene su un equilibrio motivato anche dal sostegno esterno degli attori regionali e internazionali, a fare la differenza, come già successo nella lotta per sconfiggere la provincia interna dello Stato Islamico e, nel 2011, per spodestare il Rais Muammar Gheddafi, sono le forze di Misurata. “L’Italia ha sposato l’approccio del dialogo con tutte le parti – spiega a Ilfattoquotidiano.itMichela Mercuri, docente dell’Università di Macerata e autrice del libro Incognita Libia, cronache di un Paese sospeso (Francoangeli) -, ma sbilanciarsi troppo verso Haftar, oltre a indebolire il legame con al-Sarraj, mette il governo in contrasto con i misuratini, vicini ai Fratelli Musulmani, che il generale della Cirenaica ha più volte definito ‘terroristi’. Quella con al-Sarraj è un’alleanza di facciata, per trovare un equilibrio occorre parlare con le milizie sul campo”.
Haftar, al-Sarraj e Misurata: le tre forze in campo. “Ma dipendono dalle milizie”
Le cronache raccontano di due blocchi principali che sono andati allo scontro: le forze legate ad Haftar e quelle che proteggono la Tripoli di al-Sarraj. Terzo potere, la “città-Stato” di Misurata con le sue ambizioni d’indipendenza. A muovere le pedine sul terreno sono, però, gli appoggi esterni di cui questi gruppi riescono a godere.Tobruk riceve gli aiuti sia economici che militari di tre pezzi da novanta nella regione: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto. Un blocco legato anche quando si tratta di stringere alleanze nel Golfo. A questi si aggiunge il supporto della Russia e quello mal nascosto della Francia, che nei giorni scorsi si è però appiattita sulle posizioni delle Nazioni Unite chiedendo un “cessate il fuoco immediato”.
“Haftar riceve i finanziamenti di sauditi ed emiratini – continua Mercuri – Ha incontrato i vertici dei due governi a Riyad ed è lì che ha ottenuto il placet per sferrare l’offensiva”. Il leader della Cirenaica può contare, dicono alcune stime, “su 70mila uomini, molti dei quali mercenari, anche se è difficile dare un numero preciso. Ha una forte milizia aerea che Misurata, ad esempio, non ha. Fino a quando avrà il sostegno degli attori regionali potrà portare avanti questa campagna militare. Se finisce il sostegno, però, finisce la campagna”.
La difficoltà principale per Haftar è quella di tenere insieme diverse milizie che combattono sotto la sua bandiera esclusivamente per motivi economici. Un problema che condivide con il suo principale avversario, al-Sarraj, anche lui appoggiato da gruppi di mercenari locali che traggono guadagno dai finanziamenti provenienti dagli alleati e dalla gestione dei centri di detenzione“ufficiali”. “Si tratta di alleanze molto labili – dice la docente -, stiamo parlando di mercenari. Prendiamo le Forze speciali di deterrenza Rada, ad esempio. A un certo punto si erano avvicinate ad Haftar, salvo poi tornare sui propri passi. Mossa simile a quella fatta dalle milizie diZintan. Il cambio di casacca, insomma, non è mai da escludere”. Il fatto che a sostenere al-Sarraj siano soprattutto i Paesi europei, staccati dalle dinamiche interne, rende la leadership del premier di Tripoli meno salda rispetto a quella del suo avversario. Ed è anche per questo che al-Sarraj potrebbe tornare a battere cassa al di là del Mediterraneo, agitando lo spauracchio dell’invasione migratoria, così come Haftar sventola quello della lotta al terrorismo.
Il problema dei cambi di casacca non tocca, ad esempio, le forze di Misurata, dove il denominatore comune si chiama indipendenza. In un clima di sostanziale equilibrio, il loro sostegno militare può spostare l’asticella in favore di una delle due forze. Pur non ritenendosi alleati di al-Sarraj, e in alcuni casi lo hanno dimostrato non schierandosi a protezione del governo di Tripoli, si può certo affermare che i combattenti della città costiera vedano in Haftar il nemico pubblico numero uno:
“Le forze di Misurata possono contare su circa 40mila uomini – dice Mercuri – sostenuti da armie finanziamenti di Paesi molto vicini alla Fratellanza Musulmana comeQatar e Turchia. Ma qui a tenere unito il fronte non sono i soldi, ma la voglia d’indipendenza”. Di una cosa, però, Mercuri è convinta: “La situazione attuale è frutto del sostegno esterno alle diverse fazioni. Solo un tavolo di pace che includa questi attori può portare a unaconclusione del conflitto“.
L’apertura ad Haftar e la paura di perdere Misurata
Proprio sull’apertura a tutti i soggetti e alla ricerca di un equilibrio che non scontenti nessuno è basata la nuova strategia del governo italiano inaugurata con la conferenza di Palermo del novembre scorso che, però, non ha portato i risultati sperati. In quell’occasione, Moavero volò da Haftar per invitarlo all’incontro siciliano. Incontro che portò alla stretta di mano tra il generale e il premier di Tripoli, con il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a fare da mediatore. Nelle scorse settimane, poi, il ministro degli Esteri ha incontrato il vicepremierAhmed Maitig, esponente misuratino, pochi giorni dopo il meeting tra Conte e un emissario dell’autoproclamato governo di Tobruk. “Gli europei potrebbero spingere per un dialogo tra Haftar e Misurata che potrebbe sbloccare la situazione – continua l’analista -, ma al momento le posizioni sono molto distanti. Molti attori del nostro continente sono ancora molto vicini alle posizioni dell’ovest, di Tripoli, con la Francia che invece ha guardato fino a ora ad Haftar. Per noi, al-Sarraj è una faccia spendibile più delle altre, ma sappiamo bene che se vogliamo raggiungere la pace dobbiamo trovare un equilibrio tra questi tre blocchi, comprese le milizie che li compongono”.