LORENZO TROMBETTA, LIMESONLINE, 8 MAGGIO 2019 ::: Un anno dopo, l’Iran resiste ed è pieno di alleati–IL RITIRO DEGLI USA NON HA COMPROMESSO LA POSIZIONE REGIONALE DELLA REPUBBLICA ISLAMICA

 

limesonline.com  – 8 maggio 2019

http://www.limesonline.com/iran-accordo-nucleare-ritiro-usa-un-anno-rohani-trump/112380

 

 

Un anno dopo, l’Iran resiste ed è pieno di alleati

LO STRILLONE DI BEIRUT

Carta di Laura Canali

Il ritiro degli Usa dall’accordo sul nucleare non ha compromesso la posizione regionale della Repubblica Islamica.

 

di Lorenzo Trombetta

 

L’8 maggio 2018 il presidente degli Stati Uniti Donald Trump annunciava il ritiro dal Piano d’azione congiunto sul nucleare (Jcpoa) negoziato tra il 5+1 (Usa, Regno Unito, Francia, Russia, Cina + Germania), l’Unione Europea e l’Iran.


Da allora l’Iran, che esattamente un anno dopo ha ripreso lo stoccaggio di uranio arricchito e acqua pesante (sospendendo parzialmente l’applicazione dell’accordo), è rimasto saldo nelle sue posizioni in tutto il Medio Oriente, pur soffrendo di una profonda crisi socio-economica interna.


Dall’Asia centrale al Mediterraneo, dall’Oceano indiano al Mar Caspio, la Repubblica islamica conta sulle sue gambe e su quelle di una serie di alleati locali. Gli Hezbollah in Libano, la Jihad islamica a Gaza, gli huthi in Yemen, i governi iracheno e siriano. Ha trovato una sponda nel Qatar, spina nel fianco dei sauditi nella Penisola araba e nel Golfo, e mantiene rapporti cordiali con la Turchia, tradizionale partner strategico nei commerci.


Con la Russia, l’Iran mantiene una forte convergenza di interessi, non solo sulla Siria. Oggi a Mosca il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov incontrerà il suo omologo iraniano Javad Zarif. Secondo il ministero russo, “durante i colloqui si prevede di discutere lo stato attuale dei legami tra Russia e Iran e le misure specifiche volte a migliorarli, si prevede di ‘sincronizzare gli orologi’ sulle questioni globali e regionali chiave, incluso l’accordo siriano, il Mar Caspio, il Caucaso meridionale, l’Asia centrale, la Shanghai Cooperation Organization, l’accordo sul nucleare e il Venezuela”.


A sorpresa, ieri il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha fatto visita a Baghdad. Da qui ha ribadito la preoccupazione di Washington per “la crescente attività” minacciosa dell’Iran nella regione. Le autorità irachene hanno assicurato che proteggeranno gli interessi statunitensi nel paese di mezzo. L’Iraq infatti è in mezzo tra l’Iran e il resto del Medio Oriente. Il governo è fortemente vicino alle posizioni della Repubblica islamica, che negli ultimi 15 anni ha accresciuto la sua forza e influenza nell’Iraq centrale e meridionale. Nei giorni scorsi le milizie filo-iraniane hanno cominciato una vasta campagna militare al fianco delle forze governative “contro lo Stato Islamico” nell’Iraq occidentale, centrale e settentrionale.


Attraverso i suoi alleati, l’Iran arriva al confine con la Siria. Paese nel quale è presente da tempo in quasi tutta la regione a ovest dell’Eufrate. Dall’altra parte del fiume, gli americani indugiano nel loro annunciato ritiro. Non è chiaro cosa ne sarà dei soldati Usa in Siria; per il momento sembra che la volontà di lasciare il paese sia stata messa da parte. Forse anche a causa dei timori di un rafforzamento della influenza iraniana. Comunque, l’Iran è presente in Siria su ampia scala: da Aleppo nel nord fino a Damasco e  all’estremo sud di Suwayda e nella Badia, al centro del paese, passando per Hama e Homs, lambendo il confine libanese.


In Libano gli Hezbollah, anch’essi presenti ancora in Siria, sono il pilastro della politica iraniana sul Mediterraneo, che mira a impensierire Israele, dichiarato principale nemico della Repubblica islamica. La Russia ha negoziato con l’Iran un ridispiegamento delle sue truppe dal sud-ovest della Siria e verso Damasco, in modo da allontanare di alcune decine di chilometri la minaccia iraniana allo Stato ebraico, interlocutore chiave di Mosca. Ma Israele ha intensificato nei mesi e nelle scorse settimane i raid aerei contro presunte basi militari iraniane e depositi militari di Hezbollah in tutta la fascia territoriale della Siria meridionale e centrale, incluso l’aeroporto di Damasco. Nei giorni scorsi il Jihad islamico si è reso protagonista di una campagna di lanci di razzi contro Israele dalla Striscia di Gaza. Difficile misurare la paternità iraniana dell’azione militare, ma è indubbio che Hamas e ancora più il Jihad islamico cerchino nell’Iran un sostegno politico e finanziario.


In Yemen, gli insorti huthi non hanno con l’Iran lo stesso legame organico che hanno gli Hezbollah in Libano. Ma, al di là delle differenze dottrinali tra lo sciismo zaydita degli huthi e quello imamita dell’Iran, è indubbio che il movimento armato yemenita abbia trovato nella Repubblica islamica un sostenitore politico e diplomatico con cui condivide un’affinità ideologica di fondo.


Se gli Huthi controllano parte dello Yemen, inclusi la capitale Sanaa e un tratto di costa lungo il Mar Rosso, l’Iran ha un alleato di fatto dall’altra parte della Penisola araba: il Qatar. Tra i due paesi non c’è nessun accordo politico, ma Doha si è trovata a relazionarsi sempre di più con Teheran da quando, nel maggio di due anni fa, l’Arabia Saudita e i suoi alleati (Egitto, Bahrain, Emirati Arabi Uniti) hanno imposto un assedio al Qatar, accusandolo di “sostenere il terrorismo” dei Fratelli musulmani.


L’Arabia Saudita del principe ereditario Mohammed bin Salman cerca di sfruttare l’alleanza con gli Stati Uniti e il Pakistan proprio in funzione anti-iraniana. Nel Mediterraneo i sauditi cercano di accreditarsi agli israeliani, sempre in funzione antipersiana.


Ciò finisce per rafforzare la retorica iraniana. Teheran conserva velleità di presentarsi sul teatro panislamico come l’attore che difende i musulmani tutti – non solo gli sciiti – dalle angherie dei nemici dell’Islam.


Tra questi, gli Stati Uniti e Israele sono le icone del male di sempre:Mar barg Amrika, mar barg Israil!

 

Carta di Laura Canali, agosto 2018

Carta di Laura Canali, agosto 2018

 

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