L’AMACA DI MICHELE SERRA :: QUALCOSA DA IMPARARE… — REPUBBLICA DEL 6 APRILE 2019 –pag. 26

Metto in palio un premio. Sul serio. Questo è un bando ufficiale. Un euro (simbolico) e una cena a casa mia (non simbolica, cucino io) per il primo ospite di un talk show politico, di qualunque partito, di qualunque orientamento, che nel corso di un dibattito dica al suo competitor: «Ma lo sa che lei ha detto una cosa molto interessante, molto intelligente? Io non ci avevo mai pensato. Lei mi ha insegnato qualcosa. La ringrazio». È un premio che rischia di non essere mai assegnato. In tanti (troppi) anni di frequentazione, quasi solo da spettatore, della cosiddetta agorà televisiva, non mi è mai capitato di imbattermi in qualcuno che riconoscesse le ragioni del suo dirimpettaio di sgabello o di poltrona. Non so se dipenda dallo zelo quasi scientifico con il quale autori e conduttori convocano in studio persone selezionate per la zuffa, come i galli da combattimento messicani. Fatto sta che in televisione nessuno sembra andarci per imparare qualcosa. Solo per impartire lezioni. Per smentire, correggere, interrompere, contraddire, denunciare, fare le pulci, sbuffare, scuotere la testa. Si chiama santanchismo, è un neologismo che propongo al vaglio della Crusca. Vero è che, con il trascorrere degli anni, si impara sempre di meno: è come se la spugna del nostro cervello disseccasse. Ognuno di noi, alla lunga, santancheggia. E dunque non rimane che sperare nell’incidente, anzi nello scandalo di una tizia o di un tizio che, in diretta, mentre il conduttore sviene per lo sgomento, ammetta di avere qualcosa da imparare dagli altri.