ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE–VENEZIA
Lì, di fronte alla celeberrima piazza San Marco, oltre mille anni fa la Repubblica Serenissima donò l’isola di San Giorgio ai monaci benedettini che vi edificarono un grande Monastero e la meravigliosa Abbazia palladiana che cattura gli obiettivi fotografici di ognuno dei milioni di visitatori che giungono a Venezia. Lì, nel 1799, si celebrò persino un Conclave, che consentì di superare uno dei momenti più drammatici della vita della Chiesa, mentre le armate francesi occupavano l’Italia intera, Roma compresa, con l’elezione al soglio pontificio di Pio VII Chiaramonti. Lì, oggi, la Santa Sede sceglie di offrire un messaggio al mondo intero, partecipando per la prima volta alla Biennale Internazionale di Architettura.
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Ad ispirare il padiglione sarà la “cappella nel bosco” (Skogskapellet) realizzata nel cimitero di Stoccolma da Gunnar Asplund nel 1920: dieci cappelle sparse in un bosco per creare un luogo fantastico, fortemente evocativo e simbolico, che invita a riflettere sulla vita e sulla dignità della singola persona.
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Il padiglione nell’isola di San Giorgio sarà anche un’ottima occasione per visitare la rassegna “Le Stanze del Vetro” che la Fondazione Cini e la Fondazione Querini Stampalia hanno ideato per favorire l’incontro fra creatività contemporanea, design e tecnica vetraria – identità della vicina isola di Murano – esponendo le opere di una ventina di artisti incluse nella collezione di Cirva ‒ Centre international de recherche sur le verre et les artes plastiques di Marsiglia.
IL GIORNALE DELLE FONDAZIONI –15 APRILE 2018
FRANCESCO GUARDI, Il Bacino di San Marco con l’Isola di San Giorgio Maggiore e la Punta della Dogana
FONDAZIONE CINI
Questa isola affacciata sul bacino di San Marco è ricca di storia ed architettura. Prima monastero, poi decaduta con la fine della Serenissima, abbandonata e poi trasformata in caserma da Napoleone e poi durante il breve dominio austriaco e poi abbandonata. Con l’impulso del conte Cini, in cinque anni di lavori ininterrotti, dal 1951 al 1956 il complesso abbaziale fu restituito all’antico splendore ed oggi ospita la sede della fondazione che si occupa di promozione culturale ed ospita prestigiosi convegni ed eventi.
Telefono: +39
Orari: Sabato e Domenica 10.00 – 16.00
Indirizzo: Isola di S.Giorgio Maggiore, 30133 Venezia VE
https://www.hotel-heureka.com/it/isola-di-san-giorgio-e-fondazione-cini/
19 MARZO 2019
Maurice Marinot. Il vetro, 1911-1934. La mostra organizzata da LE STANZE DEL VETRO sull’Isola di San Giorgio Maggiore
Immagine di copertina: Flacone appiattito, 1925. Vetro trasparente con bolle, inclusioni blu a caldo tra gli strati © MAD, Paris / Jean Tholance
Legato Louis e Alice Barthou
Preview stampa: venerdì 22 marzo 2019 alle 11.30
Dal 25 marzo al 28 luglio 2019
Orari: 10 – 19, chiuso il mercoledì
LE STANZE DEL VETRO, Fondazione Giorgio Cini
Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia
Biglietteria: ingresso libero
Catalogo: Skira
Info: info@lestanzedelvetro.org | info@cini.it | www.lestanzedelvetro.org | www.cini.it
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Produzione: Fondazione Giorgio Cini onlus e Pentagram Stiftung
Allestimento: Eric Benqué
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vetri della collezione del Musée d’Art Moderne di Troyes, Maurice Marinot, Fondazione
Grande flacone, acqua che cade, 1928 Vetro trasparente con inclusioni blu a caldotra gli strati e inciso all’acido
Studi e variazioni per i vasi della Maison Cubiste, circa 1912-1913
Il percorso creativo dell’artista, nella mostra, è indagato attraverso opere smaltate, vetri e disegni preparatori che cercando di dare una visione complessiva dell’operato di un artista grande ma ancora poco conosciuto presso il grande pubblico.
( immagini da Internet)
Vetro che diventa carne. Le rivoluzionarie ricerche soffiate di Maurice Marinot a Venezia
dettaglio di una bottiglia –Detail of a bottle, 1929, bubbled and acid-etched glass.
1933
Flacone ovoidale méplat, decoro intercalato a craquelé, 1927, alt. cm 15, firma incisa marinot, Doc. Claude Aguttes Commissaire Priseure Neuilly.
Maurice Marinot – glass vase, 1925.
vetro smaltato, 1911
1922
le tre ballerine, 1922
da questo link, il seguente::: TESTO DI FRANCO BORGA
Maurice Marinot un maître verrier dell’Art Déco
Flacone di forma ovale fusellato con collo rettangolare a decoro intercalato e profondamente intagliato alla mola,1925, alt. cm 12, firma incisa marinot.
Doc. Sotheby’s
La forte personalità di Maurice Marinot ha influenzato l’arte vetraria del suo tempo. Tra il 1911 e il 1937 Marinot s’impone diventando un creatore personalissimo; il suo stile unico e nuovo che testimonia la libertà di ispirazione e una particolare interpretazione plastica, lo fa il maestro verrier capo-scuola che tratta il vetro come una meravigliosa fonte di luce, evocante la fluidità dell’aria e dell’acqua.
Nato a Troyes il 20 marzo 1882 da una famiglia di artigiani cappellai, frequenta il liceo di Troyes senza riuscire a diplomarsi; si iscrive allora alle Beaux Arts di Parigi nel 1901, dove frequenta i corsi tenuti da Fernand Cormon, ma giudicato indisciplinato per il suo carattere ribelle che non accetta di dipingere secondo i canoni accademici, viene espulso con la motivazione “sovversivo e pericoloso”.
Flacone ovoidale méplat, decoro intercalato a craquelé, 1927, alt. cm 15, firma incisa marinot, Doc. Claude Aguttes Commissaire Priseure Neuilly.
Marinot continua a lavorare assiduamente per conto proprio e a frequentare i suoi amici di Accademia; nel 1905, a soli 23 anni, esordisce al Salon d’Automne con gli amici del gruppo dei Fauves: Matisse, Dérain, Marquet, Van Dongen, Vlaminck, Dufy e Puy. Le loro opere sono contestate dal pubblico e stroncate dai critici; amareggiato, Marinot si ritira nella sua città natale e le sue visite alla capitale saranno solo in occasione di rare mostre.
Nel 1910 è chiamato con Maurice de Vlaminck e Othon Friesz a far parte della Commissione artistica al Salon d’Automnee allo stesso Salon, nel 1912, espone con il gruppo Duchamp-Villon, Jacques Villon, Roger de la Fresnaye, Marie Laurecin, Robert e Sonia Delaunay. Nel 1913 partecipa con Kandinsky, Léger, Picabia e Marcel Duchamp all’esposizione dell’Armory Show, presentata a New York, Chicago e Boston. Dopo questa data cessa di esporre, senza mai però abbandonare la pittura. Si calcola che la sua produzione ammonti a circa 2.500 tele dipinte nell’arco della sua vita; purtroppo ne sono andate perse una gran parte per i bombardamenti che distruggono il suo studio a Troyes durante la seconda guerra mondiale. Molti suoi dipinti sono nei musei di Lione, Calais, Sète, Grenoble, Strasburgo, Troyes, Bruxelles, Boston, New York.
Vaso a decoro intercalato con grosse bolle d’aria, 1925, alt. cm 11,5, firma incisa marinot. Doc. Sotheby’s.
L’interesse di Marinot al vetro si manifesta nel 1911 dopo una sua visita agli amici, i fratelli Viard, proprietari di una vetreria che produce gobeleterie a Bar-sur-Seine, dove, dopo i preliminari accordi, è accettato nella fabbrica, prima per apprendere a sue spese, poi per eseguire, per proprio conto, le sue opere. Marinot incomincia questa esperienza in vetreria da dilettante, senza sapere che verrà ad assumere il ruolo di maestro innovatore, rimasto vacante alla morte di Gallé.
Vive a Troyes e quotidianamente si reca in vetreria a Bar-sur-Seine: nel decennio dal 1911 al 1921 decora i vetri da lui disegnati e per lui soffiati da un artigiano di Viard. Sono vasi, coppe, bottiglie e piatti che dipinge finemente a smalti policromi, a soggetti floreali stilizzati, ghirlande di fiori, frutti, uccelli, deliziose figurine o splendidi nudini con sensibilità già Art Déco.
Assieme ai suoi quadri, presenta al pubblico per la prima volta i vetri nel 1911 al Salon des Independants; il consenso della critica e del pubblico avviene in occasione della sua prima personale alla Galleria Adrien Hébrard a Parigi nel 1913, quando afferma: Les idées que j’ai sur l’art du verre sont naturellement les mémes que celles que j’ai sur la peinture elle méme (L ‘Art el les Artistes). La guerra del 1914 interrompe la sua attività di vetraio. Egli presta il servizio militare, per ritornare da Viard nel 1919, dopo aver fatto un viaggio in Marocco, dove rimarrà colpito dai colori e dall’atmosfera, che riporterà nelle sue opere. Maurice Marinot, continuando il suo cammino solitario che nulla deve a scuole, maestri o correnti, si propone di valorizzare al massimo la materia vetro e, da creatore verrier, inizia nel 1919 egli stesso a soffiare e a dar forma ai suoi pezzi.
Flacone ovoidale a decoro intercalato con bolle d’aria, 1925, alt. cm 14,7, firma incisa marinot.
Abbandona, nel 1921-22 le figure dipinte a smalto e adotta nuove tecniche, creando vetri con vita e autonomia propria. I nuovi vetri, soffiati in ripetuti strati sovrapposti, prendono uno spessore insolito, in cui egli volutamente provoca l’incorporazione delle bulles (rotonde o allungate), bollicine ottenute con gas o aria compressa che simulano gocce d’acqua. A volte, durante la soffiatura, ottiene effetti particolari intercalando fra gli strati polvere di rame o limatura di metallo o anche paillettes d’oro. In altri pezzi, con l’ottica del pittore, fa vivere fra gli strati colori maculati, tigrati, macchioline con nervature simili a ragnatele, ottiene effetti tartaruga, o craquelures, formanti magici decori astratti. Alla calotta così realizzata con una o più di queste varie tecniche, ne sovrappone un’altra in vetro incolore che la racchiude (vetri sandwich). Nello stesso periodo Marinot incide su vasi, coppe, flaconi in vetro trasparente, ad acido o alla ruota o con tutte e due le tecniche combinate, passando da una figurazione stilizzata alla pura geometria, poi all’astrazione.
Taglia a larghe facce massicci vasi, li istoria con tratti essenziali di donne dai movimenti perfetti, di volatili, di rose, in completo accordo con il supporto vitreo.
Nelle opere del 1925 le morsure ad acido (il pezzo è immerso nella vasca dell’acido anche 30 volte) nella robusta struttura del vetro diventano sempre più profonde; in taluni casi Marinot arriva ad incidere fino a tre centimetri per ottenere il decoro, sovente simmetrico, di losanghe, triangoli, quadrati.
Flaconi a decoro intercalato con bolle d’aria, il più piccolo lavorato a caldo, 1927-28, altezza cm. 13,7, cm. 10,7, cm. 14,4 e cm.7,7, firme incise marinot. Doc. Habsburg e Feldman Ginevra.
Il nuovo stile trionfa all’Esposition des Arts Décoratifs di Parigi del 1925; l’artista è presente con le sue opere in ben quattro pavillons: con la Galleria Hébrard, con gli arredatori Süe et Mare, nella sala dell’Ambasciata francese presenta un’intera vetrina (delegato dalla Société des Artistes Décorateurs) e nel salone dell’Industria del vetro espone accanto a René Lalique, il quale è il primo a convenire e riconoscere i valori creativi e tecnici di Marinot. Le sue opere sono tutte fuori concorso in quanto vibrazioni e ritmi con l’incisione ad acido o alla ruota: tali opere restano l’espressione più alta della sua abilità d’artista.
Nel 1932 gli viene conferito il titolo di cavaliere della Légion d’Honneur; lo stesso anno espone con una mostra personale alla galleria Brummer di New York. Partecipa a mostre collettive in Germania, Inghilterra, Svezia e Giappone ed è invitato a presentare i suoi vetri alla Biennale di Venezia (sezione Arti Decorative), invito che gli sarà ripetuto anche nel 1934. Nello stesso anno la sua opera in vetro (con le riprese del maestro al lavoro) è oggetto di un documentario, realizzato da Jean Benoit Lévy e commentato dal critico René Chavance.
Flaconi e vaso a decoro intercalato, 1925,
altezze cm 19,1, cm 13, cm 8,6, e cm 15,2, firme incise marinot. Doc. Sotheby’s.
Quando la vetreria Viard cessa l’attività nel 1937, cosciente di aver detto e dato tutto con l’arte del vetro, Marinot, a soli 55 anni, all’apice della carriera e al massimo dei riconoscimenti, si ritira dopo aver partecipato all’Esposizione Internazionale di Parigi.
Ritorna ai suoi pennelli dedicandosi a quella che era stata la sua prima passione, la pittura: J’ai été peintre, je suis devenu verrier, mais je n’ai jamais cessé de peindre et j’ai continué depuis que j’ai cessé d’Otre verrier (Catalogo Mostra).
La sua opera in vetreria (come in pittura) comprende circa 2.500 pezzi, tutti esemplari unici, messi sul mercato a Parigi da Adrien Hébrard (mercante e fonditore dei bronzi di Degas, Dalou, Bugatti, Bourdelle, Mattey, Guino) che, fino al 1934 organizza nella sua galleria tutte le mostre delle creazioni del maestro; dal 1934 al 1937 è la galleria di Jacques Zoubaloff che ne cura le esposizioni.
Nel 1948 la galleria Charpentier di Parigi dedica a Marinot un’esposizione. Dal 1950, le esposizioni collettive si moltiplicano, al movimento Fauve il Museo d’Arte Moderna di Parigi dedica due mostre, nel 1951 e 1966, il Museo d’Arte Decorativa di Parigi espone molti vasi e flaconi di Marinot nella mostra dedicata al vetro del 1951.
Maurice Marinot si spegne dopo una lunga malattia nella sua città natale l’8 febbraio 1960, all’età di 78 anni.
La città di Lione nel 1965 gli dedica un’importante esposizione retrospettiva che comprende sia le opere in vetro, sia quelle di pittura. Le mostre si susseguono, l’ultima e più significativa presentazione dell’opera completa di Marinot si è svolta al Museo dell’Oragerie di Parigi nel 1990.
I suoi vetri sono per la grande maggioranza custoditi in vari musei del mondo, difficilmente reperibili sul mercato. Fra i numerosi musei che possiedono suoi vetri sono da citare:
− Musée du Petit Palais, Parigi
− Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris
− Musée National d’Art Moderne, CNAC GP, Parigi
− Musée des Arts Décoratifs, Parigi
− Musée des Beaux Arts, Lione
− Musée de Strasburgo
− Musée des Beaux Arts de Béziers (una sala Marinot)
− National Gallery of Ireland, Dublino
− Museum Kröller-Muller, Otterloo
− Museum Cooper Hewith, New York
− Museum Art Institute, Chicago
− Museum of Art, Filadelfia
− Museum of Fine Art, Cleveland
− Kunstgewerbe Museurn, Zurigo
− Musée de Dunkerque (una sala Marinot)
− Metropolitan Museum, New York
− Corning Glass Museum, Corning – The Brooklyn Museum, New York
− Galleria Nazionale, Praga
− Victoria and Albert Museum, Londra
− Kunstmuseum, Düsseldorf
– Musée Royal d’Art, Bruxelles
La firma, scritta a smalto, incisa alla punta o ad acido è marinot.
Franco Borga
Il vetro è una materia affascinante: duro e resistente, ma anche fragilissimo e pronto a frantumarsi come l’animo umano.
Metto qui la nota il risvolto di copertina del libro ” La città dolente” di Vezio De Lucia, urbanista e saggista, già direttore generale dell’Urbanistica presso il ministero dei lavori pubblici, poi assessore, sempre all’urbanistica, del Comune di Napoli nel primo mandato di Bassolino. E’ stato segretario generale dell’Istituto nazionale di urbanistica, fondatore del Comitato per la bellezza, consigliere nazionale di Italia Nostra… Ha collaborato con “Il Messaggero”, “l’Unità” e ” il Manifesto”.
Da ” La città dolente”, Vezio De Lucia,2013, Lit Edizioni Castelvecchi RX:
” Il 13 aprile del 1963 segna il punto di non ritorno nella svendita dell’Italia a costruttori e palazzinari: quel giorno “Il Popolo”, quotidiano ufficiale della DC, scrive che nello schema della nuova legge urbanistica presentato dal ministro dei lavori pubblici Fiorentino Sullo ( basato sull’esproprio delle aree edificabili) non era “in alcun modo impegnata la responsabilità della Democrazia Cristiana”: Svanì così- con la netta stroncatura da parte dello stesso partito di Sullo- la possibilità di sottrarre le nostre città alla violenza della speculazione fondiaria che aveva avuto il via libera alla fine della Seconda Guerra Mondiale. A dare carattere definitivo alla sconfitta contribuì il tentativo di colpo di stato dell’estate del 1964 ( il cosiddetto Piano Solo) ordito dalla Presidenza della Repubblica e da ambienti politici e padronali atterriti dalla proposta di riforma urbanistica.
Decenni di storia e cronache di “signori” del cemento armato, di paesaggi devastati, alluvioni, terremoti e tanta incompetenza. Da Milano ad Agrigento, da Napoli a Roma, da Venezia all’Aquila, da Taranto a Sesto San Giovanni. Anche se non sono mancati politici, amministratori e tecnici che hanno dato luce a speranze di cambiamento. ma il declino inesorabile, secondo De Lucia, è cominciato dopo gli anni Ottanta con l’affermazione del pensiero unico neoliberista che ha quasi del tutto azzerato l’urbanistica. E poi il berlusconismo, quello delle grandi opere inutili e dannose e dei ” padroni in casa propria”: la proprietà avanti a tutto, la proprietà purchessia, quella delle grandi immobiliari e quella miserabile degli abusivi. Un libro duro, una nitida fotografia di un’Italia svenduta al partito del cemento ma che consegna anche una proposta politica per arrestare il degrado”.
Segnalo un film che ho visto ieri sera su Sky Cinema 2, ” Morto Stalin se ne fa un altro”, commedia grottesca di Armando Iannucci, 2017. Il film racconta, con personaggi storici reali, i giorni della morte di Stalin e delle lotte senza quartiere del gruppo dirigente. La narrazione ha il ritmo della commedia, pur essendo le vicende nerissime e disgustosi i personaggi. Riesce a trattare un argomento così impietoso con ritmo e umorismo al nero. Credo che sia tratto da un libro, che però non sono riuscita a scrivere in tempo.