DANTE, LA DIVINA COMMEDIA, PURGATORIO —CANTO XI — è un canto dolcissimo, se volete leggerlo un po’—la responsabilità di ” questo corso accelerato di lettere ” è di DOMENICO MATTIA TESTA!

 

I superbi in un’illustrazione di Gustave Doré, con tra loro Omberto Aldobrandeschi

 

“O Padre nostro, che ne’ cieli stai,
non circunscritto, ma per più amore
ch’ai primi effetti di là sù tu hai, 3

laudato sia ’l tuo nome e ’l tuo valore
da ogne creatura, com’è degno
di render grazie al tuo dolce vapore. 6

Vegna ver’ noi la pace del tuo regno,
ché noi ad essa non potem da noi,
s’ella non vien, con tutto nostro ingegno. 9

Come del suo voler li angeli tuoi
fan sacrificio a te, cantando osanna,
così facciano li uomini de’ suoi. 12

Dà oggi a noi la cotidiana manna,
sanza la qual per questo aspro diserto
a retro va chi più di gir s’affanna. 15

E come noi lo mal ch’avem sofferto
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
benigno, e non guardar lo nostro merto. 18

Nostra virtù che di legger s’adona,
non spermentar con l’antico avversaro,
ma libera da lui che sì la sprona. 21

Quest’ultima preghiera, segnor caro,
già non si fa per noi, ché non bisogna,
ma per color che dietro a noi restaro”. 24

Così a sé e noi buona ramogna
quell’ombre orando, andavan sotto ’l pondo,
simile a quel che talvolta si sogna, 27

disparmente angosciate tutte a tondo
e lasse su per la prima cornice,
purgando la caligine del mondo. 30

Se di là sempre ben per noi si dice,
di qua che dire e far per lor si puote
da quei c’ hanno al voler buona radice? 33

Ben si de’ loro atar lavar le note
che portar quinci, sì che, mondi e lievi,
possano uscire a le stellate ruote. 36

“Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi
tosto, sì che possiate muover l’ala,
che secondo il disio vostro vi lievi, 39

mostrate da qual mano inver’ la scala
si va più corto; e se c’è più d’un varco,
quel ne ’nsegnate che men erto cala; 42

ché questi che vien meco, per lo ’ncarco
de la carne d’Adamo onde si veste,
al montar sù, contra sua voglia, è parco”. 45

Le lor parole, che rendero a queste
che dette avea colui cu’ io seguiva,
non fur da cui venisser manifeste; 48

ma fu detto: “A man destra per la riva
con noi venite, e troverete il passo
possibile a salir persona viva. 51

E s’io non fossi impedito dal sasso
che la cervice mia superba doma,
onde portar convienmi il viso basso, 54

cotesti, ch’ancor vive e non si noma,
guardere’ io, per veder s’i’ ’l conosco,
e per farlo pietoso a questa soma. 57

Io fui latino e nato d’un gran Tosco:
Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre;
non so se ’l nome suo già mai fu vosco. 60

L’antico sangue e l’opere leggiadre
d’i miei maggior mi fer sì arrogante,
che, non pensando a la comune madre, 63

ogn’uomo ebbi in despetto tanto avante,
ch’io ne mori’, come i Sanesi sanno,
e sallo in Campagnatico ogne fante. 66

Io sono Omberto; e non pur a me danno
superbia fa, ché tutti miei consorti
ha ella tratti seco nel malanno. 69

E qui convien ch’io questo peso porti
per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
poi ch’io nol fe’ tra ’ vivi, qui tra ’ morti”. 72

Ascoltando chinai in giù la faccia;
e un di lor, non questi che parlava,
si torse sotto il peso che li ’mpaccia, 75

e videmi e conobbemi e chiamava,
tenendo li occhi con fatica fisi
a me che tutto chin con loro andava. 78

“Oh!”, diss’io lui, “non se’ tu Oderisi,
l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte
ch’alluminar chiamata è in Parisi?”. 81

“Frate”, diss’elli, “più ridon le carte
che pennelleggia Franco Bolognese;
l’onore è tutto or suo, e mio in parte. 84

Ben non sare’ io stato sì cortese
mentre ch’io vissi, per lo gran disio
de l’eccellenza ove mio core intese. 87

Di tal superbia qui si paga il fio;
e ancor non sarei qui, se non fosse
che, possendo peccar, mi volsi a Dio. 90

Oh vana gloria de l’umane posse!
com’ poco verde in su la cima dura,
se non è giunta da l’etati grosse! 93

Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
sì che la fama di colui è scura. 96

Così ha tolto l’uno a l’altro Guido
la gloria de la lingua; e forse è nato
chi l’uno e l’altro caccerà del nido. 99

Non è il mondan romore altro ch’un fiato
di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perché muta lato. 102

Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
da te la carne, che se fossi morto
anzi che tu lasciassi il ’pappo’ e ’l ’dindi’, 105

pria che passin mill’anni? ch’è più corto
spazio a l’etterno, ch’un muover di ciglia
al cerchio che più tardi in cielo è torto. 108

Colui che del cammin sì poco piglia
dinanzi a me, Toscana sonò tutta;
e ora a pena in Siena sen pispiglia, 111

ond’era sire quando fu distrutta
la rabbia fiorentina, che superba
fu a quel tempo sì com’ora è putta. 114

La vostra nominanza è color d’erba,
che viene e va, e quei la discolora
per cui ella esce de la terra acerba”. 117

E io a lui: “Tuo vero dir m’incora
bona umiltà, e gran tumor m’appiani;
ma chi è quei di cui tu parlavi ora?”. 120

“Quelli è”, rispuose, “Provenzan Salvani;
ed è qui perché fu presuntüoso
a recar Siena tutta a le sue mani. 123

Ito è così e va, sanza riposo,
poi che morì; cotal moneta rende
a sodisfar chi è di là troppo oso”. 126

E io: “Se quello spirito ch’attende,
pria che si penta, l’orlo de la vita,
qua giù dimora e qua sù non ascende, 129

se buona orazïon lui non aita,
prima che passi tempo quanto visse,
come fu la venuta lui largita?”. 132

“Quando vivea più glorïoso”, disse,
“liberamente nel Campo di Siena,
ogne vergogna diposta, s’affisse; 135

e lì, per trar l’amico suo di pena,
ch’e’ sostenea ne la prigion di Carlo,
si condusse a tremar per ogne vena. 138

Più non dirò, e scuro so che parlo;
ma poco tempo andrà, che ’ tuoi vicini
faranno sì che tu potrai chiosarlo. 141

Quest’opera li tolse quei confini”.

 

Miniatura del sec. XIV, Roma Biblioteca Chigiana: un fante porta sull’asta la testa di Provenzano Salvani

Giovanni Villani – http://it.wikipedia.org/wiki/File:BATTAGLIA_1269.gif–Bitva u Colle – 1269

 

Parafrasi

«O Padre nostro, che stai nei cieli, non delimitato [da essi], ma l’amore più forte Tu senti per le prime sostanze che creasti lassù,sia lodato il Tuo nome e la Tua potenza da ogni creatura, com’è giusto rendere grazie al Tuo Spirito Santo.Giunga a noi la pace del Tuo regno, perché noi ad essa non possiamo giungere da soli, seppur con tutto il nostro ingegno, se essa non viene [incontro a noi].Come i Tuoi angeli sacrificano per Te la loro volontà individuale, cantando le Tue lodi, così facciano gli uomini con la loro.Dacci oggi il cibo quotidiano, senza il quale in quest’aspro deserto retrocede chi più si affanna ad andare avanti.E come noi perdoniamo a ciascuno il male che abbiamo sofferto, anche tu perdonaci benignamente, e non guardare ai nostri [esigui] meriti.Non mettere alla prova con la tentazione del demonio la nostra virtù che facilmente si abbatte, ma liberaci da colui che la spinge [verso il peccato].Quest’ultima preghiera, Signore amato, non la rivolgiamo per noi, perché non ne abbiamo più bisogno, ma per coloro che sono rimasti dietro di noi [in vita]».Così quelle anime, pregando per sé e per noi un buon augurio, avanzavano sotto il peso [del masso], simile a quello che talvolta ci opprime nel sogno,diversamente oppresse, girando tutte intorno al monte, e stanche lungo la prima cornice, purificandosi dalla cenere delle passioni terrene.Se di là [nel Purgatorio] si prega sempre per noi [viventi], di qua [sulla Terra] cosa si può dire e fare per costoro da parte di chi ha la volontà radicata nella Grazia di Dio?Si deve indubbiamente aiutarle a lavare le macchie del peccato che portarono con sé dal mondo, così che, purificate e leggere, possano salire ai cieli stellati.«Deh, possano la giustizia e la pietà di Dio liberarvi presto, cosicché possiate iniziare il volo, che secondo il vostro desiderio vi innalzi [al cielo],mostrateci da che parte si giunge più rapidamente verso la scala; e se vi è più di un passaggio, indicateci quello che scende meno ripido;perché costui che viene con me, per il peso del corpo di cui è vestito, nel salire è lento, pur contro la sua volontà».Le loro parole, che risposero a queste che aveva pronunciato colui che io seguivonon fu chiaro da chi provenissero;ma fu detto: «Venite con noi verso destra lungo la parete [del monte], e troverete un passaggio attraverso cui è possibile che salga una persona viva.E se io non fossi impedito dal masso che piega il mio capo superbo, per cui sono costretto a volgere lo sguardo a terra,guarderei costui che è ancora vivo e non dice il suo nome, per vedere se io lo conosco, e per indurgli pietà per questa pena.Io fui italiano e nacqui da un nobile Toscano: mio padre fu Guglielmo Aldobrandeschi; non so se il suo nome vi sia mai stato noto.Il nobile sangue e le opere virtuose dei miei antenati mi resero così arrogante, che, non pensando alla nostra origine comune,disprezzai oltremisura ogni uomo, al punto che ne morii, come sanno i Senesi, e lo sa ogni bambino del Campagnatico.Io sono Omberto; e la superbia non ha recato danno solo a me, perché tutti i miei consanguinei essa ha trascinato con sé nella rovina.Ed è necessario che qui io porti questo peso a causa sua, finché Dio non sia soddisfatto, qui tra i morti, poiché non lo feci tra i vivi».Ascoltando, chinai il viso verso il basso; e una di quelle anime, non questa che parlava, si contorse sotto il peso che impedisce i loro movimenti,e mi vide e mi riconobbe, e mi chiamava, tendendo faticosamente gli occhi fissi su di me che procedevo insieme a loro, tutto chino.«Oh!», dissi io a lui, «non sei tu Oderisi, la gloria di Gubbio e l’onore di quell’arte che a Parigi è chiamata alluminare?».«Fratello», disse egli, «splendono di più le pergamene che dipinge Franco Bolognese; la gloria è ora tutta sua, e mia solo in parte.Certo non sarei stato così cortese [nei confronti di Franco Bolognese] mentre ero vivo, per il gran desiderio di eccellere verso cui il mio cuore era rivolto.Di questa superbia qui si paga la pena; e non sarei ancora qui se non fosse accaduto che, pur potendo ancora peccare, mi rivolsi a Dio [pentendomi].Oh vana gloria delle capacità umane! Quanto poco tempo resiste verdeggiante sulla cima, se non è seguita da età di decadenza!Cimabue credette di essere il migliore nella pittura, e ora Giotto ha la celebrità, cosicché la fama del primo ne è oscurata:così Guido Cavalcanti ha tolto a Guido Guinizzelli la gloria della poesia in volgare; e forse è già nato chi caccerà entrambi dalla loro posizione.La fama terrena non è altro che un soffio di vento, che ora spira da una parte e ora da un’altra, e cambia nome perché cambia direzione.Quale fama avrai tu se morirai vecchio, piuttosto che se fossi morto prima di abbandonare i termini infantili,prima che passino mille anni? Che, rispetto all’eternità, sono un tempo più breve di quello di un battere di ciglia rispetto al cerchio celeste che in cielo si volge più lentamente.Tutta la toscana celebrò colui che cammina dinnanzi a me a passi così lenti; mentre ora a malapena se ne bisbiglia a Siena,della quale era signore quando fu abbattuto
la rabbiosa prepotenza di Firenze
, che a quel tempo era superba così come ora è corrotta.
La vostra fama è come il colore dell’erba, che arriva e se ne va, e la scolorisce il sole, grazie al quale essa spunta dalla terra tenera».E io a lui: «Le tue parole veritiere mi infondono nel cuore una sincera umiltà, e mi attenuano il gran gonfiore [della superbia]; ma chi è quello di cui tu parlavi ora?».«Egli è», rispose, «Provenzan Salvani; ed è qui perché ebbe la presunzione di tenere tutta Siena nelle sue mani.Egli ha camminato e continua a camminare in questa posizione, senza riposo, da quando è morto; così soddisfa il suo debito [verso Dio] chi in vita ha osato troppo [in superbia]».E io: «Se quell’anima che aspetta, prima di pentirsi, l’ultimo istante della vita, dimora qui sotto e non sale qua sopra,se una buona preghiera non lo aiuta, prima che passi altrettanto tempo di quanto ha vissuto, come mai fu concessa a lui la salita [in Purgatorio]?».«Quando egli viveva il culmine della gloria», disse, «spontaneamente si fermò nella piazza del Campo a Siena;e lì, per liberare un suo amico dalla pena che scontava nella prigione di Carlo [d’Angiò], si ridusse a tremare in tutto il corpo.Non dirò altro, e so di parlare in modo oscuro; ma passerà poco tempo prima che i tuoi concittadini ti permetteranno di interpretare con chiarezza.Questa opera lo liberò dai confini dell’Antipurgatorio».

 

https://www.studenti.it/canto-11-purgatorio-dante-testo-parafrasi-figure-retoriche.html#s-29417

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