la sua villa, Jako, ad Amburgo, è in vendita per 10 milioni di euro
la villa ad Amburgo
il suo appartamento a Manhattan
L’icona della moda investì anche a New York. Lagerfeld comprò questo appartamento nel 2006 per 6,5 milioni di dollari (5,7 milioni di euro).
La casa ha tre camere da letto e una splendida hall all’entrata che conduce a un salone e a una biblioteca con vista mozzafiato su Gramercy Park.
a Montecarlo ha vissuto per molto tempo qui, a Villa la Vigie, la storica villa tutta arredata da Grace Kelly, che si può affittare interamente…
un week-end tranquillo lo passava qui, al Montecarlo Beach Hotel, oasi di tranquillità appena fuori dalla città, recentemente rimodernato dalla designer India Mahdavi.
ma, aveva anche un ” rifugio segreto “, tutto l’ultimo piano dell’edificio Millefiori a Montecarlo, con il mare e il Casino vicino…
un angolo dell’appartamento di Parigi…
Nella mappa di Parigi, il primo arrondissement ospita alcuni degli edifici più iconici della capitale, dal Palais-Royal al Louvre. Qui vive anche l’eccentrico stilista di Chanel Karl Lagerfeld. Lagerfeld possiede due splendide proprietà, situate l’una accanto all’altra La prima è utilizzata per dormire e dipingere, mentre la seconda per pranzare e accogliere gli ospiti. Proprio in questo quartiere, Coco Chanel ha aperto la sua prima boutique, nella celebre 21 Rue Cambon…
una delle sue librerie…
questa è un’altra…
la sfilata di Chanel /Lagerfeld a Parigi, autunno-inverno 2017/2018
Lagerfeld con il sindaco della città / che non viene neanche nominato…
claudia schiffer
la ripeto perché mi aveva fatto decidere di copiare le foto
il fatto quotidiano del 20 febbraio 2019
https://shop.ilfattoquotidiano.it/2019/02/20/addio-a-re-karl-stilista-bibliofilo-e-icona-del-lusso/
Addio a re Karl: stilista, bibliofilo e icona del lusso
Se non lo conoscessimo, se non avessimo mai sentito parlare di lui, basterebbe osservare la firma di Karl Lagerfeld per rimanere inebriati dal mondo tutto che promette. E non occorre essere edotti in grafologia per scorgere nella direzione dal basso verso l’alto della bella scrittura liberty, nel “K” ritornato del nome, nella “L” del cognome allungata come una donna di Modigliani e nell’ultima “d” con uno sbuffo finale verso l’infinito, la summa di tutto ciò che era e in cui credeva: legare il futuro al passato. O per utilizzare una citazione da Goethe che lo stilista amava ripetere a sé e agli altri: “Creare un avvenire migliore con gli elementi elargiti dal passato”.
Mentre la moda europea di inizio ’900 è imprigionata nei salotti con la moquette dell’alta borghesia dove signore con tacchi bassi e cappellini modesti osservano camminare alcune modelle della domenica, nel 1954 a Parigi – dove si era trasferito due anni prima –, al concorso del Segretariato Internazionale della Lana, Karl vince il premio per il miglior cappotto: è giallo, destrutturato, con ampie maniche e uno scollo a V sulla schiena. Si specchia nel giovane uomo da poco ventenne che sfoggia una cravatta color melanzana di Pierre Cardin il bambino che amava stupire: nella campagna tedesca in cui cresce, indossa regolarmente grandi fiocchi per andare a scuola e, invece della divisa, il costume tradizionale tirolese abbinato ai capelli lunghi. Il piccolo Karl odia essere bambino come tutti gli altri, vorrebbe essere grande, libero di decidere della propria vita. Essere diverso è il suo obiettivo, o meglio, la sua esigenza. Meglio ancora, il suo racconto.
Il genio che riverbera nelle sue confezioni e nelle sue fotografie rimarrà, è chiaro, ma quanto sappiamo di Karl uomo? Mettendo da parte quanto è sotto gli occhi di tutti, e cioè il lavoro per la maison Chanel (“la mia versione francese”, sostiene) e per Fendi (“la mia versione italiana”), quanto conosciamo Karl (“l’altro me”, così lo definisce)? Se per dovere di cronaca va almeno rammemorata la riqualificazione del marchio Chanel grazie a gonne corte, spalline larghe, gioielli vistosissimi che si fondono con i materiali di Mademoiselle Coco come pure l’avveniristico utilizzo della pelliccia nelle collezioni di Fendi, tenendo sempre a mente la pregiata arte manifatturiera, spostiamoci su Karl, per il quale vale una sola parola: mistero. Già a partire dalla sua data di nascita, che oscilla con fantasia e ironia tra il 1933 e il 1938.
E il racconto di sé, lo fa Karl stesso. Oggi Sky Arte ripropone il docu-film Karl Lagerfeld – Un re solo. Siamo a Versailles, luogo eletto del XVII secolo, l’epoca in cui lo stilista avrebbe voluto vivere. Dietro i suoi grandi occhiali neri e nel suo stile impeccabile (a una giornalista che gli ha chiesto perché il suo look fosse immutabile, Lagerfeld risponde “non è immutabile, è impeccabile”) procede mosso da questo incipit: “Io amo il mistero, la realtà è monotona”.
Si è detto spesso abbia romanzato la sua autobiografia (lo si dice sempre dei più grandi), che l’abbia ingolosita per mitizzarla. Ma che importa. Nel documentario firmato dal duo francese Thierry Demaizière e Alban Teurlai è emozionante la sfuggevolezza con cui si ritrae e quasi si nasconde dall’obiettivo della telecamera. Bibliofilo eruditissimo (passa da Ovidio a Louis de Rouvroy de Saint-Simon) e appassionato di danze latinoamericane (una delle prime cose che impara a Parigi è il cha-cha), Lagerfeld racconta sotto la pioggia che alla prima sfilata, all’Hotel Esplanade di Amburgo nel 1949, lo porta la madre, Elisabeth. “Biondissima e magrissima”, lo stilista la ricorda così, ma anche “eccentrica”. Un giorno gli chiuse quasi sulle dita il pianoforte, sbattendogli in faccia che non aveva nessun talento e gli consigliò di disegnare, almeno non avrebbe fatto rumore. Quel giorno, inizia la sua carriera. Ma ritorna anche l’amicizia con Yves Saint-Laurent “simpatico e divertente”, la gentilezza del padre che indossava orribili completi grigio chiaro, i mesi passati chiuso nei cinema francesi per imparare la lingua e il suo primo ricordo: i fiori nel giardino della sua infanzia. “Ma che fiori sono, Monsieur Lagerfeld?” viene da chiedergli, ma sorride, sussurra “mistero” e si allontana sotto la pioggia di Versailles.