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Il 2020 si avvicina e con lui l’appuntamento storico con il voto Usa, con il quale Donald Trump chiederà la riconferma per un secondo mandato. Dopo lo shock di tre anni fa molto si è mosso nel campo dei democratici, con nuove leve che si sono affacciate riscuotendo molto consenso, come Alexandra Ocasio Cortez , e un parterre di candidati alle primarie del partito dell’asinello che già si preannuncia affollato. Alla truppa della decina di aspiranti alla sfida con Trump si è aggiunto, nei giorni scorsi, anche il vecchio leone Bernie Sanders, sfidante di Hillary Clinton nel 2013 ed esponente della prima ora del socialismo in salsa americana, che ha già annunciato una campagna imperniata su “giustizia sociale, razziale e ambientale”. Uno scenario interessante di cui parliamo con Gianni Riotta, editorialista de La Stampa e docente alla Princeton University, profondo conoscitore delle faccende di oltreoceano.
Sanders si candida alle primarie democratiche sulla soglia degli 80 anni. Ha forse fiutato che il vento, tra i dem americani, sta soffiando più a sinistra, e vuole provare a coglierlo?
Il campo è molto cambiato rispetto al 2016, quando sembrava certa la vittoria dei democratici e Sanders fece il pieno del voto delle opposizioni, cogliendo la svolta a sinistra nel suo campo. Oggi l’umore è cambiato: la vittoria dei democratici non è certa e il campo socialista è diviso, perché personaggi come Elizabeth Warren e altri insistono sullo stesso campo di Sanders e ne contendono il primato. Prima chiunque odiasse Hillary votava per lui, adesso è certamente presto per parlare, alle primarie ci saranno forse 12 candidati e bisogna vedere se e con chi si schiereranno i grandi poteri come i Clinton o Obama, ma certamente il quadro appare molto diverso e frastagliato rispetto a tre anni fa.
Lei ha parlato di recente di una sorta di “guerra civile” che sta attraversando sia i democratici che i repubblicani. Cosa intende?
La situazione oggi si è molto modificata e chi pensa, anche in Europa, di tornare al 2016 si illude, perché il mondo è cambiato per sempre. Vent’anni fa Seymour Lipset scriveva “Perché il socialismo è fallito negli Usa” e oggi, per un capriccio della storia, mentre il socialismo muore in Europa, arriva invece in America, è comico ma è così. I democratici oggi devono scegliere se buttarsi a sinistra o se puntare su un usato sicuro come Biden, con il rischio di ripetere l’esperienza di Hillary Clinton. I repubblicani si trovano invece davanti alla scelta se abbracciare o no la politica di Trump, ma il rischio è che si ritrovino un partito spostato a destra. I repubblicani contano su una demografia di anziani, maschi e bianchi, che oggi votano in massa, ma dall’altro lato cresce una base di giovani e di donne che potrebbe portarli nel giro di dieci anni a una grave crisi.
Tornando ai dem, non c’è il rischio di una specie di populismo di sinistra?
Sono stato il primo a scrivere che fra Trump e Sanders c’erano dei punti in comune e sono stato lapidato. Ma basta guardare a temi come la politica internazionale, con i candidati socialisti che parlano di andarsene da Siria e Afghanistan e la Warren che dice “prima l’America, o alla posizione sugli accordi commerciali internazionali, che vede la sinistra contraria. Ormai l’idea che gli USA abbiano una funzione salvifica non interessa più, c’è una generazione che è cresciuta nella crisi cominciata nel 2008 ed è questa la loro mentalità. L’ignorante declina questa tendenza parlando del muro e i più giovani parlando di case popolari, ma il “mood” isolazionista è diffuso.
Ocasio Cortez che si batte contro Amazon a New York è un esempio di questa tendenza?
Sul progetto di Amazon a Long Island erano d’accordo sia il moderato Cuomo che De Blasio, e forse 3 miliardi di dollari di incentivi erano troppi e su questo si poteva negoziare, ma il punto è che la sinistra radicale non vuole che quartieri come il South Bronx cambino. Ocasio Cortez vuole mantenere il carattere popolare di certi quartieri, in buona fede, perché è in quel contesto che è stata eletta, ma è solo con lo sviluppo che quella gente si può tirare fuori dalla povertà. L’impressione è che quando si dice che i soldi di un determinato progetto possono essere spesi meglio, come da noi la Tav, si dica una cosa non vera, perché sono progetti speciali e il rischio è che quei soldi si perdano.
Secondo Trump un’eventuale avanzata socialista lo favorirà. È davvero così?
I sondaggi non indicano una vittoria schiacciante per nessuno. La forza di Trump è che la grande maggioranza di chi lo ha votato nel 2016 intende votarlo ancora. La scommessa del 2020 dunque è la stessa di 4 anni prima: se i democratici porteranno la loro base a votare vinceranno, se invece non prevarrà la logica del “turarsi il naso”, correranno grossi rischi.
Veniamo all’Europa: un’America sempre più chiusa segnerà un allontanamento definitivo dal Vecchio Continente?
Il legame tra Europa e Usa si è rotto definitivamente già con la fine della guerra fredda, e i torti e le ragioni sono reciproci. Con Bush Jr l’isolazionismo dei conservatori ha toccato punti drammatici, ma anche Obama si è proteso verso l’Asia, non tendendo la mano agli europei. L’Europa è percorsa oggi da movimenti filo russi che pensano che Putin faccia benissimo a reprimere il dissenso. Non vedo in questo momento una grande smania di democrazia, per questo il voto di maggio è storico: sarà un referendum se vogliamo un’Europa aperta e atlantica o filo russa, che alla fine vivrà di gas russo e di commesse cinesi. Ma chi si illude che gas e commesse arriveranno gratis si sbaglia, perché russi e cinesi chiederanno un compenso . I porti greci sono già tutti cinesi, chiediamoci se è a questo che vogliamo arrivare.