MARIO TRONTI, UN’ANTICIPAZIONE DEL SUO LIBRO : ” IL POPOLO PERDUTO. PER UNA CRITICA DELLA SINISTRA. “, CON MARIO BIANCHI, EDITO DA NUTRIMENTI— qualcosa su Mario Tronti –da wikipedia

 

Il popolo perduto. Per una critica della sinistra

Mario TrontiAndrea Bianchi

Editore: Nutrimenti
Collana: Igloo
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 7 febbraio 2019
Pagine: 143 p., Brossura
14 EURO, PREZZO PIENO

 

 ANDREA BIANCHI

 

 

IL MANIFESTO DEL 6 FEBBRAIO 2019

https://ilmanifesto.it/la-mappa-del-disorientamento/

 

 

CULTURA

La mappa del disorientamento

Anticipazioni. Un estratto dal libro «Il popolo perduto. Per una critica della sinistra» di Mario Tronti con Andrea Bianchi, pubblicato da Nutrimenti. Da domani in libreria

Isaac Cordal, da «Cement Eclipse»
Isaac Cordal, da «Cement Eclipse» 

Il guasto viene da lontano. Non è solo questione di recenti segreterie del Pd, di ultime coalizioni di governo. Quando è cominciato negli anni Novanta, con un seguito nei Duemila, il girotondo di nomi e simboli, lì si è creato il primo accumulo di quel disorientamento politico di popolo che oggi è esploso. Già Partito democratico di sinistra non era una gran trovata. Poi è sparita la p di partito e sono rimasti i Democratici di sinistra. Poi, è ricomparsa la parola partito e però è scomparsa la parola sinistra. Seguivano improbabili simboli: la Quercia, con ai suoi piedi la bandiera del Pci presto rapita, e l’Ulivo e l’Unione e forse me ne sfugge qualcuno. Non solo si seguiva, ma si alimentava la brutta storia della pulsione antipolitica, proprio nella forma più violenta, quella dell’antipartito di principio. Quando quella parola si è recuperata nella forma del Partito democratico era perché la più che chiara ispirazione di modello americano la neutralizzava del tutto. Come organizzazione di partito, quell’esperienza lì, non a caso, non è mai nata.

 

NELLA FUORIUSCITA DAL PCI si doveva evitare prima di tutto e a ogni costo la scissione. Non si è diviso un partito, si è diviso un popolo. Ed era questo il vero tesoro del partito: il popolo comunista. Non si doveva dilapidare quell’eredità. È cominciata lì la vicenda devastante delle due sinistre, l’una contro l’altra armate sempre, perfino quando collaboravano. Una forza di sinistra non può derogare alla legge ferrea che dice: nessun nemico a sinistra. Se lo fa, inevitabilmente scivola in una perdita di identità perché consegna l’idea di sinistra ad altri con l’aggravante, nella quasi totalità dei casi, di affidarla a formazioni minoritarie. Il peggior affronto che si può fare all’idea di sinistra è ridurla a minoranza: che vuol dire condannarla a essere perdente. L’illusione che ha occupato la mente della gran parte dei post-comunisti che avevano ancora con sé la gran parte del popolo comunista è che, marcando la distanza da quella minoranza politica, avrebbero potuto conquistare la maggioranza con un altro elettorato, generico, aprendosi la strada al governo.

 

ADESSO POSSIAMO VEDERLO: è stato un guaio che questa illusione abbia avuto in qualche momento qualche effetto di realtà con le vittorie elettorali del centro-sinistra. Non ci si è accorti che si trattava di condizioni del tutto occasionali: la lunga, deviante e stancante stagione berlusconiana che non lasciava spazio a chiedere più sinistra, tutti occupati come si era a reclamare una union sacrée contro il corruttore delle genti. O ancora, l’emergenza della crisi economica, dal 2008 in poi, che imponeva governi di responsabilità nazionale, formula che ha segnato sempre un richiamo della foresta per i comunisti italiani. È vero: quell’indubbia esperienza di buon governo ha anche ottenuto risultati e poi ha fatto uscire il paese dalla crisi, ma come risolviamo il problema che così, anche così, si è consegnato lo stesso paese in mani che peggiori di queste è difficile immaginare? (…).
La radice dell’antipolitica di massa sta qui. E si esprime in questi due modi contrastanti e insieme complementari: l’astensionismo elettorale e la mobilitazione di piazza, reale o virtuale che sia. Ambedue forme di passività politica, fenomeno di passivizzazione popolare, perché protesta solo individuale che non fa presenza collettiva, non fa né società né comunità.

È L’ALTRA FACCIA del verbo liberista: ce la devi fare da solo, con le tue capacità e i tuoi meriti, e se non ce la fai, come i più non ce la fanno, devi rivendicare da solo, devi protestare da solo, da solo esprimere tutta la tua rabbia. L’uno vale uno grillino dice la stessa cosa: stai solo, nel tuo web, fuori, contro tutti. Occorre smascherare questo inganno. Come? Riprendendosi l’iniziativa, organizzando una grande campagna di ri-orientamento politico.
La riforma più necessaria e più urgente, che non vedo però all’ordine del giorno, è la riforma dei soggetti collettivi, di lotta e di consenso, di rappresentazione e di azione, sindacati e partiti, con intorno nuove forme solidaristiche di movimento e di cooperazione, di mutuo soccorso sociale e di pratiche politiche di base. La rilegittimazione della politica passa attraverso la restaurazione di un rapporto di fiducia tra il basso e l’alto, tra popolo ed élite. Un’impresa ardua allo stato delle cose, ma l’unica forse in grado di riaprire un processo rigenerativo, direi redentivo, dello spirito pubblico ora in agonia.

PERCHÉ ABBIA SUCCESSO non c’è che riposizionare le due gambe, del conflitto e della mediazione. È un’operazione che non può che partire dall’alto. La mia idea è che il basso del sociale e del politico, cioè i lavoratori e i cittadini, devono essere il punto di riferimento, non possono essere il punto dell’iniziativa. L’antipolitica non si combatte con la democrazia immediata, perché oggi la democrazia immediata è diventata un’espressione dell’antipolitica. L’antipolitica si batte rifondando, in istituti nuovi, la democrazia organizzata. E se per le istituzioni sono necessarie le riforme, è una rivoluzione quella necessaria per i soggetti sociali e politici. Ma senza un rivolgimento nella cultura politica dell’attuale sinistra, tutta intera, nulla avverrà. (…)

È VENUTO IL MOMENTO di rimettere finalmente in discussione il pur difficile rapporto tra interesse di parte e interesse generale. Gramsci pronunciava la bellissima preveggente frase: «Voi porterete il paese alla rovina e allora toccherà a noi comunisti di salvare il nostro paese». Ma la pronunciava davanti al Tribunale speciale del fascismo. Non la si può ripetere con un tweet davanti al ridicolo contratto di governo 5Stelle-Lega. Ai milioni di persone sofferenti, disagiate, abbandonate e giustamente arrabbiate che hanno voltato le spalle alla sinistra, non puoi andare a ripetere, come ho sentito ripetere, la massima aurea: prima il paese poi il partito. Quelle persone hanno bisogno, ripeto, hanno bisogno, di un partito che si faccia carico di quella loro quotidiana condizione, per cambiarla dalle fondamenta e lo chiedono muti e soli, disperati e incattiviti. (…)
La mentalità culturale democratico-progressista non ha più capito il popolo. E il ceto politico imbevuto di quella cultura non è più venuto da lì e non è più andato lì. Perché quella cultura non è di popolo, è di élite. E le due sinistre, quella cosiddetta moderata e quella cosiddetta radicale, che si differenziano magari sul terreno sociale o sul terreno istituzionale come è violentemente e inutilmente accaduto di recente, sono invece accomunate dalla stessa cultura che poi è appunto una stessa mentalità. E questo è il motivo per cui la politica e l’organizzazione della sinistra-sinistra non riescono a recuperare il consenso che perdono le politiche di centro-sinistra. Né l’una né l’altra vengono riconosciute come partiti di popolo. A ogni elezione, di qualunque tipo esse siano, le due posizioni vanno puntualmente incontro allo stesso destino. Ormai da anni. Ogni volta si registra, si costata, si ripete che il centro città vota a sinistra, le periferie votano a destra. E se ne parla, sì, ma quasi fosse un problema come un altro. E invece è il problema dei problemi.

È IL PUNTO DI CATASTROFE di un intero agire politico. Se è così, e ormai normalmente è così, non si è sbagliato qualcosa, si è sbagliato quasi tutto. Non voglio metterla sul sentimentale: tutto il discorso fatto fin qui non va certo in questa direzione. Ma devo confessare un disagio che sa di quella cosa complicata che è la propria esistenza nel mondo, in questo tipo di mondo. Non mi va di trovarmi dalla stessa parte dei benestanti, mentre i nullatenenti stanno dall’altra parte. Non me la sento di stare con quelli che alle nove di sera entrano all’Auditorium contro quelli che alle sei di mattina escono di casa. È esattamente questo che, per riprendere un’espressione a me molto cara, «non si può accettare», non oltre, non più a lungo di così.

 

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Mario Tronti

Senatore della Repubblica Italiana
Legislature XI e XVII
Gruppo
parlamentare
PDS (XI), PD (XVII)
Coalizione Italia. Bene Comune(XVII)
Circoscrizione Lazio (XI) Lombardia(XVII)
Incarichi parlamentari
Membro della Commissione permanente Affari esteri ed emigrazione
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politico Partito Comunista Italiano(Fino al 1991),
Partito Democratico della Sinistra (1991-1998),
Democratici di Sinistra(1998-2007),
Partito Democratico (Dal 2007)
Professione Docente universitario

Mario Tronti (Roma24 luglio 1931) è un filosofoaccademico e politico italiano, considerato uno dei principali fondatori ed esponenti del marxismo operaista teorico degli anni sessanta. Vive a Roma.

Militante del Partito Comunista Italiano durante gli anni cinquanta, fu con Raniero Panzieri tra i fondatori della rivista Quaderni Rossi, da cui si separò nel 1963 per fondare la rivista Classe operaia, della quale fu il direttore. Questo percorso lo portò ad allontanarsi dal PCI, pur senza mai uscirne formalmente, e ad animare l’esperienza radicale dell’operaismo. Tale esperienza, che va considerata per molti versi la matrice della nuova sinistra degli anni sessanta, si caratterizzava per il fatto di mettere in discussione le tradizionali organizzazioni del movimento operaio (partito e sindacato) e di collegarsi direttamente, senza intermediazioni, alla classe in sé e alle lotte di fabbrica. Di fronte all’irruzione dell’operaio-massa sulla scena delle società occidentali, l’operaismo di Tronti seppe proporre una analisi moderna delle relazioni di classe e soprattutto mettere l’accento sul fattore soggettivo, rivendicando la centralità politica della classe. Le sue idee, debitrici anche della visione di Ernst Jünger (v. “L’operaio”, 1932), trovarono una sistemazione nel 1966, con la pubblicazione di Operai e capitale, un libro di forte impatto letterario (è stato inserito tra le 2250 opere del Dizionario delle opere della Letteratura Italiana Einaudi), che eserciterà un’influenza notevole sulla contestazione giovanile e più in generale sull’ondata di mobilitazione che ebbe inizio negli anni immediatamente successivi.

Fu proprio la sconfitta della spontaneità operaia e dell’ondata di mobilitazione, colta anticipatamente da Tronti e non invece da altri operaisti come Toni Negri (di qui la rottura tra loro, avvenuta nel 19671968), a indurlo a spostare la sua riflessione sul “problema del politico”, ovvero della direzione e della mediazione politica. Ebbe inizio da qui la teorizzazione trontiana dell'”autonomia del politico”, cioè la ricerca di una teoria politica realista che, in un’originale commistione di Karl Marx e Carl Schmitt[1], fosse capace di colmare i limiti della soggettività sociale. Si trattò di una fase più intellettuale che politica dell’esperienza di Tronti, il quale si dedicò prevalentemente all’insegnamento (Filosofia morale e poi Filosofia politica) presso l’ateneo senese e all’attività pubblicistica, fondando tra l’altro nel 1981 l’influente rivista Laboratorio politico. Riavvicinatosi al PCI di Enrico Berlinguer, in questo periodo Tronti fu finalmente riabilitato dal gruppo dirigente del partito, entrando a far parte più volte del Comitato centrale.

Alle elezioni del 1992 fu eletto al Senato della Repubblica (XI legislatura) nelle liste del Partito Democratico della Sinistra, fu membro della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali dal 1992 al 1994[2]. Negli anni successivi, non avendo condiviso le trasformazioni post-comuniste del partito, e dopo aver lasciato la docenza universitaria, la sua riflessione filosofica ha assunto toni pessimistici, concentrandosi sulla fine della politica moderna e sulla critica della democrazia. Nel 2004 è stato eletto presidente della Fondazione CRS (Centro per la Riforma dello Stato) – Archivio Pietro Ingrao.

Alle elezioni del 2013 è stato di nuovo eletto al Senato (XVII legislatura) nelle liste del Partito Democratico per la Lombardia[3].

Il 14 gennaio 2016 è tra i 31 parlamentari, soprattutto di area cattolica, del PD a firmare un emendamento contro l’articolo 5 del disegno di legge Cirinnà riguardante l’adozione in casi particolari[

( https://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Tronti:: BIOGRAFIA )

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