SI CHIAMAVA PRINCE JERRY —- LEFT ( link facebook sotto )::: UNA POESIA DI SOUMAYLA DIAWARA– al fondo il libro e la vita di Soumayla Diawara

 

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Il funerale in chiesa a Genova di Jerry Prince

 

 

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Si chiamava Prince Jerry.
Era un nigeriano di 25 anni. Si è gettato sotto il treno in preda alla disperazione dopo avere ricevuto il diniego per il diritto d’asilo e avendo meno chance a ottenere il permesso di soggiorno in quanto il nuovo decreto sicurezza ha ristretto il permesso per motivi umanitari.
Prince Jerry era arrivato in Italia nel 2016 sui barconi, con una laurea in chimica e la voglia di costruirsi un futuro. Aveva già seguito una formazione di lavoro e si stava realizzando ma il permesso di soggiorno negato ha spento le sue speranze.

Un pensiero per te che non ce l’hai fatta
di Soumaïla Diawara

“La richiesta dell’asilo umanitario
è la richiesta di un umano ad altri umani, del diritto di stare in un posto
dove la sua pancia non sia minacciata.
Il suo futuro meno plumbeo
e la sua vita più longeva.

Non si tratta sempre di guerre
che spingono noi altri ad andarcene,
ma di una cosa più atroce,
la povertà.

La fame uccide molto più lentamente
di una pallottola.
Ma è molto più crudele. Insidiosa.

Trasforma l’uomo in bestia per l’uomo. Non ci sono grandi chance
per chi nasce oggi in Africa.
Poiché non c’è dubbio
che siamo costretti
nel sistema monetario internazionale
senza averne i requisiti
né tantomeno i presupposti.
Cosa fareste se i vostri figli
non avessero da mangiare?

Cosa fareste se i vostri padri fossero costretti in miniere pericolanti per estrarre quell’oro che arricchisce solo
chi è dall’altra parte dell’Oceano?
Cosa fareste se i vostri nonni morissero
di fame preferendo dare la loro parte
ai loro nipoti?

Quello che farebbero tutti.
A costo della vostra vita, cerchereste di salvare la loro. Perciò non capisco né comprendo chi vuole rimandare a casa propria chi lì è già quasi morto.

Sento di slogan che parlano di riportare gli immigrati a casa loro.
Ma a fare cosa?
A morire di una morte lenta?
Vedo compassione per gli italiani
che hanno perso le loro case
durante il terremoto.

E vedo odio per uomini e donne
che hanno solo la colpa di volersi salvare. Dov’è la giusta informazione?
Chi dice il vero?

Perché far pagare a noi migranti l’incompetenza di un sistema
e di una società imperialista
che da noi ha solo prelevato
e tuttora continua a farlo?

Il mio paese non siede tra i grandi dell’ONU. Non ha voce.
Lì, muoiono le persone per inerzia.
Non voglio credere che qualcuno
pensi che una donazione per un vaccino possa salvare l’Africa.

O semplicemente che qualche vestito usato, adozioni a distanza o attività parallele possano portare sollievo al mio continente, alla mia gente.
Non si tratta più di un sogno
né di un desiderio ma di un’esigenza.

Chi non ha vita laddove è nato
ha il diritto di cercarlo altrove dove c’è.
A maggior ragione quando a tirare i fili
di questo sistema e dunque giustamente
a goderne, sono pochi.
Gli uomini bianchi ricchi non sono razzisti, non ne hanno motivo,
usano i migranti nelle loro società,
ditte, li amano perché sono disperati
e giustamente costano poco.
Gente semplice che si aizza
contro gente semplice.

Non si può colpevolizzare
né reprimere la realtà.
Bisogna analizzarla
e trovare una soluzione comune.”

“L’uomo in bestia per l’uomo poesia” tratta da Sogni di un uomo – Soumaila Diawara

L'immagine può contenere: una o più persone e persone in piedi

Soumaila Diawara

 

Soumaila Diawara nasce il 4 febbraio 1988 a Bamako ( CAPITALE DEL MALI ), dove consegue la laurea in Scienze Giuridiche con una specializzazione in Diritto Privato Internazionale. All’età di tre anni, in seguito alla separazione dei genitori, si trasferisce dalla nonna materna e comincia il suo percorso scolastico. Durante il periodo universitario inizia la sua esperienza politica prendendo parte attiva ai movimenti studenteschi a fianco della società civile. Terminati gli studi si inserisce definitivamente in politica, entrando nel partito di opposizione “Solidarité Africaine pour la Démocratie et l’Indépendance” (SADI) in cui ben presto ricopre la figura di guida del movimento giovanile. Grazie al suo partito ha modo di viaggiare in vari paesi in Africa, America Latina, Europa e in Canada nella continua lotta per la liberazione del suo paese dall’imperialismo occidentale. Diventa responsabile della comunicazione del suo partito in collaborazione con la Sinistra Maliana e con l’Organizzazione della Sinistra Africana (ALNEF). Nel 2012 è costretto ad abbandonare il Mali in quanto accusato ingiustamente, insieme ad altri, di un’aggressione ai danni del Presidente dell’Assemblea Legislativa. A seguito di tali accuse molti suoi compagni hanno incontrato la morte, altri pochi sopravvissuti sono fuggiti dal paese, mentre lui si trova costretto a seguire le rotte dell’attuale fenomeno migratorio partendo dalla Libia su un gommone. Grazie al salvataggio di una nave della Marina Militare giunge in Italia nel 2014 dove ottiene la protezione internazionale ed è tuttora rifugiato politico.

 https://www.youcanprint.it/autori/33396/soumaila-diawara.html

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