IL FATTO QUOTIDIANO DEL 31 GENNAIO 2019
Bersani contro il fronte di Calenda-Macron
L’ex leader del Pd ritorna sui 101 anti-prodiani: “Sì, ci fu la manina renziana”
Una lista allargata, sì, ma che non si presenti come “antipopulista” e non tenti ammucchiate da Macron alla sinistra radicale. La ricetta di Pier Luigi Bersani per le Europee è chiara: non basta definirsi Fronte Repubblicano per recuperare i consensi perduti, così come sarebbe un errore mettersi insieme soltanto in contrapposizione a tutto ciò che è sovranista.
Dalla poltrona di C’ero una volta… la sinistra, il programma di Loft condotto da Antonio Padellaro e Silvia Truzzi (disponibile dal 14 febbraio su www.iloft.it e sulla app), Bersani riprende dunque le convinzioni espresse ieri da Massimo D’Alema alla Stampa, indicando la strada: “Non dobbiamo fare un’operazione pigliatutto contro la destra e i populisti, perché così gli tiriamo la volata. È ora di dire le cose ‘per’ e non ‘contro’”. Senza smarrire la propria identità: “Va bene mettersi insieme su uno schema critico verso l’Europa di adesso, ma dobbiamo confrontarci coi socialisti europei e le nuove forze di sinistra democratiche, come Podemos. Se ci metti dentro Macron non vai da nessuna parte”. La chiave, secondo Bersani, sta nel recuperare il rapporto con gli elettori dei 5 Stelle, per la gran parte delusi dal centrosinistra. Un tentativo che passa anche da mosse politiche verso lo stesso Movimento: “Nel 2013 intuii che dovevamo incrociare quella novità, ma loro non erano pronti e non ci furono le condizioni per far partire un governo su 7-8 punti. Chiedevo un’avventura, più che un matrimonio”.
Diverso il caso dello scorso marzo: “È stato un delitto non provarci, rifiutare il confronto. L’ho detto più di una volta anche a Di Battista, negli anni scorsi: il Movimento è in formazione, può prendere qualsiasi piega. Non è fascista, anche se il loro linguaggio è spesso fascistoide”.
L’occasione non è comunque del tutto sfumata per la sinistra. Secondo l’ex segretario dem, gran parte dell’elettorato grillino “comincia a non condividere questo rapporto pesantissimo con la destra”. A patto che il Pd, al netto di possibili riconciliazioni coi fuoriusciti, cambi rotta: “Non mi esprimo sulle primarie, ma invito sia Zingaretti sia Martina a considerare quale sia la priorità, ovvero se prendersela col Movimento o contrastare una destra aggressiva”. La risposta, per Bersani, è chiara da tempo: “Nei miei ultimi anni al Pd ho ripetuto che bisognava preoccuparsi della crescita della destra, che dovevamo discutere, e mi veniva risposto che ero un gufo”.
È proprio il rapporto con Matteo Renzi, allora leader dem, ad aver segnato il destino recente di Bersani. Come nel 2013, quando Romano Prodi, nome forte dell’ex segretario per la presidenza della Repubblica, fu impallinato da 101 franchi tiratori che tradirono l’acclamazione all’unanimità avuta dal Professore in assemblea. Erano i giorni del “No” del Pd a Stefano Rodotà (“I 5 Stelle ce lo portarono dalla piazza, non accettarono di parlarne in un confronto tra i gruppi”) che avrebbero portato a quel bis di Napolitano propiziato, come ricorda in trasmissione Massimo Giannini, dalla “manina” renziana: “Non ho ragione di smentirlo, lo voglio dire chiaro, quei 101 furono una confluenza tra chi ce l’aveva con Prodi e chi ce l’aveva con me”.
Sono per Bersani da sempre, però in termini di priorità strategica anteporrei ( elettoralmente ) il contro i populismi turandomi il naso AL PRO LA SINISTRA che altrimenti verrebbe tacciata in questa fase di settarismo. Ciò non vuol dire entrare in un ammasso ma mantenendo, in una elezione proporzionale, una UNITA’ di Sinistra.
grazie del tuo contributo, caro Ivaldo, non so risponderti, forse la posizione di Bersani, che mira a non annacquare l’anima di sinistra, e che mi pare giusto –perché le elezioni europee come vengono poi se ne vanno, e quello che rimane è quanto hai costruito di un tuo percorso per una sinistra che valga questo nome-, dicevo, potrebbe essere ovviato, partecipando ad uno schieramento più ampio con le tue caratteristiche precise. Forse la mia è la famosa idea di salvare capra e cavoli tutti insieme per non perdere niente né l’appuntamento con le europee né la costruzione di uno schieramento che valga ” oltre le scadenze immediate ” -Mi dirai, se vorrai. chiara, che non risponde in questo caso, ” per il blog “.
Penso che indicare un programma chiaro e condiviso dalle forze progressiste, per le elezioni europee nell’immediato, ma con un respiro più lungo, sia essenziale per l’Europa e per l’Italia. Tra l’altro una posizione coerente e costruttiva sui migranti potrebbe essere il disinnesco delle posizioni leghiste, che tanto successo stanno avendo. Da parte delle forze politiche più aperte ci sono stati indirizzi confusi, contraddittori ( pensiamo in Italia a Minniti). Poi c’è il lavoro di base, le sezioni trasformate in circoli, distanti e inoperosi verso la realtà circostante. C’è stata l’idea che bastasse un leader telegenico e aggressivo per risolvere tutti i problemi. Si parla di intellettuali come se fossero un circolo chiuso, un’altra casta. Ma gli intellettuali sono, a mio avviso, tutti quelli che riflettono sulla realtà, che si dispongono a capire quello che avviene. La cultura, intesa come strumento per comprendere e magari cambiare in meglio la realtà, è stata trascurata principalmente dalla sinistra ( ricordiamo la fine vergognosa dell”Unità”, senza che il cosiddetto Partito facesse una piega). Altro che radical-scic. Il grande consenso che il PCI ha riscosso in certi periodi del secolo scorso era dovuto anche, e forse soprattutto, al grande lavoro che c’era dietro. Perfino la Lega, partito che si basa sulla preminenza del leader, ha capito che il lavoro capillare tra il cosiddetto “popolo” rende alle elezioni. Credo che se non si inizia da tutto ciò, parliamo di aria fritta.